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 2007  febbraio 06 Martedì calendario

Dungy Tony

• Jackson (Stati Uniti) 6 ottobre 1955. Primo allenatore di colore a vincere il Superbowl (con gli Indianapolis Colts nel 2007, anche l’allenatore degli avversari, Lovie Smith, era di colore) • «Prima gli hanno scaricato sulle spalle una ventina di litri di Gatorade giallastro misto a ghiaccio. Mandanti ed esecutori, i suoi giocatori: è il rito che tocca agli allenatori vincenti. Poi Tony Dungy, dopo un brivido di freddo e gioia, ha sfoderato il sorriso mite che lo ha sempre contraddistinto, e si è avviato a centrocampo per cercare il collega sconfitto, il suo ex allievo, Lovie Smith: un abbraccio e tante parole sussurrate all’orecchio. Una foto bellissima: difficile immaginare Mancini e Capello così dopo una finale scudetto. ”Ho detto a Lovie che sta lavorando benissimo, che brava persona che è e che il suo Super Bowl lo vincerà molto presto”, raccontava Dungy, che aveva già vinto un SB da giocatore con i Pittsburgh Steelers nel 1978. E che insieme a Smith, anche lui di colore, era diventato il primo allenatore afro-americano ad arrivare al SB ed ora è il primo ad averlo vinto. Spiegava: ”Sono veramente fiero di questo momento. Ma oltre a essere afro-americani io e Lovie siamo soprattutto cristiani, uomini di chiesa: risultati così si possono ottenere anche nel nome di Dio”. Per altre vie, Dungy da allenatore non era mai riuscito a vincere: come Manning era celebre più che altro per essere il bravo coach mai capace di imporsi nelle grandi partite. Quando fra il 1996 e il 2001 aveva allenato i Tampa Bay Bucaneers era stato cacciato l’anno prima che la squadra, sotto la guida di un altro tecnico, vincesse la Partitissima. Una disdetta. Poi nel dicembre del 2005, il destino gli aveva nuovamente voltato le spalle: suo figlio James di 18 anni si era suicidato. Dungy invece di arrendersi aveva fortificato la sua fede ed era andato avanti. Quest’anno nel ritiro precampionato aveva parlato alla squadra con voce pacata: ”Questo è il tono di voce che userò sempre con voi: non mi sentirete mai gridare o bestemmiare”. Nel football, una rarità» (m.l.p., ”La Gazzetta dello Sport” 6/2/2007).