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 2008  gennaio 29 Martedì calendario

ITALIA E GERMANIA IN GUERRA UN CONFRONTO SCOMODO

Corriere della Sera 29 gennaio 2008. Sui libri di storia più aggiornati si trovano maggiori dettagli sulle stragi commesse dagli italiani durante l’occupazione dell’Etiopia tra il 1936 e il 1937, sia per mera violenza colonialista verso le popolazioni locali al fine di stroncarne ogni resistenza, anche con l’uso di gas tossici (migliaia di morti senza nome), sia per rappresaglia contro l’attentato a Graziani (almeno 30.000 i morti accertati). L’impressione è che la storiografia ufficiale abbia di fatto e per lungo tempo omesso di approfondire questo aspetto del periodo «imperialista» dell’Italia, come a voler minimizzare quanto accaduto in quegli anni nel Corno d’Africa. Le sarei grato se mi aiutasse a capire se e quale differenza possa esservi tra stragi come quelle commesse in Africa dall’esercito italiano e quelle commesse in Italia da quello tedesco (Marzabotto, S. Anna di Stazzema, ecc.) e tra rappresaglie come quella effettuata per l’attentato a Graziani e quella delle Fosse Ardeatine per l’attentato di Via Rasella. A meno che non si debba concludere che un morto italiano è più importante di un nero senza nome ucciso in Etiopia.
Fernando Esposito


Gradirei un chiarimento in relazione all’occupazione dell’Italia da parte delle truppe tedesche, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Quel che apprendo da alcuni testi, è che dopo lo sbarco in Sicilia, la Germania alleata ci inviò alcune divisioni e materiale bellico per aiutarci a sostenere l’urto degli Alleati angloamericani.
Pare che Hitler, per far ciò, sguarnì il fronte est, in qualche modo indebolendolo.
Con l’armistizio segreto e separato, i tedeschi si trovarono in Italia improvvisamente nemici anche degli italiani, senza essere stati avvertiti del voltafaccia. pensabile che fossero un po’ «irritati» nei nostri confronti. Quel che mi stupisce è che ufficialmente – nel periodo 8 settembre ’43-25 aprile ’45 – i tedeschi figurano «nemici occupanti»; mi sembrerebbe più equilibrato considerarli «alleati traditi» al di là delle motivazioni di una guerra inutile e scellerata, provocata da Hitler, ma pienamente condivisa dagli italiani.
Possiamo ora, dopo 62 anni, usare serenamente e senza ipocrisie la dizione: «occupanti involontari e irritati»?
Enrico Morretta
enricomorretta@libero.it
Cari Esposito e Morretta,
L
e vostre lettere dimostrano quanto sia difficile utilizzare un evento storico per proclamare verità indiscusse e tesi incontestabili. Può accadere anzi che i protagonisti e gli studiosi di una stessa vicenda ne abbiano percezioni completamente diverse. Quando Angelo Del Boca affermò che le truppe coloniali in Etiopia avevano fatto uso di gas asfissianti, Indro Montanelli replicò che la tesi, a suo avviso, era insostenibile. Aveva fatto con il X battaglione eritreo una guerra coloniale pulita, quasi cavalleresca, e non riusciva a immaginare che altre formazioni italiane, su un altro fronte, avessero fatto una guerra sporca. Ma si arrese e ammise l’errore quando Del Boca produsse documenti dello stato maggiore che rendevano la sua tesi inconfutabile.
Ora l’opinione comune si è rovesciata e tutti sono disposti a credere che le forze armate italiane in Etiopia abbiano dato prova di grande crudeltà. vero, vi furono molti episodi riprovevoli e feroci rappresaglie, soprattutto dopo l’attentato di Addis Abeba contro Graziani il 19 febbraio 1937. Ma i «30.000 morti accertati » sono una evidente esagerazione e il compiacimento con cui questi episodi vengono ricordati produce almeno due effetti negativi. In primo luogo rende incomprensibili i sentimenti patriottici di coloro che parteciparono alla guerra e l’entusiasmo con cui la notizia della vittoria venne accolta in Italia. In secondo luogo induce nell’osservatore l’impressione che gli italiani siano stati i colonialisti più efferati e crudeli. Il confronto con altri Paesi non giustifica e non assolve. Ma per comprendere il fenomeno dell’imperialismo coloniale sarà bene ricordare i belgi in Congo, i francesi in Indocina e in Algeria, i tedeschi in Sud Africa, gli inglesi in Sudan e in Iraq, gli americani nelle Filippine, gli spagnoli in Marocco. La storia raccontata con l’indignazione e con i sentimenti diventa incomprensibile.
Le stesse considerazioni valgono entro certi limiti per il comportamento delle truppe tedesche dopo l’8 settembre 1943. Non so quanto il «tradimento dell’Italia» abbia nuociuto alle forze armate del Reich, già sconfitte in Africa e a Stalingrado. Ma è certamente vero che il soldato tedesco, indipendentemente dalla sua fede ideologica, si sentì abbandonato, tradito ed esposto a maggiori pericoli. possibile che questo sentimento abbia influito sul comportamento di alcune unità, soprattutto durante la fase della ritirata. Ed è probabile che l’ostilità verso gli italiani sarebbe stata ancora maggiore se la creazione di uno Stato fascista non avesse perpetuato il clima e l’illusione dell’alleanza.
Sergio Romano