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 2008  gennaio 30 Mercoledì calendario

Penone, l’alchimista-poeta che immortala gli alberi. Il Messaggero 30 Gennaio 2008. E’ CRESCIUTO nei boschi del Tanaro

Penone, l’alchimista-poeta che immortala gli alberi. Il Messaggero 30 Gennaio 2008. E’ CRESCIUTO nei boschi del Tanaro. Fin dagli inizi, ha eletto l’Albero a ”idea prima e più semplice di vitalità, di cultura e di scultura” con un ciclo di rara forza poetica e per questo la sua immagine si è imposta come quella dell’uomo che sussura agli alberi, li abbraccia, ne rivela ”l’anima” prima di immortalarli per sempre. Un ”inviato speciale nella natura” - secondo una felice definizione di Graziella Lonardi, che con gli Incontri internazionali d’arte ne propose il talento nella mostra Vitalità del negativo del 1970 - impegnato in una ricerca capace di riunire i regni vegetale, minerale e animale in opere memorabili. Ma al di là di questa facciata ecologica e quasi bucolica Giuseppe Penone, maestro dell’arte povera e acclamato protagonista della scena contemporanea da quattro decenni, è soprattutto un appassionato esploratore della Materia, tutta la materia, organica o inorganica. Animato da un demone alchemico e suggestivo: indagarne i segreti e le potenzialità in ogni sua forma, si tratti di bronzo, gesso, marmo, pietra, acqua, foglie, fronde o rami. Ne dà un’ulteriore prova in questa grande mostra a Villa Medici, la più ampia e significativa mai presentata a Roma (da oggi al 25 marzo, tutti i giorni dalle 11 alle 19 e chiusura il lunedì), a cura di Richard Peduzzi, catalogo edito da Hazan, con testi di Peduzzi e Graziella Lonardi e saggi di Jean-Christophe Bailly e Daniela Lancioni. Trenta opere (accompagnate da una mostra fotografica di Luca Stoppini) che occupano tutti gli spazi dell’Accademia di Francia: la Cisterna romana, le Gallerie, i Giardini e l’Atelier del Bosco. La Cisterna accoglie l’imponente installazione Lo spazio della scultura, venti elementi in bronzo di forma quadrata ricavati dal calco della corteccia di un grande albero. Sullo scalone delle Gallerie si succedono le nove sculture in bronzo del ciclo Pelle di foglie e quella conclusiva intitolata Un anno di bronzo. Nell’Atelier del bosco sono esposti i sedici elementi di Pelle di marmo in marmo di Carrara. E nel giardino della Villa svetta Idee di pietra, uno straordinario albero in bronzo alto 13 metri, realizzato appositamente per questa mostra. Spiega Penone, con modi gentili e toni soft in una sala di Villa Medici: «L’arte del XX secolo è stata centrata sull’uomo. Ha quasi dimenticato la natura fino agli anni 60, quando c’è stato da parte di diversi artisti l’intento di ritornare alle radici della scultura, ai suoi elementi fondanti. Per me è stato logico avvicinarmi alla realtà che mi circondava, quella della natura, che conoscevo meglio. Più che da un intento ecologico, il mio interesse è stato dettato da ragioni artistiche, dall’esigenza di approfondire il rapporto con la materia e analizzarne le straordinarie potenzialità. Perché, tra i materiali che usa, privilegia il bronzo? «La ragione è semplice: il bronzo è un materiale che fossilizza perfettamente il vegetale. L’età del bronzo coincideva con un animismo totale e deve aver prodotto una riflessione sulla crescita del vegetale come alimento degli oggetti o, nel caso dell’arte, delle sculture. C’è, fra il materiale bronzo e il regno vegetale, un legame molto forte che dà vita a un procedimento interessante». In cosa consiste? «Per la fusione si usano parti vegetali, dei rami che si dispongono come un’arborescenza, una crescita, per permettere al bronzo di arrivare su tutta la superficie della scultura che si vuole ottenere. Così, da una parte c’è il vegetale che sfugge alla forza di gravità perché la pianta cresce, si stacca dal terreno attratto dalla luce. E dall’altra la fusione del bronzo che, invece, risponde in pieno alla legge di gravità e riporta la materia verso il basso. Insomma, è un gioco di sinergie e contrasti sorprendente». Cosa possiamo apprendere ancora dal rapporto tra materia inerte e mondo della vita vegetale? «E’ difficile, per me, separare nettamente queste due realtà. Noi parliamo di ”materia inanimata” ma un blocco di marmo, staccato dalla montagna, muore perchè non partecipa più alle trasformazioni geologiche. Insomma, il confine tra ”materia e mondo della vita” è incerto. E anche il linguaggio comune avvalora questa mia idea: per esempio, quando diciamo ”le vene del marmo” riconosciamo una vitalità della materia che può meravigliarci ma, a mio avviso, esiste». Il mondo vegetale, che lei da artista ha esplorato come pochi, può darci nuove impensabili sorprese? «Ho disegnato alcune tele con le spine. Erano spine d’acacia che raccoglievo sugli alberi e ho notato che, nei punti dove questi alberi venivano tagliati, le spine erano più grandi, perché la spina è una difesa del germoglio e quindi c’era una reazione dell’albero che sviluppava una difesa... In Africa ci sono alberi che, quando vengono mangiati dagli animali, trasmettono agli altri alberi messaggi che provocano una reazione al punto di farli diventare velenosi. Sì, c’è una vita vegetale che può essere una fonte di emozioni di cui non abbiamo ancora idea». MASSIMO DI FORTI