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 2008  gennaio 30 Mercoledì calendario

Folla al processo, Rosa e Olindo mano nella mano. La Repubblica 30 gennaio 2008. COMO. Nello spazio angusto della gabbia assurdamente dorata dentro l´aula della Corte d´Assise, la tragica coppia di Erba accusata di aver sterminato tre donne e un piccino e quasi ucciso un uomo, in assoluta, demente futilità mette in scena con spavalda noncuranza i gesti leziosi e stanchi dell´affetto imperituro

Folla al processo, Rosa e Olindo mano nella mano. La Repubblica 30 gennaio 2008. COMO. Nello spazio angusto della gabbia assurdamente dorata dentro l´aula della Corte d´Assise, la tragica coppia di Erba accusata di aver sterminato tre donne e un piccino e quasi ucciso un uomo, in assoluta, demente futilità mette in scena con spavalda noncuranza i gesti leziosi e stanchi dell´affetto imperituro. Non si aspettava altro da Rosa Bazzi e Olindo Romano, e le televisioni, e i fotografi, cui la Corte ha concesso pochi minuti di riprese, e i cronisti con i loro taccuini hanno finalmente una storia di quelle che piacciono adesso: con tanto sangue, molta efferatezza ma anche possibili brandelli d´amore o di sesso. Così, che siano colpevoli della strage degli innocenti vicini, come avevano confessato quasi con orgoglio subito dopo essere stati fermati nel gennaio 2007, o non colpevoli, come si sono dichiarati all´udienza preliminare del novembre scorso, il piccolo e grosso spazzino e la piccolissima e robusta donna a ore si amano, nel bene e nel male; si sono amati stando insieme nel loro lindo camper e vivendo separati nelle rispettive celle; si amavano mentre, secondo l´accusa, l´uno prendeva a randellate Raffaella Castagna e l´altra sgozzava il piccolo Youssef e in nove minuti ammazzavano a bastonate e coltellate la madre di Raffaella, Paola Galli e la vicina Valeria Cherubini, non riuscendo a finire il di lei marito Mario Frigerio; si vezzeggiavano mentre festeggiavano insieme in un fast food la liberazione da quell´ingombro umano che era stata quella insopportabile strana e felice famigliola, e se la ridevano complici mentre assaporavano i giorni in cui non c´era più un bambino a far disordine nel cortile e le notti si erano fatte finalmente silenziose e placide senza quella ragazza brianzola che era diventata musulmana per amore di un extracomunitario ed amava la musica africana. Separati in carcere se non per un´ora la settimana, il processo che dovrà decidere il loro comunque funesto destino li rimette vicino, davanti a un eccesso di giornalisti, a un pubblico silenzioso e composto, soprattutto maschile e in età, non così vasto come temevano i moralisti dei tempi bui, a una folla di avvocati dalle toghe perfettamente stirate, a una moltitudine di guardie carcerarie dal berretto azzurro, a una ressa di carabinieri anche di alto grado, a una Corte d´Assise composta da signore e un solo uomo e presieduta dal magistrato Alessandro Bianchi; che decidendo con grande saggezza di limitare le riprese televisive a una sola trasmissione (Un giorno in pretura) da mandare in onda a fine processo, lascia con un palmo di naso i signori dei talk show più sanguinolenti: che essendo però indomabili, troveranno altre strade per saziare la loro fame di massacro horror. E già si prevede il tentativo più che azzardato di schierare colpevolisti contro innocentisti, detective a caccia di misteriosi altri serial killer contro esperti della Sacra Sindone capaci di decifrare le visioni dello scampato testimone Frigerio o contro studiosi lombrosiani di coppie criminali. Carlo Castagna, l´uomo a cui hanno straziato moglie figlia e nipotino, è in aula tra i primi assieme ai figli Giuseppe e Pietro che si sono costituiti parte civile. I due fratelli di Raffaella hanno l´aria sperduta, sofferente, il padre sembra sereno, dignitosamente