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 2008  gennaio 29 Martedì calendario

Fate ammalare il Papa. ItaliaOggi 29 gennaio 2008. Due telefonate alla vigilia dell’inaugurazione dell’anno accademico all’università La Sapienza di Roma

Fate ammalare il Papa. ItaliaOggi 29 gennaio 2008. Due telefonate alla vigilia dell’inaugurazione dell’anno accademico all’università La Sapienza di Roma. Mentre i tecnici della sicurezza, da una parte il questore di Roma Marcello Fulvi, dall’altra l’ispettore generale della gendarmeria vaticana, Domenico Giani, stavano esaminando i luoghi dove il Papa sarebbe passato, il ministro dell’interno italiano, Giuliano Amato, chiamò il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, e subito dopo il segretario di stato Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, che in quel momento si trovava con il segretario particolare del Papa. Una telefonata che così terminò: "Sconsiglio quella visita. Giovedì mattina potreste all’ultimo comunicare la rinuncia per un raffreddore del Papa", disse Amato...In entrambi i colloqui Amato spiegò prima a Bagnasco e poi a Bertone che certo l’incolumità fisica del Papa non sarebbe stata a rischio, ma descrisse l’alta probabilità di una capitale messa a ferro e fuoco dai contestatori, non solo dentro e intorno La Sapienza. Il titolare dell’Interno fece riferimento- secondo quanto ha potuto ricostruire Italia Oggi, anche a scontri gravi, con possibile spargimento di sangue. Per questo fu avanzato il suggerimento di evitare la visita papale. Dalla telefonata i vertici del Vaticano uscirono molto scossi, e certo sorpresi- se non indignati- da quel suggerimento sulla malattia ”diplomatica” del Papa per evitare polemiche. Pochi minuti dopo nella stanza di Bertone, alla presenza di padre Georg Gaenswein, il segretario del Papa, giunse anche l’ispettore generale Giani che riferì dell’incontro con il questore di Roma, Fulvi e con il prefetto Carlo Mosca. Giani spiegò di avere dato, a sopralluogo effettuato, il nulla osta tecnico alla visita: ”noi siamo in grado anche da soli di garantire l’incolumità del Santo Padre”. Ma quelle parole di Amato pesarono di più. Bertone si consultò anche con il vescovo vicario di Roma, il cardinale Camillo Ruini, e tutti insieme scelsero di annullare la visita. Fu una decisione sofferta, padre Georg fece presente che Papa Benedetto XVI ne sarebbe rimasto assai addolorato- come in effetti fu, ma con il ministro dell’Interno italiano che si esprimeva in quel modo, non restava davvero altra scelta. Il Papa ne fu immediatamente avvisato, si prese qualche momento per riflettere e poi diede il suo assenso. Fu così che quel giorno- proprio in extremis, fu comunicata dal Vaticano la rinuncia ufficiale. Fuori tempo massimo, tanto che nessuno riuscì ad avvisare l’Osservatore romano che andò in edicola certo della visita dell’indomani. Appena resa pubblica la denuncia, dal ministero dell’Interno arrivò una seconda doccia fredda: la reazione di Amato- che solo poche ore prima aveva fatto quelle due telefonate assai allarmate fu quasi di attacco al Vaticano: ”la sicurezza era garantita”, disse il ministro dell’Interno. Lasciando di stucco Bertone e Bagnasco e perfino provocando un gesto di stizza in padre Georg che corse subito a riferire al Papa. Fu a quel punto, constatando l’amarezza di Benedetto XVI che Bertone, Ruini e Bagnasco decisero di comune accordo di fare un riferimento alla verità di quei colloqui in occasione della prolusione che il presidente della Cei avrebbe pronunciato qualche giorno dopo davanti all’assemblea dei vescovi italiani. ”La rinuncia di Benedetto XVI”, disse Bagnasco, ”si è fatta necessariamente carico dei suggerimenti dell’Autorità italiana”, provocando così una stizzita reazione non più di Amato, ma della stessa presidenza del Consiglio dei ministri che in un comunicato ha fatto riferimento non alle telefonate del ministro dell’Interno, ma al contenuto delle riunioni tecniche con la Gendarmeria vaticana. Il peggio- meno noto- è però venuto nelle ore immediatamente successive. Perché fra gli organismi di sicurezza italiani e in particolare fra i vertici dei servizi segreti è iniziata a circolare una velina- assai simile a un dossier- sull’ispettore generale della gendarmeria vaticana. Lì si sosteneva come la sua attività fosse agli atti della procura di Roma per alcune intercettazioni telefoniche con l’ex capo della sicurezza Telecom, Giuliano Tavaroli e con altri esponenti dei servizi segreti oggi finiti in disgrazia. La velina sembra avere tutto il sapore di una vendetta, accompagnata da sussurri del genere: ”Giani è uomo di Nicolò Pollari”... Alla procura di Roma non risulta infatti alcun dossier del genere. E che Giani fosse nato nella Guardia di Finanza all’epoca di Pollari non è un mistero: è scritto nella sua biografia ufficiale. Di più: nemmeno strano che abbia contatti con i servizi italiani: vi ha militato in un certo periodo, ed oggi è capo della sicurezza del Papa... Ma i veleni, partiti da ambienti governativi, hanno irritato molto il Vaticano... Franco Bechis