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 2007  febbraio 06 Martedì calendario

ATTENZIONE: SONO SEI ARTICOLI (PIù UNA LETTERA) SULLO STESSO LIBRO, UNO A FAVORE E UNO CONTRO, IL TERZO CRITICO CON MOLTA ARGOMENTAZIONE, IL QUARTO CRITICO USCITO SULLO STESSO CDS CHE AVEVA COMINCIATO CON LUZZATTO. IL QUARTO ARTICOLO E’ STATO PUBBLICATO DOPO UNA LETTERA DI PROTESTA MANDATA AL DIRETTORE (E NON PUBBLICATA) DA DUE GIORNALISTI DEL CDS, DARIA GORODISCHY E PIERO LANZARA (I DUE ERANO ANCHE MEMBRI DEL CDR). TENERE CONTO DI TUTTO. L’ULTIMO ANNUNCIA IL RITIRO DEL LIBRO. L’ARTICOLO FINALE DA ISRAELE SULLA RITRATTAZIONE COMPLETA E LA CONDANNA DELLA KNESSETH


Trento, 23 marzo 1475. Vigilia di Pesach,
la Pasqua ebraica. Nell’abitazione-sinagoga di un israelita di origine tedesca, il prestatore di denaro Samuele da Norimberga, viene rinvenuto il corpo martoriato di un bimbo cristiano: Simonino, due anni, figlio di un modesto conciapelli.
La città è sotto choc. Unica consolazione, l’indagine procede spedita. Secondo gli inquirenti, hanno partecipato al rapimento e all’uccisione del «putto» gli uomini più in vista della comunità ebraica locale, coinvolgendo poi anche le donne in un macabro rituale di crocifissione e di oltraggio del cadavere. Perfino Mosé «il Vecchio», l’ebreo più rispettato di Trento, si è fatto beffe del corpo appeso di Simonino, come per deridere una rinnovata passione di Cristo. Incarcerati nel castello del Buonconsiglio e sottoposti a tortura, gli ebrei si confessano responsabili dell’orrendo delitto. Allora, rispettando il copione di analoghe punizioni esemplari, i colpevoli vengono condannati a morte e giustiziati sulla pubblica piazza.
Durante troppi secoli dell’era cristiana, dal Medioevo fino all’Ottocento, gli ebrei si sono sentiti accusare di infanticidio rituale, perché quelle accuse non abbiano finito con l’apparire alla coscienza moderna niente più che il parto di un antisemitismo ossessivo, virulento, feroce. Unicamente la tortura – si è pensato – poteva spingere tranquilli capifamiglia israeliti a confessare di avere ucciso bambini dei gentili: facendo seguire all’omicidio non soltanto la crocifissione delle vittime, ma addirittura pratiche di cannibalismo rituale, cioè il consumo del giovane sangue cristiano a scopi magici o terapeutici. Impossibile credere seriamente che la Pasqua ebraica, che commemora l’esodo degli ebrei dalla cattività d’Egitto celebrando la loro libertà e promettendo la loro redenzione, venisse innaffiata con il sangue di un goi katan, un «piccolo cristiano»! Più che mai, dopo la tragedia della Shoah, è comprensibile che l’«accusa del sangue» sia divenuta un tabù. O piuttosto, che sia apparsa come la miglior prova non già della perfidia degli imputati, ma del razzismo dei giudici. Così, al giorno d’oggi, soltanto un gesto di inaudito coraggio intellettuale poteva consentire di riaprire l’intero dossier, sulla base di una domanda altrettanto precisa che delicata: quando si evoca tutto questo – le crocifissioni di infanti alla vigilia di Pesach, l’uso di sangue cristiano quale ingrediente del pane azzimo consumato nella festa – si parla di miti, cioè di antiche credenze e ideologie, oppure si parla di riti, cioè di eventi reali e addirittura prescritti dai rabbini?
Il gesto di coraggio è stato adesso compiuto. L’inquietante domanda è stata posta alle fonti dell’epoca, da uno storico perfettamente attrezzato per farlo: un esperto della cultura alimentare degli ebrei, tra precetti religiosi e abitudini gastronomiche, oltreché della vicenda intrecciata dell’immaginario ebraico e di quello antisemita. Italiano, ma da anni docente di storia medievale in Israele, Ariel Toaff manda in libreria per il Mulino un volume forte e grave sin dal titolo, Pasque di sangue.
Magnifico libro di storia, questo è uno studio troppo serio e meritorio perché se ne strillino le qualità come a una bancarella del mercato. Tuttavia, va pur detto che Pasque di sangue
propone una tesi originale e, in qualche modo, sconvolgente. Sostiene Toaff che dal 1100 al 1500 circa, nell’epoca compresa tra la prima crociata e l’autunno del Medioevo, alcune crocifissioni di «putti» cristiani – o forse molte – avvennero davvero, salvo dare luogo alla rappresaglia contro intere comunità ebraiche, al massacro punitivo di uomini, donne, bambini. Né a Trento nel 1475, né altrove nell’Europa tardomedievale, gli ebrei furono vittime sempre e comunque innocenti. In una vasta area geografica di lingua tedesca compresa fra il Reno, il Danubio e l’Adige, una minoranza di ashkenaziti fondamentalisti compì veramente, e più volte, sacrifici umani.
