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 2008  febbraio 05 Martedì calendario

Avvenire, martedì 5 febbraio Vent’anni di aborto "libero", 100mila bambini non nati ogni anno, e nel "progressista" Canada iniziano a levarsi le prime voci laiche a dire che questa situazione non può continuare ed è ora di porre "limiti ragionevoli" in tema di interruzione di gravidanza

Avvenire, martedì 5 febbraio Vent’anni di aborto "libero", 100mila bambini non nati ogni anno, e nel "progressista" Canada iniziano a levarsi le prime voci laiche a dire che questa situazione non può continuare ed è ora di porre "limiti ragionevoli" in tema di interruzione di gravidanza. A mettere tale considerazione nero su bianco è il Calgary Herald, quotidiano di una delle principali città del Paese nordamericano, in cui proprio in questi giorni ricorrono i 20 anni dalla legalizzazione dell’aborto. Il giornale canadese, in un editoriale non firmato e quindi espressione della posizione della direzione, afferma che "è tempo di operare per un miglior bilanciamento tra la protezione dei diritti della donna nello scegliere " se portare avanti una gravidanza o meno e "il porre ragionevoli limiti a tale diritto". Il perché è presto detto: "Attualmente – sostiene il giornale di Calgary – tale bilanciamento non esiste per nulla visto che sono i medici che effettuano gli aborti a sostenere che sono essi stessi ad autoimporsi dei limiti". Nel suo intervento il quotidiano ricorda come "il Canada è l’unico Paese occidentale che permette effettivamente la realizzazione di aborti lungo tutti i 9 mesi di gravidanza. E non perché vi sia scritto da qualche parte che questo sia permesso, ma piuttosto perché nella legge non è sostenuto niente che dica che ciò non sia lecito". Già il titolo dell’intervento – " tempo di considerare limiti ragionevoli" – richiama quanto poi l’articolista sostiene, affermando che "lo Stato deve dichiarare che, passato il limite legale nel quale l’aborto è permesso, il diritto dei cittadini canadesi non ancora nati ha la precedenza " sulla scelta della madre. E il Calgary Herald ammette che "la gran maggioranza degli aborti viene praticata per ragioni di convenienza" sebbene la mancanza di legislazione certa "non rifletta il volere della gente. Un sondaggio Environics di ottobre rivela che il 62% degli intervistati, compresi il 67% di donne e giovani sotto i 18-30 anni, è favorevole a limiti legali per l’aborto". E sempre in America del Nord, questa volta negli Stati Uniti, arriva un’ammissione importante dal fronte pro choice, cioè dichiaratamente abortista. "Trent’anni fa essere pro life era una posizione fuori moda, oggi invece è un rispettabile punto di vista". A sostenerlo, con una punta di malcelato disappunto, sono due esponenti di primo piano del panorama abortista statunitense: si tratta di Frances Kissling and Kate Michelman, rispettivamente ex presidente dei Catholics for a Free Choice, un’ong falsamente cattolica e sostenitrice dell’aborto, e leader del gruppo Naral ProChoice America. Sul Los Angeles Times hanno di recente pubblicato un articolo in cui affermano che "oggi non siamo più nel 1973", cioè nell’anno di approvazione dell’interruzione di gravidanza negli Usa, e che "le forze pro choice devono cambiare strategia per riguadagnare una rispettabile posizione morale". Sono proprio queste due fautrici dell’aborto libero a riconoscere che il movimento antiabortista "ha cambiato tattica. Non si è più concentrato sulla proibizione degli aborti ma si è concentrato sulla sua restrizione in determinate circostanze". In particolare, il duo Kissling e Michelman asserisce che "il movimento anti-aborto è riuscito in maniera vincente ad inserire nel pubblico dibattito le procedure abortive, facendo crescere la convinzione che l’aborto è una questione seria e che è appropriato un coinvolgimento della società". Lorenzo Fazzini