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 2007  febbraio 07 Mercoledì calendario

ROMA – Giovanna Melandri è ministro dello Sport da pochi mesi, ma si è già guadagnata la stima degli addetti ai lavori

ROMA – Giovanna Melandri è ministro dello Sport da pochi mesi, ma si è già guadagnata la stima degli addetti ai lavori. « una donna bella e brava, ma proprio non la capisco: stia fuori dal calcio!» ghigna Matarrese. « un’incompetente!» urla Zamparini. Ovviamente, la ragione è dalla parte della ministra. Forse troppo bella e troppo brava, però, in quello stagno di squali assetati di denaro che è ormai il calcio italiano. Così la Melandri talora dà l’impressione di non essere compresa e apprezzata come merita, nella sua generosa ansia di rivoluzionare ilmondo del pallone. Tutto cominciò sul prato di Coverciano, sotto la pioggia, quando Giovanna andò a esprimere appoggio a Lippi e agli azzurri, e i giornali si soffermarono sul futile dettaglio delle infradito calzate dalla ministra sull’erba bagnata. Indimenticabile la notte della vittoria di Berlino, con i 23 campioni a cantare in coro «ollellé, ollallà/ faccela vede’, faccela tocca’» e la Melandri inviperita con i giornalisti: «Cos’avete capito? Si riferivano alla Coppa del mondo!». Ora, scosso dallo scandalo delle intercettazioni, il calcio affronta una tragedia. E la Melandri vi legge un segno dei tempi, peraltro lo stesso intravisto dietro lo scandalo e poi nella vittoria del Mondiale: «Dobbiamo aprire un nuovo capitolo»; ed era maggio. «Il calcio non sarà più come prima», e si era già a luglio. «Stavolta si deve davvero voltare pagina», e siamo a febbraio. Una sorta di «ballo della svolta», come Cuore definì le continue e generose giravolte di Achille Occhetto, un altro che aveva ragione ma si trovò a lottare con personaggi più spregiudicati di lui. Dalla drammatica notte di venerdì, poi, per la ministra è un crescendo di dichiarazioni definitive. «Stavolta facciamo sul serio». «Noi siamo già al lavoro per individuare la strada da imboccare». « il momento di risolvere un problema che ha attraversato la storia del calcio italiano» (chiosa l’agenzia: «L’on. Giovanna Melandri l’ha annunciato con fermezza»). «Il giocattolo si è rotto e per ripartire bisogna ripararlo». E poi «la gioia dello sport», le famiglie da riportare in curva «al posto dei teppisti», «gli spazi per la ristorazione e per i bambini», «l’osservatorio sulla comunicazione sportiva», il modello britannico «con i suoi vari aspetti: c’era quello della legge speciale, del giro di vite, della dimensione sanzionatoria...». Il tutto reso ancora più ricco ma anche confuso da un vortice di riunioni in cui discutere ora di ordine pubblico – «non possiamo più tollerare la violenza!» ”, ora di sociologia – «bisogna anche prendere atto di un disagio giovanile che si trasferisce in queste tifoserie esagitate» ”, ora di palinsesti tv – «l’assetto dei diritti televisivi va rivisto completamente». Vertici da cui la Melandri riemerge solo per il tempo di un cappuccino e di una dichiarazione: contro le «vergognose scritte apparse sui muri di Livorno e Piacenza», a favore del «commissario Pancalli che si sta battendo bene», in vista di un campionato più spettacolare «in cui sia garantito un equilibrio competitivo tra le squadre». Novità necessarie e condivisibili. Così come tutti sono rimasti colpiti dal dramma di Filippo Raciti e dalla dignità della sua famiglia («la testimonianza della signora Raciti ha toccato il cuore di tutti gli italiani e oggi le misure serie che stiamo assumendo devono essere anche solo simbolicamente associate a queste parole dignitose»). che pure gli alleati naturali della Melandri in questi mesi, da Guido Rossi a Giuliano Amato, hanno dovuto tenere a freno tanta buona volontà. Lo stesso Pisanu viene apprezzato ma anche redarguito a distanza: «Nell’apprezzare i decreti Pisanu devo anche rilevare l’ambiguità sulla responsabilità economica della messa a norma tra il proprietario dell’impianto e l’inquilino...». Quanto ai nemici, decisi a lasciare tutto com’è, sono numerosi e agguerriti. I critici rilevano che con la Melandri la vita era stata finora sin troppo dolce. Nata a Manhattan, East Side, appartamento Rai con vista sulla skyline, sistemazione provvisoria del padre vicedirettore. A tre anni il ritorno a Roma (Nord: quartiere Fleming). Medie alla scuola internazionale Saint-George, liceo privato alla Falconieri. Trasloco in centro: via dei Giubbonari. Innamoramento per un berlinese e altro trasloco: Charlottenburg. Finalmente le vacanze: Filicudi e Val Gardena, a casa propria. Lei ribatte che il liceo era durissimo e alla maturità bisognava portare tutte le materie; che quella di via dei Giubbonari era una casetta affittata con due amiche e restaurata in proprio; che il dolore l’ha conosciuto fin da ragazza, quando perse i due maestri Tarantelli e Caffè; che nel ’94 seppe strappare alla destra il collegio di un quartiere popolare, il Portuense. Non aveva ancora incontrato Moggi. Né Matarrese («ma che vuole la Melandri? Il nostro referente è il Coni. Lei non doveva occuparsi di giovani?»). Né Galliani, indicato nel perfido ambiente calcistico come testimone- chiave delle feste di Briatore in Kenya. Né Zamparini («La Melandri mi ha escluso da Porta a Porta!»). Lei non demorde e scandisce il tempo della svolta minuto per minuto: «Nelle prossime ore ci sarà qualche appello e la richiesta di aiuto per raggiungere gli obiettivi». «Non possiamo dare risposte stasera e non so se le daremo domani». «Non si ripara il giocattolo in una settimana e neanche in 10 giorni». «Stiamo preparando un pacchetto di misure: alcune a efficacia immediata, altre di medio periodo, altre ancora per ridisegnare il modello di governo degli stadi italiani...».