Muovendosi con straordinaria perizia sui terreni della storia, della teologia, dell’antropologia, Toaff illustra la centralità del sangue nella celebrazione della Pasqua ebraica: il sangue dell’agnello, che celebrava l’affrancamento dalla schiavitù d’Egitto, ma anche il sangue del prepuzio, proveniente dalla circoncisione dei neonati maschi d’Israele. Era sangue che un passo biblico diceva versato per la prima volta proprio nell’Esodo, dal figlio di Mosè, e che certa tradizione ortodossa considerava tutt’uno con il sangue di Isacco che Abramo era stato pronto a sacrificare. Perciò, nella cena rituale di Pesach, il pane delle azzime solenni andava impastato con sangue in polvere, mentre altro sangue secco andava sciolto nel vino prima di recitare le dieci maledizioni d’Egitto.
Quale sangue poteva riuscire più adatto allo scopo che quello di un bambino cristiano ucciso per l’occasione, si chiesero i più fanatici tra gli ebrei studiati da Toaff? Ecco il sangue di un nuovo Agnus Dei
da consumare a scopo augurale, così da precipitare la rovina dei persecutori, maledetti seguaci di una fede falsa e bugiarda. Sangue novello, buono a vendicare i terribili gesti di disperazione – gli infanticidi, i suicidi collettivi – cui gli ebrei dell’area tedesca erano stati troppe volte costretti dall’odiosa pratica dei battesimi forzati, che la progenie d’Israele si vedeva imposti nel nome di Gesù Cristo.
Oltreché questo valore sacrificale, il sangue in polvere (umano o animale) aveva per gli ebrei le più varie funzioni terapeutiche, al punto da indurli a sfidare, con il consenso dei rabbini, il divieto biblico di ingerirlo in qualsiasi forma.
Secondo i dettami di una Cabbalah pratica tramandata per secoli, il sangue valeva a placare le crisi epilettiche, a stimolare il desiderio sessuale, ma principalmente serviva come potente emostatico. Conteneva le emorragie mestruali. Arrestava le epistassi nasali. Soprattutto rimarginava istantaneamente, nei neonati, la ferita della circoncisione. Da qui, nel Quattrocento, un mercato nero su entrambi i versanti delle Alpi, un andirivieni di ebrei venditori di sangue umano: con le loro borse di pelle dal fondo stagnato, e con tanto di certificazione rabbinica del prodotto, sangue kasher...
Risale a vent’anni fa un libretto del compianto Piero Camporesi, Il sugo della vita (Garzanti), dedicato al simbolismo e alla magia del sangue nella civiltà materiale cristiana. Vi erano illustrati i modi in cui i cattolici italiani del Medioevo e dell’età moderna riciclarono sangue a scopi terapeutici o negromantici: come il sangue glorioso delle mistiche, da aggiungere alla polvere di crani degli impiccati, al distillato dai corpi dei suicidi, al grasso di carne umana, entro il calderone di portenti della medicina popolare. Con le loro «pasque di sangue», i fondamentalisti dell’ebraismo ashkenazita offrirono la propria interpretazione – disperata e feroce – di un analogo genere di pratiche. Ma ne pagarono un prezzo enormemente più caro.

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Tre giorni dopo l’uscita di questo articolo, Giacomo Todeschini, su Repubblica, ha stroncato il saggio scrivendo tra l’altro: « notissimo che gli interrogatori dei testi fra medioevo ed età moderna venivano verbalizzati secondo una logica discorsiva che normalmente attribuiva agli accusati, previamente sottoposti a tortura, discorsi e minuziose descrizioni enunciati in realtà dai giudici, sulla base più che di "prove" (il concetto stesso di prova era molto diverso da quello poi maturato nei secoli), di convinzioni a loro volta derivate da una sistematica cultura teologica. Era sufficiente un breve assenso dell´imputato al discorso inquisitorio, perché nel verbale risultasse una confessione di più pagine. D´altra parte, la volontà dell´autore di costruire una narrazione efficace, lo induce, oltre che appunto a dare un valore di verità a testimonianze notoriamente manipolate, a passare con disinvoltura da fonti storiche significative a livello ideologico e controversistico (come quelle che rimandano alle discussioni fra teologi ebrei e cristiani nel Medioevo) a fonti storiche locali come quelle che narrano secondo logiche apologetiche ed agiografiche le vicende di beatificazione di santi e beati, primo fra tutti Simonino di Trento.
Queste due tipologie di fonte storica sono connesse, spregiudicatamente, da interpretazioni libere e ingiustificate. Primeggia fra tutte l´idea, spesso ripetuta, che la rievocazione del sacrificio d´Isacco nel rituale pasquale ashkenazita sia la base del sacrificio dei fanciulli ebrei minacciati da conversioni forzate, e che, poi, fondi gli omicidi rituali. Passi dagli scritti del rabbino Efraim di Bonn vissuto alla fine del XII secolo, brani particolarmente tendenziosi dalla famigerata cronaca del processo contro gli ebrei di Trento pubblicata dal francescano Benedetto Bonelli nel 1747, il Toledot Yeshu, un testo ebraico precedente all´ottavo secolo, vengono pazientemente cuciti insieme per dimostrare la tesi dell´Autore, e cioè l´esistenza di una stretta relazione fra controversie teoriche ebraico-cristiane e aggressività ebraica anticristiana.
