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 2008  gennaio 30 Mercoledì calendario

LA MIA GUANCIA SINISTRA

Vanity Fair 30 gennaio 2008.
In questo gennaio 2008 mi opero la guancia sinistra. un piccolo evento personale ma, in qualche modo, concerne George W. Bush e Bruce Willis, lo "scontro di civiltà" e il modo di guardare in faccia gli altri. E, soprattutto, quello di affrontare la sanità italiana e limitare i danni, seguendo la regola del 3. Se tutto va bene.
L’anno scorso ho attraversato il mondo per raccontarvi Terra ”07, quest’anno inseguo me stesso per parlare del resto, diario ”08. Non sono solo fatti miei, perché ho imparato a fare del mio volto uno specchio: chi mi incontra, incontra se stesso.
La guancia sinistra, dunque.

E BUSH MASTICAVA
Anche stamattina, quando sono andato a fare il prelievo del sangue per gli esami pre-operatori, la cortese analista del laboratorio mi ha chiesto: "Ha un brutto ascesso?". No, ho una buffa guancia. Come Jessica Rabbit, mi hanno disegnato così, solo mettendo la curva un po’ più in su, sul lato sinistro del volto, dove le vene sono andate a intorcinarsi nella guancia, formando un "lago". Per quarant’anni è stato definito inoperabile. No problem: diventava eccessivo solo se stavo a lungo chinato (no yoga) o bevevo troppo (no whisky). In compenso mi ha aiutato a capire meglio e al volo le persone, e mi ha procurato divertenti aneddoti da raccontare.
Avevo dodici anni quando il primo medico se ne occupò. Concluse, mentre ero seduto di fronte a lui sul lettino: "Credo sia una forma tumorale. Speriamo benigna". Sulla via del ritorno progettai un adolescenziale romanzo intitolato Stanza 357, che mi avrebbe dato fama postuma e planetaria. Invece sopravvissi, diventai giornalista e mi abituai alle domande della gente.
"Hai un ascesso?".
"Stai mangiando una caramella?".
Rispondo invariabilmente sì. Primo: perché la storia del lago e dell’impossibilità di aspirarlo è troppo lunga. Secondo: chi fa questa domanda di solito non resta nella mia vita. La guancia sinistra è stata una cartina di tornasole delle affinità elettive. Io non faccio domande, amo chi non ne fa.
A farmi impazzire sono stati quelli che si ostinavano a suggerire rimedi. Il più cocciuto l’ho incontrato a Los Angeles, nel 1999. Ero lì per gli Oscar, era l’anno di Roberto Benigni. Finisco a una festa. Arriva questo Bill, su una decappottabile blu cobalto. Per vivere, racconta, rimedia ai guai delle celebrità. Il posto è pieno di uomini giovani con le giacche a righe, ragazze giovanissime con l’accento russo. Bill offre cocaina a tutti. "No, grazie", rispondo.
" per la guancia? Se vuoi, conosco un chirurgo che te la sistema. Sa fare miracoli. Gli ho portato Bruce Willis".
Dico: "Non mi sembra che Bruce Willis abbia problemi".
Dice: "Non l’hai visto prima". Quasi quasi mi fido. Cambio idea all’alba, quando mi racconta che lo stesso chirurgo ha "perfettamente" riattaccato la testa a una ragazza finlandese, dopo che le pale dell’elicottero privato di Dennis Rodman gliel’avevano staccata.
Qualche mese più tardi sono nell’Iowa per l’annuncio della candidatura alla Casa Bianca di George W. Bush. Invece di aspettarlo con gli altri cronisti al comizio nella fattoria previsto per le undici, alle nove sono davanti alla scuola dove farà una visita informale. Arriva l’auto blu. Lui scende e si trova davanti venti contadini e un tizio alto con una guancia buffa. Non esita, mi prende sottobraccio e comincia a camminare verso la scuola. Mi guarda e dice: "Stai masticando tabacco, eh?". Siccome penso sarà presidente, mi preparo a spiegare la storia del lago, ma lui mi anticipa, mette una mano in tasca, ne tira fuori una manciata di tabacco, l’inforna e dice: "Anch’io". Ride soddisfatto, mi batte sulla spalla e prosegue verso il noto destino.
Da relativista, immaginavo che qualunque difetto avesse una nicchia nel mondo dove trasformarsi in pregio. La prova l’ho avuta in Yemen, nel gennaio del 2004. Mi alzo verso le dieci e mi dirigo verso il mercato di quell’incredibile città che è Sana’a. I venditori mi osservano curiosi. In breve l’entusiasmo tracima. "Mabruk!", cominciano a esclamare. "Complimenti!", in arabo. Si passano parola. Ragazzini escono dai vicoli per vedermi e mi applaudono. Oltre a "Mabruk!", comincio a distinguere un’altra parola: "Qat!". Poi uno mi sfiora la guancia, riverente. allora che capisco.
Nello Yemen è passatempo nazionale questa droga leggera, il qat, un fogliame che viene masticato per ore nel pomeriggio e mai sputato fino a sera. Si forma una palla verdastra che viene depositata nella guancia (solitamente sinistra) e ruminata con crescente soddisfazione. Detto così sembra facile. In realtà è piuttosto disgustoso e complesso, specie per i neofiti. Gli yemeniti cominciano da ragazzini e impiegano anni a farlo come si deve. Gli stranieri di passaggio provano e, per lo più, sputazzano a breve, o fanno finta. Non si era mai visto prima un forestiero con una perfetta palla di qat, per di più al mattino. Ho percorso il suq come un sultano in visita. Mi hanno regalato fogliame e perline. Finalmente avevo trovato il posto dove la mia anomalia diventava la mia straordinarietà.

