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 2008  gennaio 29 Martedì calendario

Un business che fa gola a tutti. Il Sole 24 Ore 29 gennaio 2008. Di fronte a quello che sta accadendo in questi mesi in Campania – e in diversa misura nelle altre regioni del Sud e in alcune del Centro-Nord – vale la pena di porre in chiaro un principio: l’emergenza rifiuti fa comodo

Un business che fa gola a tutti. Il Sole 24 Ore 29 gennaio 2008. Di fronte a quello che sta accadendo in questi mesi in Campania – e in diversa misura nelle altre regioni del Sud e in alcune del Centro-Nord – vale la pena di porre in chiaro un principio: l’emergenza rifiuti fa comodo. Se non a tutti, a molti e in ogni parte d’Italia: alle imprese disoneste che trovano il modo di smaltire illegalmente migliaia di tonnellate di scarti tossici o pericolosi, agli amministratori che utilizzano le emergenze per pilotare consensi e voti, ai politici locali per dirottare assunzioni clientelari o promuovere inutili società miste che allietano le tasche dei dirigenti e alleggeriscono quelle dei contribuenti. L’emergenza rifiuti – che da almeno 14 anni in Campania è diventata ordinaria – fa soprattutto gola alle mafie che dalla raccolta, dal trasporto e dallo smaltimento illegale intascano ogni anno non meno di 5,8 miliardi. Non è però solo la Campania la terra della munnezza che si trasforma in oro. La stessa cosa accade in Sicilia, in Calabria, in Puglia e – risalendo la penisola – anche in Umbria (dove alcuni giorni fa è iniziato un processo che coinvolge amministratori pubblici e dirigenti d’impresa per l’uso disinvolto di una discarica infiltrata dalla camorra) e in altre parti d’Italia dove – se anche le mafie non gestiscono direttamente il ciclo – lucrano dai traffici verso il Sud. Nessuna sorpresa, dunque, per quanto sta accadendo in Campania, regione ricca di oltre mille cave e discariche abusive dove, a partire dagli anni Ottanta, molte imprese del Nord-Est e del Nord Ovest hanno sversato ogni tipo di rifiuto nell’indifferenza totale di un Paese che sembra solo ora accorgersi dello scempio. Lo scenario in Campania è cambiato soprattutto a seguito delle inchieste della magistratura napoletana e casertana di Santa Maria Capua Vetere. Ha influito il risveglio di una parte della società civile – guidata da associazioni come Legambiente – stanca di morire per colpa della diossina o di soffrire una malattia dietro l’altra: le imprese non sotterrano più in questa terra ogni sorta di fango o sostanza nociva. Il paradosso, però, è che dietro questo cambio di direzione – che ora porta in superficie solo i comportamenti poco virtuosi dei campani, agli ultimi posti nella raccolta differenziata e ai primi per reati ambientali – c’è sempre la regia della camorra, a partire dal clan dei Casalesi.  la criminalità organizzata che ha tratto profitto dai terreni destinati a discarica, venduti alle amministrazioni locali nel giro di poche ore anche al quintuplo del valore di acquisto. la camorra che ha guadagnato e guadagna cifre enormi dal trasporto (soprattutto d’urgenza) dei rifiuti fuori regione (dalla Calabria alla Sicilia, dal Lazio alla Puglia). la camorra che lucra dalla mancanza di impianti di compostaggio e che soffia sul fuoco dell’ambientalismo spinto che rifiuta i termovalorizzatori. soprattutto la camorra (attraverso la falsificazione di documenti e bolle) che da qualche anno ha deciso di dirottare i traffici illeciti delle imprese disoneste non più nelle cave casertane ma lontano: in Cina e in India, ancor più che nel Centro Africa. I costi sono più bassi e il rischio – grazie alle compiacenze di politici e funzionari locali corrotti – scende. In Oriente, da Genova a Salerno, da Trieste a Napoli, arrivano navi cariche di container inquinanti: dai rottami ferrosi al cromo, tanto per dare un’idea. Intere montagne di rifiuti tossici o mortali che per pochi dollari al giorno i cinesi indigenti rivitalizzano e destinano a una nuova vita che non cancella il loro alto potere inquinante o mortale: dalla plastica agli stessi cibi, come dimostrano alcune inchieste condotte dalla Procura della Repubblica di Genova. Le operazioni "Mesopotamia", "Ombre cinesi", "Grande Muraglia", condotte dalla magistratura, già da sole raccontano le nuove rotte del business. Ma non è solo la Campania ad essere terreno di conquista o di scorribande della criminalità organizzata. Basta leggere quello che sta accadendo in questi giorni in Calabria e Sicilia per rendersene conto. Nel silenzio dei media nazionali, il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Scopelliti, sta conducendo una battaglia che dovrebbe togliere potere e risorse alle ’ndrine che nel capoluogo (ma non solo) hanno puntato da tempo i riflettori sul business del ciclo dei rifiuti. Il sindaco vorrebbe riorganizzare la gestione, ora affidata a una società mista, "Leonia". Morale: spari contro i mezzi della società, cassonetti bruciati, intimidazioni all’assessore comunale alle Politiche ambientali, Antonio Caridi e al capo di gabinetto del sindaco, Franco Zoccali. Ora la questura - come conferma al Sole-24 Ore il questore Santi Giuffrè – sta monitorando e vigilando con discrezione, giorno e notte, mezzi e depositi. Non va dimenticato che alcuni giorni fa – ancora una volta nel silenzio dei media nazionali – è stato sequestrato dalla magistratura il 25% delle azioni dell’"Appennino paolano spa", la società dell’alto cosentino che raccoglie i rifiuti. Un quarto della società sarebbe nelle mani della ’ndrina Gentile-Besaldo di Amantea, alleata con il clan Muto di Cetraro. Se si attraversa lo Stretto e si va in Sicilia lo scenario non cambia. Il 12 gennaio, all’Università di Roma "La Sapienza", il responsabile dell’Osservatorio Ambiente e legalità di Legambiente Sicilia, Tiziano Granata, ha presentato uno studio dal titolo: "I rifiuti sono Cosa Nostra-Criminologia dell’impresa mafiosa nella gestione illecita dei rifiuti". Un viaggio nel business che attraversa oltre 40 anni di vita regionale, con una costante: le mani delle cosche sul ciclo dei rifiuti da Catania a Palermo. Lo dimostra anche un pizzino di Bernardo Provenzano: nel 2001 si rivolgeva ad un affiliato impartendo un ordine sulla discarica di Ventimiglia di Sicilia. Roberto Galullo