Complessivamente colpisce la totale disattenzione dell´autore alla storiografia specifica sulle varie questioni, ma soprattutto impressiona la sua indifferenza nei confronti dei numerosi studi dedicati da cinquant´anni a questa parte a ciò che dovrebbe essere al centro di un libro sul tema dell´omicidio rituale: e cioè l´elaborazione teologica e narrativa cristiana, sin dal II-III secolo, di stereotipi della diversità ebraica, sfocianti poi, dal XII secolo, in forza delle profonde trasformazioni economiche e politiche europee, nel mito dell´aggressività distruttiva di coloro che non appartenevano alla società dei cristiani».

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la Repubblica, 10/2/2007
ADRIANO PROSPERI
La data del giorno della memoria è appena passata quando si deve aprire il dossier del cosiddetto "omicidio rituale"ebraico. Lo si fa con grande disagio. Ma due ragioni impongono che si torni a parlare di qualcosa che credevamo sepolto per sempre sotto gli orrori che ha prodotto e legittimato: la prima è che il libro esce in una autorevole collana di cultura storica; la seconda è che l´ipotesi che ci siano state delle "pasque di sangue" - sangue di bambini cristiani torturati e dissanguati – viene avanzata da uno storico che si chiama Toaff e che insegna in una università ebraica.
Immaginiamo che ci sia stata della sofferenza in uno storico ebreo davanti a una scoperta del genere e un conflitto interiore davanti al dovere professionale di non dire il falso e di non tacere niente del vero. Ma qui la sofferenza è cancellata dall´emozione di chi propone la madre di tutte le revisioni. La quarta di copertina strizza l´occhio al lettore: questo libro "affronta coraggiosamente uno dei temi più controversi nella storia degli ebrei d´Europa". Non si capisce bene dove sia il coraggio visto che la tesi qui sostenuta legittima le accuse dei vincitori e le persecuzioni dei vinti. E comunque non si tratta certo di un tema controverso. Non lo è per gli storici: nessuno storico degno di questo nome, almeno finora, ha mai dato corpo all´accusa dell´infanticidio rituale ebraico. Né lo è più da tempo per la Chiesa cattolica nel cui nome operarono i giudici dei processi contro gli ebrei. Lentamente ma con decisione, le anime dei bambini presunte vittime degli ebrei, elette alla gloria degli altari a furor di popolo, ne sono state ufficialmente fatte discendere.
Ma vediamolo questo libro. La prima sorpresa è che non ci sono documenti nuovi, solo un uso diverso delle fonti già note. La prova della sua tesi Toaff la trova nelle confessioni fatte dagli ebrei nei processi intentati a loro carico: qui, secondo lui, imputati diversi a distanza di tempo e di luogo non solo riferirono gli stessi particolari ma rivelarono anche qualcosa che solo gli ebrei potevano conoscere. Toaff non lo dice, ovviamente, ma la prima parte del suo argomento è identica a quello che dicevano secoli fa gli inquisitori, quando le accuse di infanticidio rituale passarono dagli ebrei alle streghe: la realtà del Sabba stregonesco emergeva secondo loro dalla perfetta sovrapponibilità delle confessioni delle imputate. La seconda partedell´argomento è dottamente argomentata con una citazione di Carlo Ginzburg: quando nei documenti della violenza dei persecutori si trovano frammenti della cultura perseguitata che non trovano riscontro in quella dei persecutori si apre uno spiraglio sull´autentica identità delle vittime. Il principio è buono e ha consentito a Ginzburg di rileggere in modo nuovo un grande problema storico. Ma Toaff, buon teorico, è un pessimo seguace del metodo che propone.