TRE SPECIALISTI, UN SOLDO
Poi sono tornato in Italia e il lago ha cominciato a tracimare come l’entusiasmo degli yemeniti. Al mattino mi svegliavo sentendo la guancia pulsare. La dieta alcolica è diventata un’astinenza senza il conforto di motivazioni religiose.
Mi è giunta voce che avevano trovato il modo di operare situazioni come la mia. Si trattava solo di trovare lo specialista giusto. E qui vi voglio. Chi non ci ha provato? Quanti consulti sono necessari? La mia esperienza dice: tre. , anche, la terza volta che mi capita. Di solito, funziona. E, spero, non c’è due senza tre.
La prima volta avevo quattro anni. Mia madre, forte di un’esperienza ospedaliera, diagnosticò: "Questo bambino non ci vede bene". Camminando, centravo le colonne. Mi condusse dal primario del reparto oculistico nel più rinomato ospedale di Bologna. Sentenziò: "Bisogna operare d’urgenza, o perderà la vista". Il verdetto sembrò crudele e inappellabile. Tuttavia se ne volle un secondo. Due ore dopo ero di fronte a un altro specialista, che decretava: "Nessun problema, è un difetto che si cura da solo, con il tempo. A diciotto anni prenderà la patente senza obbligo di lenti". Quale dei due aveva ragione? Mia madre cercò un terzo parere e, poiché i luminari di Bologna erano finiti, emigrammo a Modena, dove la risposta fu: "Né chirurgia né miracoli. Occhiali subito e per tutta la vita". Puntammo sul 3 e, credo, vincemmo: non sono cieco e non ho avuto miglioramenti.
Trent’anni dopo mi si bloccò una spalla. Senza traumi né altre spiegazioni, semplicemente il mio braccio nel giro di pochi giorni si fermò: non saliva più di dieci centimetri. Primo specialista: "Ha una lesione alla cuffia dei rotatori, bisogna intervenire chirurgicamente e in fretta". Peccato che alla risonanza magnetica questa cuffia dei rotatori risultasse intatta. Secondo specialista: "Nessun problema, guarirà con un mese di fisioterapia". Al quarto mese senza risultati chiesi a mia madre di trovarmi il terzo esperto. Che mi guardò annoiato appena tentai di sollevare il braccio. Disse solo: "Capito. Sblocco in narcosi". Secoli di scienza hanno portato a questo: mi anestetizzarono e, mentre dormivo, lui mulinò il mio braccio fino a staccare le fibre che gli impedivano i movimenti. A farlo male, si spezza il braccio. A farlo bene, lo si guarisce.
 un mio destino: in Tv vedi operazioni al laser, chirurghi che usano tecniche sofisticate ascoltando Bach. Con me si torna al Medio Evo, a interventi stile casalinghe disperate. Per la guancia, alla fine, mi iniettano Sole piatti. Più o meno: una mousse, un sapone liquido, con effetto astringente, sclerosante, già che ci siamo detergente. Il problema era trovare lo specialista che se ne occupasse.
Comincio da Roma. Per individuare i rami del "lago" debbo fare una risonanza magnetica. Il radiologo mi tumula, mi nega le cuffie anti rumore perché il liquido di contrasto che mi inietta deve "illuminarmi" la testa, e mi consegna un pulsante da premere in caso di "problemi". "Ci rivediamo tra mezz’ora", dice. Dopo venti minuti ho, in effetti, un problema: il braccio mi fa male, sempre più male. Mia madre, ancora lei, mi ha allevato cercando di innalzarmi la soglia del dolore. Da piccolo toglievo i denti senza anestesia. Mi sono fatto strappare un’unghia incarnita stringendo una bandana tra i denti. Ma il braccio non lo reggo più, e di minuti ne saranno passati ben più di trenta. Infatti il radiologo torna e dice: "Oh, qui non si vede, che è andato fuori l’ago?".
Esatto. Si ricomincia.

