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 2007  settembre 13 Giovedì calendario

Per ora il Partito democratico è meno della somma Ds-Dl. Il Sole 24 Ore 13 settembre 2007. Secondo il sondaggio pubblicato ieri da «Repubblica» il Partito democratico, quando manca un mese alla sua nascita ufficiale, raccoglie il 28 per cento dei consensi

Per ora il Partito democratico è meno della somma Ds-Dl. Il Sole 24 Ore 13 settembre 2007. Secondo il sondaggio pubblicato ieri da «Repubblica» il Partito democratico, quando manca un mese alla sua nascita ufficiale, raccoglie il 28 per cento dei consensi. Abbastanza per incoraggiare Veltroni («siamo i primi»), ma troppo poco per rassicurare davvero sul futuro del centro-sinistra. Il 28 per cento rappresenta il 3,3 in meno di quanto abbiano raccolto Ds e Margherita, sommati insieme, nelle elezioni del 2006. Ne deriva che per ora il nascituro Pd non riesce nemmeno a riportare a casa tutti i voti del binomio da cui prende origine.  un caso tipico delle fusioni in Italia: la somma di due partiti separati è sempre superiore al totale del nuovo soggetto. Il che costituisce uno scenario drammatico per gli architetti politici che preparano le primarie di ottobre. L’effetto Veltroni non sembra così evidente come gli ottimisti speravano. A quanto pare c’è bisogno di qualcosa di più per sedurre l’elettorato. Tanto più che recuperare i voti del 2006 (Ds più Margherita) sarebbe ancora insufficiente. La vera sfida del Partito democratico consiste nello sfondare sul versante del centro-destra. Solo così può pensare di rovesciare un rapporto di forza che vede ancora l’opposizione berlusconiana, stando ai sondaggi, in vantaggio di parecchi punti percentuali. Qui è il nodo della questione. Il nuovo partito ha bisogno di idee nuove, cioè di colpire la fantasia dell’opinione pubblica con proposte efficaci e quasi rivoluzionarie. Tanto più che il centro-destra vive a sua volta un momento di afasia. La stessa vicenda legata al V-Day di Beppe Grillo dimostra che il berlusconismo non incanala più in via esclusiva il senso di frustrazione e di disincanto di una grossa fetta di elettorato. Bossi ha colto subito il pericolo e anche Fini, ieri, ha parlato di «un’onda che può travolgerci». Ha ragione, il leader di An: non esiste una rendita di posizione permanente per la Cdl o quel che ne rimane. Gli uni e gli altri, la destra e la sinistra moderata, devono riadattare il loro messaggio. Ma il compito più difficile nell’immediato tocca ai fautori del Pd. A Padova Veltroni è intervenuto in un ambiente poco favorevole e ha usato un linguaggio che è piaciuto all’uditorio, composto di rappresentanti del tessuto produttivo in genere poco compiacenti verso la sinistra di governo. Giorni fa il ministro Visco aveva accusato di «antistatalismo» quegli stessi imprenditori che il sindaco di Roma ha invece blandito con ben maggiore senso dell’opportunità. Nella sostanza tuttavia ha ripetuto punti di vista già espressi nel discorso di Torino, tempo fa. Quel che occorre è «una democrazia che decide» e che non si fa bloccare dai veti. Principio fondamentale che tuttavia non può risolversi nella semplice enunciazione. Veltroni ha parlato della necessità di tagliare il numero dei parlamentari, ipotesi al momento piuttosto astratta. Ci sarebbe in realtà una strada più rapida per mandare un segnale agli italiani: la drastica riduzione del numero dei ministri, in linea con la riforma Bassanini mai così disattesa. Nella Margherita c’è chi insiste da giorni su questo punto (vedi «Europa») e in effetti sarebbe un colpo di teatro a dir poco clamoroso. Ma il candidato leader evita di imboccare tale sentiero. Ne vede di certo i rischi destabilizzanti per Prodi. E qui ci si impiglia nella solita contraddizione. Il Pd deve sostenere l’esecutivo, ma tale sostegno appanna l’identità del partito e gli impedisce di esprimere qualche idea innovativa. Alla lunga l’ambiguità non regge. Stefano Folli