Il problema è semplice : è vero o no che nelle Pasque ebraiche veniva usato sangue cristiano procurato con infanticidi? Che gli imputati sottoposti a tortura lo ammettessero non è una prova, visto che questo era esattamente ciò che i giudici volevano far loro dichiarare. Bisogna cercare riscontri puntuali di quelle conoscenze segrete svelate a giudici ignari: e Toaff non ce ne offre nessuno che appaia persuasivo. Però almeno una volta annuncia trionfante di aver trovato i "precisi riscontri" di cui va in caccia. Vediamoli. Si tratta della testimonianza resa da Giovanni da Feltre, ebreo convertito, nel celebre processo trentino del 1475 per l´infanticidio del piccolo Simonino. Giovanni era figlio dell´ ebreo Sachetus, originario di Landshut, in Baviera, dove nel 1440 cinquantacinque ebrei erano statibruciati con l´accusa di aver ucciso un bambino. Giovanni , dopo aver tentato di schermirsi, finì col confessare che suo padre nel giorno della Pasqua ebraica era solito versare sangue del bambino cristiano nel suo vino e spargerlo sulla mensa maledicendo i cristiani; e aggiunse che tutti gli ebrei facevano così in segreto e che lui lo aveva visto e sentito. Questo documento, così importante per lui, Toaff lo cita di seconda mano. Se avesse avuto la pazienza di risalire all´ottima edizione che ne hanno fatto Anna Esposito e Diego Quaglioniavrebbe scoperto: 1) che Giovanni era in prigione per altro reato , per cui la sua testimonianza di uomo "infamatus" non era valida in giudizio. Chi se ne servì fece un abuso di potere e torchiò un uomo che aveva motivi forti per prestarsi alla volontà del potere; 2)che Giovanni non rivelò qualcosa che il giudice non conosceva, ma confermò colorendolo con qualche dettaglio ciò che il podestà gli aveva suggerito nella domanda verbalizzata in processo. Lasua testimonianza fu decisiva per mettere in moto la feroce macchinagiudiziaria.Ma quella testimonianza e l´intero processo furono giudicati nulli dalcommissario apostolico inviato da papa Sisto IV (perché quel processo trentino fu così abnorme da attirare l´attenzione di Roma). Le regole di procedura penale tenevano conto di qualcosa che in questo libro non risulta mai con la dovuta chiarezza: il terribile potere della tortura, mezzo capace di far confessare qualunque cosa a chiunque. Le norme imponevano che si ricorresse alla tortura solo in presenza di prove e testimonianze valide. Sarebbe come seoggi, scomparso per fortuna (ma a qual prezzo) il sospetto di infanticidio rituale contro gli ebrei ma sopravvivendo altre categorie sociali di diversi, i giudici torturassero gli zingari ogni volta che scompare un bambino. Invece nel 1475 il podestà di Trento, spinto dal vescovo-principe Hinderbach, sottopose gli ebrei trentini a torture violentissime in assenza di prove valide e poi assunse come prova le confessioni dei torturati. Subito dopo in quel drammatico scorcio del ”400 ci fu un´epidemia di casi di presunti infanticidi edi violenze antiebraiche. L´Inquisizione spagnola nacque sull´onda delle emozioni antiebraiche per il caso di un "santo bambino". Ancor oggi nelle chiese spagnole, nonostante i divieti della Chiesa di Roma, capita di vedere venerati bambini crocifissi da ebrei. Ma di questi casi Toaff curiosamente non parla: e questo perché ha un suo paradigma interpretativo che attribuisce l´infanticidio e più in generale l´omicidio rituale non a tutti gli ebrei ma solo agli ashkenaziti. Quel mondo ebraico di area germanica, imbarbarito nei rituali e dominato da una superstiziosa fiducia negli usi terapeutici e magici del sangue, oltre che animato da odii più radicati nei confronti dellapopolazione cristiana, gli è sembrato il candidato giusto per l´originedell´infanticidio e per la sua diffusione fino nelle propaggini trentine e venete. Ma perché non ci dice che dal mondo germanico veniva anche il vescovo Hinderbach e che nella sua testa la convinzione della colpa degli ebrei era fissa fin da prima del processo? così fissa e stabile da andare in cerca in casa dell´imputato Samuele del coltello rituale del sacrificio e, non trovandolo, da accontentarsi di far confessare sotto tortura a Samuele che gli ebrei si erano irritualmente serviti di una tenaglia.
Resterebbe da dire del dubbio coniugio fra l´antropologia dei riti ebraici qui diffusamente esposta e la storia dei rapporti di potere e dei pogrom. Il modo di procedere del libro è come un gioco a carte truccate: le storie che le vittime raccontarono per saziare i carnefici sono prese per buone, ricucite con altre storie e amalgamate con abbondante salsa antropologica di storia dei rituali ebraici. Ma accostare pratiche rituali ebraiche più o meno connessecol sangue e ammissioni di infanticidi fatte da persone sotto tortura vuol dire costruire un castello senza fondamenta. Anche le streghe, eredi di quell´accusa inquisitoriale di infanticidio rituale già sperimentata contro gli ebrei confessarono ai giudici dell´Inquisizione (spesso perfino senza torture) di avere fatto morire bambini, di averli ritualmente mangiati, di avere maledettola croce e trescato col demonio. Per rendere credibili le confessioniraccontarono molti episodi e denunziarono persone reali come complici.Finché all´inizio del ”600 un documento ufficiale del Sant´Uffizio romano ordinò che non si prestasse più fede né alle confessioni delle streghe pentite, per quanto circostanziati, né agli indizi di riti magici, né alle accuse delle popolazioni cristiane a proposito di presunti infanticidi: per procedere in via giudiziaria ci doveva essere il corpo del delitto, cioè la prova che i bambini erano stati effettivamente fatti morire dalle streghe con arti diaboliche. Così finì la storia del sabba stregonesco. Ben prima era entrato in crisi nella cultura dei giudici dell´Inquisizione anche quel paradigma dell´infanticidio rituale ebraico che ora salta fuori come uno scherzo carnevalescodi pessimo gusto. Arnaldo Momigliano diceva che, se uno storico sbaglia nell´uso delle fonti, ci pensano i colleghi a farglielo notare con la debita durezza. Però Momigliano non poteva prevedere che, cambiando i tempi, la critica storiografica venisse amministrata dai professori non dalla cattedra universitaria ma dalla redazione di un giornale o dallo studio di una televisione: con l´inevitabile dose difretta e – talvolta, ma non necessariamente – di cinismo che ne deriva.