presente. Lo ripete gentilmente: «Ho perdonato, ma voglio lo stesso giustizia». Quando arriva Azouz Marzouk, genero non dei più esemplari, gli stringe la mano, nella condivisione della perdita immensa e del dolore irrimediabile. Azouz arriva dal carcere di Vigevano dove è rinchiuso con l´accusa di spaccio, gli levano le manette e gli consentono di sedersi, circondato da guardie, accanto agli avvocati di parte civile. pallido e intimidito, la corta barba arabeggiante che gli arrotonda il viso giovane, forse Lele Mora l´ha già dimenticato ma qui nel pubblico una signora torinese gli fa sapere che ci sono sempre battesimi e cresime dove necessitano vip, se in seguito, una volta fuori dal carcere, vorrà favorire. Né lui né Castagna guardano alla loro sinistra, verso quelle due ombre ingabbiate che si bisbigliano, che si sfiorano, che si intrecciano, che si palpano, che si sorridono. Olindo è intabarrato nel grigiore del solito grosso maglione e giaccone, gonfio e immobile, lo sguardo assente e a tratti feroce, accarezza la coscia fasciata di jeans di Rosa, con un gesto che appare sconveniente, offensivo per chi li guarda. Rosa, golfone bianco, un po´ di rossetto sulle labbra, gli rassetta il giaccone, lo imbocca con un pezzo di pane, gli liscia i polsi quando gli tolgono le manette, gli appoggia le ginocchia contro le sue, ha le guance arrossate da una specie di funebre civetteria, esibisce accudimento, disinvoltura, persino seduzione. Lui si abbandona alle fotografie, lei si piega sulla spalla di lui, per nascondersi un po´ ma non del tutto, mentre con lo sguardo segue le smanie dei cronisti. Nel loro confuso esibizionismo, appaiono incapaci di capire la loro situazione; forse anche non ben consigliati, illudendosi ormai di essere due eroi neri e quindi, per il trash, due personaggi rosa, su quel piccolo palcoscenico drammatico che è la gabbia degli imputati in cui sono entrati di loro volontà, continuano a imporre la loro estraneità non solo al mondo ma al loro stesso processo, forse anche al loro destino. Se sono innocenti, come adesso sostengono, o se la loro colpa non è accertabile, come cercheranno di provare con ogni mezzo anche bizzarro i loro agguerriti difensori, non sembra che ci tengano molto a mostrarsi tali. Se come sostiene il pm Massimo Astori, sui cadaveri straziati nella notte dell´11 dicembre 2006 nel piccolo condominio di Erba, «c´è la firma degli imputati», pare angoscioso non percepire alcuna traccia di un pentimento nel tranquillo intreccio dei loro pensieri, nessun ricordo o incubo molesto, di grida, di sangue, di orrore nello scambio allarmante delle loro affettuosità che li allontana da ogni dignitosa partecipazione a un momento altamente drammatico della loro difficile vita. C´è una parola forse eccessiva, che talvolta sembra fiorire da un´azione malvagia e assurda, a lenire l´eventuale dolore che pure i colpevoli, anzi, soprattutto i colpevoli, possono provare, ed è «espiazione». Ma Rosa e Olindo non ne conoscono probabilmente il significato: dentro la loro gabbia insieme, guardano quel che succede nell´aula con distacco, persino con un lieve disprezzo, come se non li riguardasse tutto quell´agitarsi di avvocati, e di giornalisti, e di guardie per loro, gli incolori, gli invisibili, i dimenticati, i non fortunati, quelli che sono stati descritti come mostri; sanno di avere le loro ragioni, di essere nel giusto, di aver fatto pulizia nel lindore cieco della loro esistenza autistica di cui nessuno si accorgeva. Se verrà provato che le loro confessioni erano sincere, che davvero loro hanno progettato e messo in atto quello sgombero di detriti, di persone che infestavano il vuoto muto della loro esistenza chiusa, pare di capire che ben poco cambierà per loro. Colpevoli, non colpevoli, quel che doveva succedere è successo, e adesso tutto è a posto. Natalia Aspesi