DONNE FANTASTICHE & FANTASMI
Dopo un’ora e un quarto nella bara esco e porto l’esito allo specialista, che osserva le lastre e programma l’intervento. Lo spiega e sembra tutto semplice, poi si interrompe e dice: "Ma lei... ha vissuto in Libano, vero?".
"Sì".
"Ah, ed è vero che le libanesi sono fantastiche?".
Ora, questo è un mio problema: se tu mi operi e va tutto bene, DOPO possiamo andare al bar, offro io, e parlare di donne. Egiziane, thailandesi, californiane. Fai tu. Ma PRIMA, quando mi devi forare la faccia, siamo seri e parliamo del lago e dell’ago. Anche se ci devi far passare Sole piatti.
A questo punto, secondo specialista, a Bologna. Anche lui non la fa difficile: dice di aver visto di peggio. Descrive la procedura, poi ha un dubbio: "Senta anche il radiologo, nella stanza a fianco, e torni". Il radiologo ha per segretaria Dolly Parton e per barbiere Edward Mani di Forbice. Esamina le lastre, resta perplesso e suggerisce un ulteriore esame, prima di procedere. Torno dal chirurgo con la notizia. Commento: "Beh, certo, se lei vuole la massima sicurezza...". No, un po’ di rischi li corro volentieri, mi piace l’idea che possiate sfigurarmi, senza un brivido non mi addormento, neanche con l’anestesia. Saluto e vado a Milano.
La cosa buona è che, come il terzo specialista della spalla, appena mi vede il professore sembra annoiato. la reazione che provo io davanti a un fatto di cronaca: "Lo so, lo so... è una notizia che domani andrà in prima pagina". Certo, è sensazionale, per chi non ne ha già lette altre cento così. Quindi mi affido a lui. Mi fa, anche, vedere una galleria in cui scopro i miei fratelli: decine di bambini che ha operato alla guancia. Le immagini li mostrano prima e dopo. Curioso: ti credi sempre solo, ma non lo sei. Unico al mondo, ma c’è sempre qualcuno che ti somiglia, da qualche parte, solo che non lo sai. C’è una Sana’a per tutti e per tutti i difetti, e c’è un sosia che ci cammina, cercandoci, per condividere problemi e soluzioni. L’universo parallelo è già qui, bisogna solo aprire gli occhi e fare un po’ di strada.
Ancora più curioso: nel guardare le foto dei pazienti "dopo", avverto una nostalgia, come se mancasse loro qualcosa. Alla fine, quella guancia era una definizione, una cosa talmente reale (carne e sangue, in fondo) da diventare surreale. Una mattina, anni fa, esco per comperare il giornale. Un tizio, mentre sale in moto, mi sorride e dice: "Tagliatela con una lametta!". Lo guardo in faccia: giurerei che è Alberto Castagna, quello che presentava Stranamore, si era ammalato e poi era tornato. La moto romba via. Prendo i quotidiani e sulle prime pagine c’è la notizia: " morto Alberto Castagna". Mi giro: la moto è scomparsa. La guancia c’è ancora. Per poco, forse. E noi?
Ogni volta che entriamo in un ospedale, ammettiamolo, facciamo il check in con qualche preoccupazione. Hai voglia dire: è un intervento semplice. Poi leggi di bambini che muoiono durante una tonsillite. Se uno vuole la "massima sicurezza", deve prepararsi a tutto. Anche all’eventualità, benché remota, di un check out anticipato mentre fa il pieno di detergente. Sono pronto da trentacinque anni, da quando il primo medico che mi visitò la guancia disse la frase: "Formazione tumorale, speriamo benigna". Ho battuto la data di scadenza che stava scritta sulla mia confezione. E immaginato come finirà. All’epoca, dodicenne, avevo appena visto Via col vento. Verrà la morte e avrà gli occhi di Rossella O’Hara. Annuncerà: "Domani NON è un altro giorno".
E io: "Francamente, mia cara, me ne infischio".
Gabriele Romagnoli