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La Stampa, 10/2/2007
Quell’«Apologia»
dimenticata
In attesa di leggere il libro di Ariel Toaff che ha comunque già raggiunto lo scopo di dare una non invidiabile notorietà al suo autore, fornendo però nuove (anche se antiche) armi agli antisemiti, voglio ricordare - a proposito della morte del Simonino - che già nel 1475 Battista de’ Giudici, vescovo di Ventimiglia e commissario apostolico inviato da Sisto IV a Trento per accertare le responsabilità degli ebrei nella morte del bambino, aveva scritto una Apologia Iudaeorum. In tale Apologia sta scritto: il commissario pontificio agì in modo ben diverso dal podestà e dal capitano di Trento che a forza di torture fuor di misura sforzarono i Giudei a confessare un crimine non commesso e poi li tolsero di mezzo con una morte ignominiosissima perché non potessero ritrattare.
AUGUSTO SARTORELLI
MILANO

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Corriere della Sera, 11/2/2007
ANNA ESPOSITO DIEGO QUAGLIONI
 sempre estremamente pericoloso voler leggere le fonti partendo da un preconcetto, perché questo è destinato a condizionarne la comprensione e a falsarne il significato; ed è proprio da un’idea precostituita che Ariel Toaff si è mosso nell’affrontare il tema dell’omicidio rituale imputato agli ebrei: un tema delicato, sia per l’uso che ne è stato fatto in passato, sia per l’effetto che può avere su un pubblico di non specialisti. Tutto il libro di Toaff ( Pasque di sangue. Ebrei d’Europa e omicidi rituali,
il Mulino) si basa su un preconcetto: il preconcetto della pregiudiziale acriticità della storiografia precedente nel ritenere priva di fondamento l’accusa di omicidio rituale. Gli studiosi che della questione si sono occupati, insomma, avrebbero ritenuto «a priori» l’omicidio rituale «un’infondata calunnia, espressione dell’ostilità della maggioranza cristiana nei confronti della minoranza ebraica».
Partendo da questo presupposto, l’autore ha riletto gli atti dei processi agli ebrei di Trento del 1475, il «caso» che presenta la documentazione più ampia e che praticamente forma la trama su cui Toaff basa le sue affermazioni e cerca conferme alle sue tesi, senza tenere minimamente conto da una parte della natura di un processo inquisitorio, condotto da giudici secolari nella segretezza e nell’arbitrio, con l’uso sistematico della tortura e in assenza di ogni difesa, dall’altra del contesto in cui il processo fu celebrato. Non si può infatti ignorare che il processo coincise con la raccolta delle prove della santità del «martire» Simonino, santità fortemente voluta dal principe-vescovo Hinderbach e dagli uomini del suo entourage,
questi ultimi spesso testimoni agli interrogatori degli ebrei inquisiti e allo stesso tempo presenti alla registrazione dei miracoli del «beato Simonino». Si resta quindi interdetti nel notare una sostanziale incomprensione di queste circostanze nel libro di Toaff, che addirittura utilizza ampiamente e in modo del tutto acritico, inserendole addirittura fra le fonti, opere come quelle del Bonelli (1747) e del Divina (1902), scritte con lo scopo dichiarato di sostenere la causa della santità del Simonino e in cui la citazione di brani tratti dai documenti ha sempre la finalità di dimostrare la perfidia ebraica, il martirio del bambino e la sua santità.
Anche le pretese concordanze tra vicende e personaggi ricordati nelle deposizioni degli ebrei con fatti e persone realmente esistite, non formano certo prova della veridicità delle deposizioni, e non solo perché notizie di tal genere erano notoriamente ed ampiamente diffuse e quindi note sia agli imputati sia agli inquisitori. Tutto il processo di Trento risulta infatti viziato fin dal suo inizio dalla volontà dei giudici di provare ad ogni costo e, per loro stessa affermazione, anche contro le forme del diritto, che gli ebrei di tutta Europa erano meritevoli di sterminio perché ovunque essi erano dediti all’infanticidio rituale e al consumo del sangue cristiano.
Perciò il processo suscitò subito scandalo. Papa Sisto IV inviò a Trento un inquisitore domenicano, che al suo ritorno a Roma denunciò la falsità del processo contro gli ebrei «ingiustamente depredati e uccisi» e gli «inganni, frodi e macchinazioni» usati al solo scopo di avvalorare «credenze superstiziose» e d’inventarsi «miracoli straordinari». (Roba a cui potevano credere, egli scriveva, solo «donnicciole superstiziose, vecchie pettegole e frati questuanti»). « Commenta et fabulae », invenzioni e favole, « vulgi figmenta », invenzioni del popolino, che il domenicano considerava non un’ingiuria fatta agli ebrei, ma alla fede cristiana, « iniuria fidei christianae
». Gli stessi verbali che leggiamo oggi non sono gli originali, ma quelli che l’inquisitore del papa riteneva fossero stati riscritti di sana pianta per nascondere le atrocità commesse in un processo irregolare (nuovi documenti, di cui Toaff è certo a conoscenza, dimostrano che il vescovo di Trento e i suoi giudici erano perfettamente consci delle irregolarità e degli abusi procedurali).
