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 2008  gennaio 30 Mercoledì calendario

L’ambientalista scettico. Capitolo II: "Perché tante cattive notizie?" Nel 1992 con un sondaggio (Health of the Planet) si misurò la preoccupazione delle persone per le questioni ambientali

L’ambientalista scettico. Capitolo II: "Perché tante cattive notizie?" Nel 1992 con un sondaggio (Health of the Planet) si misurò la preoccupazione delle persone per le questioni ambientali. Risultato: più del 50% delle risposte mostrava apprensione. Quasi ovunque l’impressione dei cittadini era che la situazione ambientale mondiale fosse pessima, quella nazionale leggermente migliore della prima e quella locale fosse la migliore in assoluto. In pratica è come se si pensasse che l’erba del nostro prato è più verde di quella del vicino. Ma si tratta chiaramente di una percezione errata: come è possibile che tutti gli ambienti locali siano buoni, se quello globale, che è la loro somma, è in pessimo stato? Agli inizi degli anni Novanta il 70% degli americani pensava che l’opinione pubblica non fosse abbastanza interessata alla questione ambientale. Eppure almeno questo 70% di cittadini doveva necessariamente esserlo. Se lo scienziato si imbatte in una questione che può dimostrarsi fonte di problemi, allora c’è interesse a investigarla con più attenzione e più investimenti. E questo non è un male, anzi: solo accumulando le conoscenze si può fare in modo che una questione non diventi un problema. Tuttavia spesso la mole di informazioni è percepita come il segnale di un incombente pericolo. Un buon esempio per descrivere il fenomeno è quello delle piogge acide. Tra gli anni 70 e 80 le foreste dell’Europa centrale subirono gravi perdite di fogliame. Un gruppo di ricercatori tedeschi collegò il fatto all’inquinamento industriale. Secondo loro tutte le foreste sottoposte alle piogge acide avrebbero subito gli stessi danni. La preoccupazione si diffuse e si moltiplicarono gli studi sull’argomento. Dieci anni più tardi si dimostrò che l’acidità danneggiava i tronchi degli alberi, ma solo in alcune rare circostanze. Però nel frattempo si erano moltiplicati gli studi e le dichiarazioni pessimiste. Il fenomeno del ”cassetto degli inediti”. Un ricercatore trova che non ci sia relazione, per esempio, tra campi elettromagnetici a bassa frequenza e tumori umani. Presenta lo studio a un editore, che però non lo pubblica (perché farlo? Esso rivela soltanto che tra due fenomeni non c’è interdipendenza). Poco dopo un altro studio trova un legame, magari soltanto casuale, tra gli stessi elementi: l’editore lo pubblica. Solo a questo punto la prima ricerca viene considerata interessante. Sarebbe talvolta meglio, dunque, non riporre fede assoluta negli articoli di ricerca, perché in fondo a qualche cassetto di un editore potrebbe essercene un altro che dimostra il contrario. La ricerca ha bisogno di finanziatori, e man mano che i finanziamenti aumentano la ricerca diventa un’industria. Il professor Aksel Wiin Nielsen, già segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite, ha scritto: "Il principale motivo per cui negli ultimi dieci anni c’è stato un lavoro teorico così vasto nello sviluppo di modelli climatici è che lo sviluppo di tali modelli garantisce finanziamenti e posti di lavoro nelle istituzioni di ricerca". Dalle pagine della rivista Energy Policy un ricercatore ha sostenuto che il dibattito internazionale sul clima è stato avviato dai climatologi e dall’industria dei generatori di energia eolica. Si sa che ci sono diverse organizzazioni, anche di carattere politico, che premono sulla ricerca ambientale, come per esempio la National Federation of Independent Business (NFIB), l’American Farm Bureau (AFB), la Confederation of British Industry. Questi organismi difendono gli interessi dei propri iscritti. Se gli industriali britannici dicono che le norme ambientali per le aziende sono inutili, chi ascolta accoglie questi discorsi con scetticismo perché sa che potrebbero coprire altri interessi. Non ci si rende conto che anche i movimenti ambientalisti (come Wwf, Greenpeace, World Watch Institute) abbiamo interesse a dire che l’ambiente è in cattive condizioni. Più la situazione sembrerà negativa all’opinione pubblica, più facile sarà convincere tutti che è necessario investire per l’ambiente. Rilevante è anche la tendenza dei mezzi di comunicazione a diffondere soprattutto le cattive notizie. Un caso esemplare è quello della comparsa, nel 1997-98, del Niño che finì per essere collegato a qualsiasi fenomeno meteorologico al mondo. I giornali si dilungarono sui suoi possibili effetti disastrosi del Niño, descritto come "l’evento climatico del secolo". In effetti gli fu attribuito di tutto: la crisi del turismo, l’aumento delle allergie, lo scioglimento delle piste da sci, le violente nevicate nell’Ohio. La Disney lo accusò addirittura di aver fatto crollare le quotazioni delle sue azioni (a causa del calo dei visitatori nei parchi). Un articolo pubblicato dal Bulletin of the American Meteorological Society ha tentato un bilancio di svantaggi e vantaggi imputabili al Niño. Tra i primi: tempeste in California, raccolti danneggiati, costi per i soccorsi, perdite umane ed economiche. Tra i secondi: le temperature invernali più miti hanno provocato 850 morti per assideramento in meno, i costi per il riscaldamento sono stati inferiori, ci sono stati minori danni da inondazioni primaverili. Si stima che le perdite totali siano state di 4 miliardi di dollari, i benefici di 19 miliardi.