Libero 30/01/2008, ANDREA SCAGLIA, 30 gennaio 2008
La vera storia di Licio il Venerabile. Libero 30 gennaio 2008. "17 marzo 1981. Castiglion Fibocchi in provincia di Arezzo
La vera storia di Licio il Venerabile. Libero 30 gennaio 2008. "17 marzo 1981. Castiglion Fibocchi in provincia di Arezzo. Da quel momento a cambiare non fu la vita di Licio Gelli, ma la storia d’Italia". Perché lui è l’uomo del mistero, il Gran Maestro per antonomasia. il burattinaio , mestiere che sognava per sé quand’era bambino. Ed è da quel giorno, da quando una perquisizione rivelò i 962 nomi degli iscritti alla Loggia P2, che il termine massoneria è davvero diventato d’uso comune, sinonimo di potere occulto: "Il potere invisibile", titolo del libro di Lucia Leonessi (A.Car Edizioni, 275 pagine, 18 euro) con la prefazione dello stesso Gelli, corredato da foto d’epoca e documenti inediti. D’altronde a Villa Wanda, residenza storica del Venerabile, "piena di luci e ombre", la Leonessi è di casa dal ’91. I VENTI FALDONI "La verità di Licio Gelli", questo il sottotitolo del volume, non può non partire dal quel giorno di marzo, in Toscana. Lui era in Uruguay, dove risiedeva da anni. Lui che "ave va reclutato, schedato, legato a se stesso e all’idea massonica tante persone, tutte molto influenti", costituendo un gruppo di potere "invisibi le, diffuso e solido". Durante quella perquisizione trovarono la lista, ma non la cosa più importante. Perché in un ufficio della Giole, stabilimento di abbigliamento diretto da Gelli, c’erano venti faldoni, "portavano in bella vista la scritta Pubblicità e ritagli di stampa ". In effetti, nelle prime pagine erano archiviate réclame di linee di moda. Ma se i finanzieri avessero controllato meglio, avrebbero trovato le schede specifiche di ogni iscritto, con i rilievi delle indagini esplorative precedenti l’affiliazio ne e le attività successive. Svelando così i segreti dei potenti d’Italia, visto che "molte delle più delicate cariche della Repubblica erano occupate da affiliati". Archivio che Gelli riuscì a far arrivare in Uruguay, dove fu bruciato. Ancora oggi lo conferma: "Il vero elenco era tra le carte distrutte in Sudamerica". Fosse stato scoperto, chissà quanto altro materiale avrebbe avuto a disposizione la Commissione d’inchiesta sulla P2. Quella presieduta da Tina Anselmi, che Gelli racconta di aver incontrato quand’era latitante. Con la Anselmi che non lo risconosce e lui che organizza un caffè "con l’onore vole che ignara di tutto ricevette anche un plico dall’uomo che ricercava in tutto il mondo". FUGA DALLA PRIGIONE Gelli fu arrestato nel settembre dell’82. Era a Ginevra, nella filiale della banca UBS. Doveva prelevare dei soldi dal conto dell’inesi stente signor Gori, ma gli impiegati erano in realtà poliziotti. Fu portato nel carcere di Champ-Dollon e accolto dal direttore della prigione, "caro Gelli, da qui non è mai fuggito nessuno". Ci rimase undici mesi, in cella. Certo è che si procurò la mappa del carcere, "qualche smemorato si dimenticò di chiudere porte e cancelli", arrivò al furgone che lo aspettava lì fuori. "Ma il furgone non andava in moto", e la sirena d’allarme aveva cominciato a suonare. L’autista chiese aiuto alle guardie, "ho finito il turno e devo portare via la roba, sono stanco, fatemi uscire prima che scoppi il caos...". Le guardie spinsero, il furgone partì. Un elicottero lo avrebbe poi portato in Costa Azzurra, dalla moglie Wanda. SCHERZO A PANNELLA Negli anni di latitanza dopo la fuga da Ginevra (dove poi si costituì nel 1987), in particolare dalla seconda metà del 1985 fino a metà ’86, Gelli in realtà abitava a Roma. In un appartamento "di proprietà di un onorevole della Dc, sottosegretario di governo", anch’egli "fedelissimo alla P2". Viveva normalmente, solo poche precauzioni. Gli capitò un giorno di imbattersi in un comizio di Marco Pannella, con il leader radicale che provocatoriamente proponeva di candidarlo alle elezioni. "Il giorno dopo Gelli telefonò alla segreteria di Pannella, se lo fece passare fingendosi il segretario di se stesso e aggiunse che Gelli avrebbe anche potuto pensare alla proposta di candidatura". FASCISTI E PARTIGIANI Nel libro, la Leonessi - che non nasconde l’ammirazione per il Venerabile - racconta anche infanzia e adolescenza di Gelli, nato nel 1919 a Pistoia: la passione per le lettere ereditata dalla madre Maria, il padre mugnaio, il fratello Raffaello partito per la guerra di Spagna e arruolato nell’esercito di Franco. E, nel ’36, "l’incidente scolastico": il 17enne Licio accusato di aver copiato un compito, l’alterco con l’insegnantefinito "con una rovinosa caduta a terra", l’espulsione da tutte le scuole del regno. L’anno dopo, anche Gelli parte per la Spagna, anche lui si arruola con Franco, ritrova