Non vi è dubbio che Toaff, uno studioso che altre volte ha dato buona prova di sé nel campo degli studi sulla «cultura materiale», aveva tutto il diritto di rivedere criticamente la storiografia sull’omicidio rituale, ma non di improvvisarsi interprete di una documentazione che richiede qualche strumento in più di quelli che occorrono per comprendere il «mangiare alla giudia» in Italia dal Rinascimento all’età moderna. Prima di sostenere una tesi così paradossale su di un tema così complesso e delicato, avrebbe dovuto munirsi di prove concrete e incontrovertibili, delle quali il suo libro è invece del tutto privo.
La valutazione critica delle fonti, della loro attendibilità e importanza, è il primo compito della ricerca storica. Esistono a tale scopo criteri e norme di carattere generale, ma ogni ricerca necessita di particolari avvertenze critiche, che solo la «discrezione» dello studioso, il suo senso storico, gli possono suggerire. la «discrezione», la capacità di discernimento dello storico a fargli avvertire ciò che può e ciò che non può rimanere dopo l’analisi critica del testo. Questo delicato strumento della critica storica sembra del tutto assente nel libro di Ariel Toaff, che si basa su una rude semplificazione dei criteri di giudizio e su una fede generalmente accordata a fonti di provata tendenziosità. Davvero il nostro raziocinio è così debole, il nostro giudizio storico così incerto, la nostra civiltà giuridica è così esaurita, da indurre a credere a confessioni estorte con la tortura e ratificate nel terrore di nuovi tormenti?
Il risultato, certamente non voluto ma nondimeno palese, è quello di una sorta di ritorno ad un’infanzia della storiografia, ad un’età precedente all’acquisto della «discrezione», della capacità di discernimento: un ritorno ad una lettura pre-critica delle fonti processuali. In un certo senso, Toaff poteva perfino risparmiarsi la fatica della scrittura: era sufficiente un’anastatica di certa letteratura apologetica di fine Ottocento.

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Corriere della Sera, 14/2/2007
dal nostro corrispondente DAVIDE FRATTINI
GERUSALEMME – «Niente sacrifici al Moloch, come qualcuno avrebbe voluto». Ovvero, nessuna azione disciplinare. I colleghi dell’università israeliana Bar-Ilan hanno ascoltato le ragioni del professor Ariel Toaff. «Siamo soddisfatti – spiega il portavoce Shmuel Algarbali all’Associated Press ”. Ci ha raccontato le ricerche che hanno portato al libro Pasque di sangue e ha chiarito che lo studio è dedicato solo al sentimento anti-cristiano di un piccolo gruppo di ebrei ashkenaziti nel nord d’Italia. Il professore ha preso piena responsabilità per i contenuti. Speriamo che la gente legga e discuta il saggio».
Moshe Kaveh, presidente dell’ateneo, aveva deciso di convocare il docente di Storia del Medioevo e del Rinascimento, ancora quand’era in Italia. Kaveh e gli altri accademici lo hanno voluto incontrare per avere spiegazioni sulla tesi del volume, edito dal Mulino: l’accusa contro gli ebrei di avere praticato, tra il 1100 e il 1500, l’omicidio di bambini cristiani a scopo rituale potrebbe non essere stata del tutto falsa. Da subito, l’università aveva difeso la libertà di ricerca e di espressione scientifica. Allo stesso tempo, aveva condannato «qualunque tentativo di giustificare l’"accusa del sangue"».
La Bar-Ilan avrebbe subito pressioni – rivela il quotidiano Haaretz – perché licenziasse Toaff e il presidente Kaveh avrebbe respinto le dimissioni del docente, offerte per fermare le polemiche che potrebbero danneggiare l’ateneo. Toaff dovrebbe comunque andare in pensione alla fine dell’anno. «Persone che non sono accademici e ricercatori di altri istituti – aveva anticipato Yerah Tal, un altro portavoce, prima della decisione di ieri – sono venuti da noi a chiedere di mandar via il professore. Ma non stiamo prendendo in considerazione questo passo».
L’università riceve aiuti soprattutto dagli ebrei ortodossi americani, sponsor e donatori hanno minacciato di tagliare i fondi. Abraham Foxman, direttore dell’Anti-Defamation League, ha chiamato i dirigenti a Tel Aviv e ha criticato il libro: «E’ incredibile che chiunque, ma in particolare uno storico israeliano, offra legittimità ad accuse senza fondamento, che sono state la causa di tante sofferenze e attacchi contro gli ebrei. In questo periodo le teorie della cospirazione stanno rifiorendo. Estremisti, antisemiti e terroristi islamici useranno queste tesi per sostenere i loro assalti». In Italia, Pasque di sangue è stato condannato dall’Assemblea dei rabbini («è assolutamente improprio usare delle dichiarazioni estorte sotto tortura secoli fa per costruire tesi storiche tanto originali quanto aberranti») e al giudizio si è associato Elio Toaff, padre del professore e rabbino emerito di Roma.
