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 2008  aprile 05 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 7 APRILE 2008

Wulf Bernotat, amministratore delegato di E.On, colosso tedesco al quarto posto tra gli operatori di energia in Italia, ha detto la settimana scorsa che considera il mercato italiano «strategico» e dotato «ancora di un alto potenziale di crescita» anche grazie al fatto che l’Italia è «dipendente dall’importazione di energia» e «i prezzi sono più alti che nell’Europa centrale, e garantiscono quindi margini più elevati». [1] Giulio Tremonti, possibile ministro dell’Economia di un eventuale Berlusconi IV: «Paghiamo una bolletta energetica di 30 miliardi che vanno all’estero. Un fatto che spiazza l’industria e penalizza la domanda con un effetto di impoverimento della struttura produttiva e sociale italiana». [2]

Fino a due anni fa l’Italia era ostile al nucleare. Poi le cose sono cambiate. Emanuele Perugini: «A marzo del 2007, un rilevamento effettuato da Observa mostrava che la percentuale di favorevoli al nucleare era identica ai contrari, con 37 per cento a favore e 38 contro. A distanza di pochi mesi, un sondaggio voluto dal ”Financial Times” ha evidenziato il sorpasso. Gli italiani favorevoli al nucleare sono passati in maggioranza: il 58 per cento». Alla base del cambiamento, il continuo rialzo del prezzo del petrolio, che si traduce in un continuo rincaro non solo della benzina ma anche delle bollette di gas e luce. [3]

Il nucleare è diventato una fonte energetica a basso costo. Per questo Silvio Berlusconi e Pier Ferdinando Casini l’hanno messo al centro della campagna elettorale ed anche il Partito democratico si mostra favorevole a un rilancio del dibattito. Perugini: «Uno studio realizzato da Alessandro Clerici per il World Energy Council mette a confronto i costi di produzione dell’energia in una centrale nucleare francese con quelli di una turbogas italiana. Non c’è battaglia: il nucleare, compresi i costi di smaltimento del combustibile e di smantellamento dell’impianto, non supera i 55 euro per megawattora. Il gas supera i 75 euro; se si aggiunge anche la carbon tax che pesa sui combustibili fossili, per il gas arriviamo a sfiorare i 100 euro a megawattora. Sui costi reali del nucleare però non tutti sono così ottimisti. Il nodo delle scorie è cruciale». [3]

Le stime ufficiali prevedono per il 2030 un fabbisogno di 545 terawatt di elettricità (unità di misura della potenza: un kilowatt=mille watt, megawatt un milione, gigawatt un miliardo, terawatt mille miliardi). Maurizio Ricci: «Se i piani del governo uscente venissero rispettati, il risparmio dovuto ad un aumento di efficienza sarebbe di circa 100 Twh, abbassando il fabbisogno a 445 Twh. Contemporaneamente, gli impianti esistenti, o in costruzione, ne produrrebbero 225. Quanto ne può aggiungere lo sforzo per sviluppare le energie rinnovabili, dal vento, al sole, all’idroelettrico? La potenzialità massima individuata dal governo uscente è di 54 Twh. Resta un buco di 165 Twh, anche nell’ipotesi di risparmiare con l’efficienza energetica. Per coprire questo buco con ulteriori risparmi si dovrebbe raddoppiare l’obiettivo previsto per l’efficienza». [4]

Doppi vetri, mulini a vento, pannelli solari ecc. non sono sufficienti. [2] Nel deserto del Nevada è stato costruito in 18 mesi un impianto per la produzione di energia solare che produce 64 megawatt, costo 200 milioni di dollari. Secondo Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica, potremmo costruire impianti di questo genere in Africa per poi trasportare l’energia nel nostro Paese: «Per rifornire di elettricità un terzo dell’Italia, un’area equivalente a 15 centrali nucleari da un gigawatt, basterebbe un anello solare grande come il raccordo di Roma». [5]

Per raggiungere l’obiettivo dei 54 Twh, il governo Prodi prevedeva di decuplicare la potenza installata con le turbine a vento e di moltiplicare per 1000 (da una base di partenza molto bassa) quella dei pannelli solari. Obiettivi che i tecnici della Edison, secondo gruppo energetico italiano, definiscono ”sfidanti”. Scartata l’ipotesi delle centrali a gas (sfonderemmo il tetto delle emissioni di Co2 imposto dall’Ue) e a carbone (i sistemi con cattura e sequestro dell’anidride carbonica sono ancora a livello sperimentale), «sarebbero necessarie dieci centrali nucleari per una produzione di 140 Twh, pari al 35 per cento del fabbisogno. Cinque o dieci, comunque, dice la Edison, bisogna partire subito, per avere la prima centrale in funzione nel 2019» (Ricci). [4]

Quello dei tempi è il primo problema. Ricci: «Le carte della Edison tracciano una tabella che prevede un anno di dibattito generale, un anno per scegliere il sito, due per avere tutte le autorizzazioni, due anni per preparare il sito, cinque per costruire la centrale». Per fare un esempio, l’Edison ricorda poi che nonostante la legge ”sblocca centrali” del 2002 l’autorizzazione della centrale a gas di Presenzano, in Calabria, è ferma da quattro anni in attesa della Valutazione di Impatto Ambientale. [4] Tremonti: «Il paradosso dell’Italia è che abbiamo la tecnologia, i capitali ma, per una bizzarra storia politica, anche una forte refrattarietà industriale. Refrattarietà che si è cristallizzata in un referendum presentato come alternativa secca: ”Volete una nuova Cernobyl? Sì o no, barrare la casella”». [2]