il fratello che però muore dopo qualche mese. Tornato in Italia, viene in seguito inviato in Montenegro come ispettore dei fasci di combattimento per il litorale dalmata. Dopo il 25 luglio 1943 e la deposizione di Mussolini, rientra in patria e aderisce alla Repubblica Sociale, nominato ufficiale di collegamento tra gli italiani e il comando tedesco. Salvo poi, vista la malaparata, cercare contatti con i partigiani comunisti dei Gap, "che ebbero addirittura l’ordine di ucciderlo. Ordine che, improvvisamente, venne annullato". RITI DA MASSONI nell’autunno del 1963 che Gelli entra per la prima volta nella sede di una loggia massonica, la Romagnosi di Roma. Il futuro Gran Maestro era un dirigente della Permaflex, ben inserito negli ambienti che contano. Nel ’69, passò alla Loggia Hod . Poi gli fu chiesto di riorganizzare la Loggia Propaganda 2 , che vivacchiava stancamente, per "inserire delle figure che potessero portare nuova luce al tempio". All’interno della P2, il proselitismo avveniva seguendo un accurato protocollo. Gelli "divise" l’Ita lia in settori - "...magistratura, politica, forze armate, stampa..." per capire dove cercare adepti. Individuata la persona, "si procedeva a conoscere la sua vita: il modo di operare nel lavoro, in famiglia e nella vita privata". Si redigeva un dossier sul candidato, poi lo si faceva avvicinare "da due fratelli di alto rango e lo si invitava a una cena dove c’era un personaggio importante del suo settore, ad esempio un generale se si era nell’am bito dell’esercito". Se tutto andava come previsto, si poteva compilare la domanda di iscrizione, da sottoporre al Consiglio Superiore delle Grandi Luci. L’iniziazione avveniva in una delle sedi della P2 o "nel la suite di un grande albergo, dove era allestito un tavolo con drappo nero, sopra il quale veniva posto un tempietto massonico con tutti i simboli": compasso, bilancia, scacchiera, spada tortuosa fiammeggiante. "Il neofita veniva insignito con la spada tortuosa fiammeggiante ed era abbracciato tre volte dai fratelli recitando sei mio fratello ". Ad ogni iscritto veniva intestata una scheda con le informazioni per la Loggia: "Se entro il primo anno aveva presentato come richiesto due persone di alto rango, se aveva ottenuto quello che aveva chiesto, se non lo aveva ottenuto ed il perché, tutto quello che lo riguardava". Proprio le schede bruciate in Uruguay. LA RETE IN SUDAMERICA Negli anni Settanta, l’enorme rete di conoscenze di Gelli si estendeva anche in Sudamerica. Juan Perón l’aveva conosciuto negli anni Cinquanta, quand’era in esilio. Perón rientrò in Argentina nel ’73, tornò al potere "e per Gelli iniziò un proficuo periodo di collaborazione". Collaborazione che proseguì anche durante la dittatura militare seguita al colpo di Stato del ’76, se è vero che "per la visita in Italia dell’ammiraglio argentino Massera, nel 1977, fu lo stesso Gelli a stendere il piano organizzativo", riuscendo a "organizzare anche un incontro con Giulio Andreotti, presidente del Consiglio". LEONE E LO "SCHEMA R" C’è poi il capitolo dedicato a Giovanni Leone. E alla sua elezione a presidente della Repubblica, nel dicembre del ’71. Gelli racconta di un incontro con un avvocato "che aveva uno studio legale in società" con Leone. Il succo era questo: "Ero disposto ad appoggiare, nell’ambito dei numerosi confratelli iscritti alla Loggia P2 e dei loro amici, l’elezione di Leone?". Gelli rispose che "poteva fare assegnamento". In ogni caso, Leone fu eletto. E proprio a Leone, sostiene ancora Gelli, venne fatto pervenire il cosiddetto "Schema R", poi sviluppato nel "Piano Rinascita", i cui documenti (pubblicati nel libro) furono sequestrati alla figlia di Gelli, Maria Grazia, il giorno del suo arresto a Fiumicino, nel luglio del 1981. Il piano, "conse gnato al dottor Nino Valentino" [col laboratore di Leone, ndr] , mirava ad arginare l’avanzata del Pci e a contrastare l’atmosfera di rivolta sociale. Da una parte auspicava la trasformazione dell’Italia da repubblica parlamentare a presidenziale, la riduzione dei parlamentari, l’elimina zione delle Province e dei ministeri superflui; dall’altra proponeva una dura stretta repressiva, il divieto di tenere manifestazioni politiche, l’impiego delle Forze Armate in operazioni di ordine pubblico, il ripristino della pena di morte per i reati più gravi, il controllo su radio e tv. Nino Valentino "disse che offriva molti spunti da estrapolare. L’azione venne rinviata al 1980, epoca in cui era prevista la nomina di Giovanni Torrisi a Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Venne sospesa per i noti fatti sull’inchiesta iniziata il 17 marzo 1981". E si torna a quel giorno. Il giorno in cui "a cambiare non fu la vita di Licio Gelli, ma la storia d’Italia". ANDREA SCAGLIA