I colleghi ricercatori avevano intimato all’amministrazione di evitare qualunque condizionamento alla libertà accademica di Toaff. «Non può essere limitata – aveva commentato Rimon Kasher, docente di Studi biblici, ad
Haaretz ”. Il nostro lavoro è porre domande ed esporre quello che abbiamo scoperto. Il caso di Toaff mette alla prova le garanzie di autonomia per gli studiosi». Altri professori – racconta sempre il quotidiano – descrivono Toaff come un docente stimato, che ha un buon rapporto con gli studenti. Un collega racconta il soprannome che gli è stato dato nelle aule: «il rabbino rosso», per essere stato ordinato e per le sue posizioni di sinistra.
Prima di tornare a Tel Aviv, Toaff aveva detto al giornale Jerusalem Post:
«Sono sicuro di poter essere meglio compreso in Israele. Ho condotto queste ricerche per sei anni con i miei studenti senza alcun problema. Forse il libro avrebbe dovuto essere indirizzato a un pubblico israeliano, dove c’è meno rischio di incomprensioni e di uso improprio delle mie scoperte» (Davide Frattini)

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Corriere della Sera 15/2/2007
al nostro corrispondente DAVIDE FRATTINI GERUSALEMME – «Ho deciso di fermare la distribuzione del libro». Dopo tre giorni di silenzio in Israele, Ariel Toaff ha diffuso una lettera per annunciare di aver chiesto alla casa editrice il Mulino di congelare il suo saggio Pasque di sangue. «Voglio rivedere e chiarire al più presto quei passaggi che hanno rappresentato la base per le distorsioni e le falsità che sono state pubblicate. Sono rimasto sbalordito dalla forza sviante di queste presentazioni errate, che hanno trasformato quello che è un libro di ricerca in un veicolo utilizzato per colpire l’ebraismo, il popolo ebraico e, Dio non voglia, in una giustificazione per l’"accusa del sangue". Voglio impedire qualunque ulteriore uso distorto del saggio come propaganda antisemita».
Il professore ha incontrato a Tel Aviv i colleghi dell’università Bar-Ilan. Che volevano ascoltarlo per avere spiegazioni sulla tesi del volume: ristretti gruppi di ebrei ashkenaziti, tra il 1100 e il 1500, potrebbero aver compiuto infanticidi per utilizzare il sangue di bambini cristiani nei riti pasquali. Nella lettera, Toaff, docente di Storia del Medioevo e del Rinascimento, si scusa con «tutti quelli che sono stati offesi dagli articoli e dai fatti distorti che sono stati attribuiti al mio libro e a me. Mi sento profondamente responsabile». In Italia, Pasque di sangue è stato condannato dall’Assemblea dei rabbini e al giudizio si è associato Elio Toaff, padre del professore e rabbino emerito di Roma.
Il docente aveva risposto sul Corriere,
in un’intervista ad Aldo Cazzullo: «I rabbini hanno lanciato un interdetto non contro il mio libro, che non possono aver letto, ma contro la recensione di Sergio Luzzatto (pubblicata dal Corriere il 6 febbraio,
ndr). Che peraltro era fedele. Contro di me usano argomenti falsi. So anch’io che non bastano le confessioni estorte sotto tortura per confermare un fatto».
Il saggio è stato criticato anche da Abraham Foxman, direttore dell’Anti- Defamation League, che è intervenuto con l’università Bar-Ilan: «E’ incredibile che chiunque, ma in particolare uno storico israeliano, offra legittimità ad accuse senza fondamento, che sono state la causa di tante sofferenze e attacchi contro gli ebrei. In questo periodo le teorie della cospirazione stanno rifiorendo. Estremisti, antisemiti e terroristi islamici useranno queste tesi per sostenere i loro assalti». Toaff annuncia di voler devolvere tutti i guadagni dalla vendita del libro proprio all’organizzazione americana che combatte il razzismo e l’antisemitismo: «Non permetterò mai – scrive il professore – che chi odia gli ebrei sfrutti me o la mia ricerca come uno strumento per attizzare le fiamme, ancora una volta, dell’ostilità che ha portato all’uccisione di milioni di persone».
La Bar-Ilan avrebbe ricevuto pressioni da sponsor e donatori, soprattutto ebrei ortodossi americani, perché cacciasse Toaff. I dirigenti dell’ateneo ripetono che l’ipotesi del licenziamento non c’è mai stata. L’università è oscillata tra le posizioni concilianti («non verrà sacrificato, come qualcuno vorrebbe») e la decisione di diffondere ieri un comunicato per criticare la pubblicazione del saggio: «Esprimiamo grande collera ed estrema irritazione nei confronti del professor Toaff per la sua mancanza di sensibilità. La scelta di una casa editrice privata in Italia, il titolo provocatorio e le interpretazioni date dai media ai suoi contenuti hanno offeso la coscienza degli ebrei in tutto il mondo e danneggiato il delicato intreccio delle relazioni con i cristiani. L’ateneo condanna e ripudia quello che sembra essere implicato dal libro e da articoli riguardanti i suoi contenuti: che ci possano essere basi per l’"accusa del sangue"».