Le «informazioni che girano nei circoli internazionali» segnalerebbero una disponibilità nell’altra sponda dell’Adriatico (Albania? Montenegro?) a fare joint venture nucleari con l’Italia. Tremonti: «Naturalmente il patto è che parte dell’aumento del Pil deve restare nei Paesi di origine. Loro avrebbero grandi difficoltà tecnologiche a creare le centrali, noi abbiamo il know how: in una logica di joint venture i tempi politici e amministrativi sarebbero ridotti». [2] Lugi Grassia: «Nonostante il blocco dopo l’incidente di Cernobyl e il referendum del 1987, le imprese italiane dell’atomo hanno continuato a progettare, costruire, gestire e smantellare centrali in diversi Paesi stranieri, non hanno mai smesso di fabbricare ed esportare componenti (persino negli Stati Uniti) e si sono tenute aggiornate cooperando alle ricerche di punta a livello internazionale». [6]

L’idea di Tremonti, produrre all’estero l’energia nucleare di cui abbiamo bisogno, incontra consensi e indignazione. Guglielmo Ragozzino: « insopportabile l’idea di esportare i guasti, i pericoli, le interminabili conseguenze del nucleare e delle relative scorie, in cambio di un sostegno alle oligarchie. O in cambio di una parola buona negli anonimi ”circoli internazionali” che sembrano usciti da una cronaca coloniale di cento anni fa». [7] Dubbioso anche Chicco Testa, ambientalista poi presidente dell’Enel, autore di Tornare al nucleare?: «Il nucleare ha bisogno di un’autorità di vigilanza forte, che questi Paesi non hanno». Adolfo Urso di An, partito che si adoperò per abolire il divieto all’Enel di operare sul nucleare anche all’estero: « ovvio che la tecnologia e le normative sarebbero quelle europee, come richiesto a tutti i Paesi che vogliano aderire all’Unione». [8]

Dicono quelli che preferiscono l’energia solare al nucleare (Rubbia): «L’uranio è destinato a scarseggiare entro 35-40 anni» [5] Sergio Romano: «Secondo Leonardo Maugeri, autore di Con tutta l’energia possibile (Sperling & Kupfer ed.), ”le riserve provate di uranio ammontano a circa 1 milione di tonnellate, quantità che potrebbe alimentare tutti i reattori esistenti per altri cinquant’anni, considerando che la produzione annua di uranio metallico si aggira intorno alle 40.000 tonnellate”. Ma tutto dipende, come nel caso del petrolio, dal prezzo. Se il mercato è disposto a pagare il kg più di 100 dollari, potremmo contare su altre 800.000 tonnellate. Esistono nuovi giacimenti, scoperti recentemente, che modificano continuamente i dati mondiali». [9]

Secondo gli ottimisti, grazie al nucleare l’umanità sarebbe al riparo dai problemi energetici per decine di migliaia di anni rendendo ininfluente l’esaurimento dei combustibili fossili. [10] Romano: «I maggiori problemi, per il momento, sono altri: il costo delle centrali, le difficoltà politiche e sociali che precedono l’individuazione del sito, i tempi della costruzione, il deposito delle scorie e i costi dello smantellamento dopo la fine del ciclo operativo. Ma chi ha il coraggio di affrontarli acquista conoscenze e competenze, forma i tecnici e gli ingegneri, produce innovazione e brevetti, diventa potenziale fornitore di conoscenze e tecnologia ai Paesi che decidono di seguire la stessa strada». [9]

Esiste infine un problema di costi. Ricci: «Al contrario di quanto avviene per una centrale a gas, in una centrale nucleare il combustibile costa poco, ma costruire la centrale costa molto. In altre parole, conta quanto capitale bisogna investire e a che tasso di interesse lo si è trovato sul mercato. Questo significa che il costo di un kw nucleare e il prezzo a cui venderlo tendono ad essere rigidi: se arrivassero nuove fonti di energia o il prezzo del petrolio crollasse, l’energia nucleare potrebbe finire fuori mercato. Sono tutt’e due ipotesi, oggi, piuttosto remote. Tuttavia, l’entità dell’investimento è un parametro cruciale». [4]

Secondo il piano Edison, realizzare le centrali nucleari di cui abbiamo bisogno costerebbe fra i 20 e i 40 miliardi di euro. Secondo Moody’s, l’agenzia di rating che svolgerebbe un ruolo cruciale nel momento in cui i futuri protagonisti del nucleare italiano si rivolgessero al mercato per trovare i capitali necessari, il costo sarebbe fra i 30 e i 70 miliardi. [4] Testa: «Negli anni Ottanta tutto finì in soffitta quando il prezzo del petrolio scese. Ora non credo che la scelta debba essere legata solo a criteri di mercato. Quelli che i verdi dimenticano di dire è che anche le energie alternative non si reggono a prezzi di mercato, e che vanno incentivate. Come accade in tutto il mondo anche per il nucleare». [11]