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 2008  gennaio 29 Martedì calendario

LETTERE GIULIANO FERRARA


Lettera aperta. Il Manifesto 29 gennaio 2008. Caro Giuliano Ferrara, mercoledì scorso ti ho visto, da Floris, e ho sentito quello che hai detto degli anni ’70. Ti è stato chiesto: ma c’era solo il terrorismo, in quegli anni? E tu hai risposto, in sostanza, che sì, c’era solo il terrorismo, nel senso che c’era contrapposizione ideologica, odio ideologico, e il terrorismo ne era la risultante. Non c’è male, come ricostruzione storica. Le stragi, per esempio, erano frutto di odio ideologico? La straordinaria esperienza dei Consigli di fabbrica, della democrazia sindacale, le conquiste dei lavoratori in tema di diritti, salute, ambiente, dignità sociale, l’incontro tra esperienza operaia e «sapere alto» (come l’esperienza delle 150 ore), tutto ciò aveva a che fare con l’odio ideologico? E quelle che si chiamavano lotte per la casa, per i servizi sociali, contro i doppi turni nelle scuole, per il tempo pieno, che cos’erano? «Lotta» significava mobilitazione, impegno, presenza nel territorio. E poi l’impegno negli organi collegiali della scuola, per una gestione più democratica, per l’apertura della scuola al territorio, anche per il rinnovamento dei contenuti, ha costituito, nella sua prima fase, un’esperienza straordinaria di presa di coscienza, di partecipazione diretta, per moltissime persone. Di che si trattava? Certo, c’erano forti contrapposizioni, ma la prospettiva non era né la rivoluzione né altro; c’era una prospettiva di democrazia più aperta, più partecipativa, e di una società un po’ più giusta, più egualitaria, prospettiva che poi non si è realizzata. Insomma, volevi dire che tutto questo faceva parte della contrapposizione ideologica e dell’odio ideologico, cioè di quello stesso clima che ha prodotto il terrorismo? Forse no, ma il tuo metodo è sempre quello: buttare lì quello che può funzionare sul piano della comunicazione, e giocare sulla confusione. Del resto, cosa facevi a scuola? Eravamo al liceo «Lucrezio Caro» a Roma, nell’anno scolastico 1969/70. Tu facevi la terza liceo, io ero ai primi anni di insegnamento. Quando entrai in classe il primo giorno mi trovai di fronte 10 studenti con il distintivo di Mao. Erano del gruppo «Servire il popolo». Pensavo che da loro avrei potuto avere contestazioni, perciò concordai un programma di storia che li potesse interessare. Ma mi sbagliavo, durante l’anno questi «maoisti» si rivelarono studenti modello, mentre le difficoltà vennero da te, che eri della Fgci, se non sbaglio. Tutto per te era occasione di disturbo, ti piaceva creare confusione, paralizzare l’attività didattica. Avevi un amico del Fronte della gioventù e vi divertivate a lanciare richiami da un capo all’altro della classe: tu gridavi qualche slogan, e lui rispondeva «eia eia alalà». Ogni occasione era buona, per te, per dichiarare «corteo interno» e far uscire gli studenti dalla aule. Non hai mai studiato, per tutto l’anno, fidando su quel «capitale culturale» trasmessoti dalla famiglia. Caro Giuliano, eri così, e anche se hai cambiato campo, idee, collocazione politica, in realtà non sei cambiato. La differenza è che allora tutto era ancora possibile.
Maurizio Lichtner


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Il mio prof degli anni ’70. Il Manifesto 30 gennaio 2008. Cari direttori, il mio vecchio professore supplente al liceo, Maurizio Lichtner, ha informato ieri i lettori del manifesto dei miei trascorsi di scolaro discolo, un po’ asino, scioperaiolo e goliardo. Non posso smentirlo, soprattutto per l’asino che sono a fronte della sua preparazione culturale, che immagino eccellente. Il prof ha dimenticato però i suoi, di trascorsi. Nella sua foga apologetica verso gli anni ’70, maledetti, che si aprirono con il botto di Feltrinelli, si snodarono con l’omicidio Calabresi e i processi alle Br e le sparatorie contro civili inermi, per finire con l’ammazzatina dell’on. Moro, il prof dimentica di dire come furono culturalmente preparati, quegli anni. Ma io lo ricordo. Per stipulare un conveniente e elegante compromesso con quelli che portavano il distintivo di Mao, e erano la massa roboante di «Servire il popolo», mentre io facevo il goliardo, Lichtner ci propose di studiare, del programma di storia, solo tre rivoluzioni: quella francese, quella del 1848 e la rivoluzione russa del 1917. A me la rivoluzione non dispiaceva, Mao a parte che non è mai stato affare mio, ma anche la storia mi piaceva. Glielo dissi in classe, che la storia si studia tutta o non si studia per niente, e evidentemente me ne volle, questo simpatico Asor Rosa dei piccoli. Da qui la sua lettera di ieri, dopo i Settanta e gli Ottanta e i Novanta e il XXI secolo. A proposito: avendo dato un’occhiata alla storia tutta, senza saltare le restaurazioni, nei favolosi anni ’70 stavo dalla parte della polizia e contro le Brigate rosse dell’album di famiglia da gita scolastica. Sbagliavo? Con molta cordialità.
Giuliano Ferrara

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