Il sostenitore della linea più dura all’interno della Bar-Ilan sarebbe stato il presidente Moshe Kaveh. Toaff era stato difeso dai colleghi che considerano il suo caso un test per la libertà accademica. «Non può essere limitata in alcun modo – aveva commentato Rimon Kasher, docente di Studi biblici, ad Haaretz ”. Il nostro lavoro è porre domande ed esporre quello che abbiamo scoperto». In discussione, fanno capire dall’ateneo, non è l’autonomia di ricerca. «Il professore avrebbe dovuto mostrare maggiore attenzione nella pubblicazione – spiega l’università nel comunicato – in modo da prevenire le oltraggiose e distorte interpretazioni. Ci aspettiamo che Toaff prenda su di sé la responsabilità per lo sbaglio e agisca per riparare al danno causato».
Prima di tornare in Israele, Toaff aveva detto di essere sicuro di poter essere meglio compreso che in Italia: «Non rinuncerò alla mia devozione alla verità – aveva dichiarato al quotidiano
Haaretz – anche se il mondo mi crocifigge» (Davide Frattini)

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Dal Mulino non giungono reazioni ufficiali alla decisione di Ariel Toaff, che ha preferito ritirare il suo libro per riformularne alcuni passaggi. Dal canto suo Paolo Prodi, docente di Storia moderna e membro del comitato direttivo dell’associazione Il Mulino, invita a «fermarsi e rispettare la volontà espressa da Toaff, nella speranza che la discussione possa rientrare nell’alveo della critica e del confronto scientifico». Ma trae dalla vicenda anche ulteriori riflessioni: « emerso un problema che investe la natura del mestiere di storico. Si è visto quale importanza e delicatezza possa assumere l’elaborazione storiografica, quando viene a interferire in qualche modo con i conflitti dell’attualità politica. Il lavoro di Toaff è stato aspramente attaccato ancora prima dell’uscita del volume, per il timore che potesse dare fiato a posizioni revisioniste o negazioniste in fatto di antisemitismo. Capisco le preoccupazioni, ma credo che la ricerca debba avere la possibilità di svolgersi in piena autonomia, senza subire il peso di pressioni esterne».

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la Repubblica, 27/2/2007
Mentre sul giornale isrealiano Haaretz Ariel Toaff, ieri, ritrattava completamente la tesi centrale del suo libro Pasque di sangue, dicendo che non furono certo gli ebrei di Trento ad uccidere Simonino né nessun altro bimbo a scopi religiosi, la Commissione per l´istruzione della Knesset condannava il saggio, affermando: «Il libro e l´eco che ha suscitato hanno causato danni agli ebrei, alla professione di storico in Israele e alla verità scientifica per l´offesa alla verità». «Il libro - continua il testo - non meritava di essere scritto e pubblicato e la Knesset e la Commissione condannano nel modo più fermo il saggio e gli echi da questo provocati».
Nel corso del dibattito della Commissione israeliana, a cui hanno partecipato deputati di alcuni partiti e alcuni accademici ma non Toaff né i professori dell´Università Bar Ilan che pure erano stati invitati, è stata anche fatta la proposta che lo Stato apra un procedimento giudiziario nei confronti dello storico perché, come ha detto Marina Solodkin, deputato di Kadima, «vi sono valide ragioni per processare l´autore» poiché ha macchiato la reputazione degli ebrei e ha manipolato la realtà storica. Così come un altro deputato, Aryeh Eldad, dell´estrema destra, ha chiesto l´allontamento di Toaff dall´Università di Bar-Ilan.
La Commissione non ha accettato questi suggerimenti, limitandosi a una condanna "morale", ma ha aperto un capitolo sicuramente controverso chiedendo che si «verifichi la possibilità di creare un sistema di controllo scientifico (delle pubblicazioni accademiche) perché non escano cose che sono del tutto contrarie alla logica umana, all´etica umana e alla verità scientifica», un passo davvero straordinario nella realtà israeliana dove si è sempre affrontato qualsiasi capitolo di "revisione" storica nella più assoluta libertà.
La strana intromissione delle istituzioni pubbliche nel dibattito, testimonia il livello dello scandalo raggiunto dopo la pubblicazione di Pasque di sangue: la discussione ha occupato e occupa in continuazione le pagine dei giornali israeliani. In Italia la condanna parlamentare suona come una sentenza inquisitoria, Israele però non solo porta su di sé la memoria millenaria dell´«accusa del sangue», ma la vede propagandata come una verità indiscutibile ancora oggi nelle moschee, le radio e le televisioni del mondo islamico: basterà ricordare che la Siria ha recentemente prodotto trenta puntate di una serie televisiva, "Al Shatat", in cui si racconta la nascita del sionismo tra Herzl nei bordelli e orride scene di martirio infantile accreditate come pura storia. Che in Egitto è andata in onda una messa in scena dei "Protocolli dei Savi di Sion". Che un serial iraniano era basato invece sul furto di organi di bambini palestinesi negli ospedali israeliani.
Le reazioni sicuramente non mancheranno. Ecco qui di seguito i pareri di quattro storici che hanno già letto il libro e partecipato al dibattito: Anna Foa e Adriano Prosperi su queste pagine, Carlo Ginzburg sul Corriere della Sera, Roberto Bonfil, professore emerito all´Università di Gerusalemme, sulla stampa israeliana.