Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  luglio 26 Mercoledì calendario

Israele sarà costretto ad arrivare fino a Beirut. La Stampa 26 luglio 2006. Molti sono persuasi che il conflitto in Libano sia destinato ad essere breve, che un cessate il fuoco possa precedere un accordo definitivo e che sia possibile lo schieramento di una forza militare internazionale, capace non solo di interporsi fra Israele e gli Hezbollah, ma anche di disarmarli, come previsto dalla Risoluzione 1559 dell’ONU

Israele sarà costretto ad arrivare fino a Beirut. La Stampa 26 luglio 2006. Molti sono persuasi che il conflitto in Libano sia destinato ad essere breve, che un cessate il fuoco possa precedere un accordo definitivo e che sia possibile lo schieramento di una forza militare internazionale, capace non solo di interporsi fra Israele e gli Hezbollah, ma anche di disarmarli, come previsto dalla Risoluzione 1559 dell’ONU. Invece, è probabile che i «guerrieri di Dio» resistano a lungo nei loro bunker, obbligando Israele a sanguinosi attacchi frontali, sia nel Libano meridionale, sia nella valle della Bekaa - dove si trova la massa delle loro riserve militari - sia a sud di Beirut, loro centro politico. Quando staranno per essere sopraffatti dalla potenza di fuoco della Tsahal, abbandoneranno i bunker e, mescolandosi alla popolazione civile inizieranno un’azione di guerriglia e di terrorismo sull’esempio dell’Iraq. Si sono preparati accuratamente anche a tale seconda fase. Intendono a dimostrare alle masse arabe che lo sciismo sta divenendo la forza dominante per il loro riscatto dalle umiliazioni subite. Con ciò gli Hezbollah isolano non solo Al Fatah, ma anche Hamas e gli altri paesi arabi. Stanno resistendo ad Israele, dopo averne provocato la reazione sicuramente secondo un piano strategico preordinato. Hanno imposto, non solo il momento, ma anche il modo con cui combattere. Ciò pone lo Stato ebraico di fronte a difficili scelte, tanto più che non può colpire coloro che ne sono ritenuti i mandanti, cioè la Siria e l’Iran. La Siria non accetta né un Libano autonomo, né uno Stato palestinese, ma vuole la Grande Siria, entità geopolitica storica, divisa da Francia e Gran Bretagna dopo la prima guerra mondiale. L’Iran, rafforzatosi con la eliminazione di Saddam, vuole porsi alla testa del riscatto islamico in nome dei principi della rivoluzione Khomeinista. Quanto meno, intende realizzare un’egemonia nel Golfo, forse accordandosi in un primo tempo con Washington sulla divisione delle rispettive aree di influenza nella regione. Israele non può rinunciare ad una vittoria completa, cioè alla neutralizzazione permanente della minaccia degli Hezbollah. Sa di poter contare, non solo sugli Usa, ma anche, almeno indirettamente, sugli Stati arabi. Solo così potrà ricreare le condizioni per un ritiro unilaterale, per un dialogo con al-Fatah e forse anche con Hamas per stabilizzare la Palestina. Non ha alternative. Questa volta però ha perso l’iniziativa strategica. E’ stato attirato in un tranello dalle provocazioni degli Hezbollah. Non può limitare le operazioni al sud del Libano. Deve estenderle sia alla Bekaa che a Beirut. Non può aggirare i bunker con brillanti manovre di forze corazzate. Deve distruggerli ad uno ad uno. Non lo può fare solo con gli aerei e gli elicotteri armati. Deve impiegare la fanteria in attacchi frontali. Si trova di fronte a guerrieri decisi, bene addestrati e armati. Sta ammassando le sue forze e accelerando l’importazione di bombe «bunker-buster». In questi giorni si assiste ad una «pausa strategica». Israele sta sicuramente elaborando i suoi piani. Probabilmente attaccherà all’improvviso e a massa, anche dalla terra e dal mare. E’ in gioco l’intero sistema di sicurezza di Israele basato sinora sulla credibilità della dissuasione convenzionale della Tsahal. La guerra si estenderà quindi fino a Beirut e nella Bekaa. Purtroppo, il Libano sarà distrutto. Le misure umanitarie che saranno adottate possono avere solo effetti trascurabili. Il problema principale che dovrà affrontare Israele sarà quello di come sganciarsi, dopo aver distrutto il potenziale bellico degli Hezbollah. Non può affrontare lunge operazioni di counter insurgency. Solo un governo libanese oppure la Siria potranno mantenere l’ordine e tenere sotto controllo i «guerrieri di Dio». Non lo potrà invece fare una «forza di pace» internazionale, neppure una della Nato. Non parliamo poi di una dell’Unione Europea, né di una di un Onu fatiscente, a meno che deleghi il «lavoro sporco della pace» alla Lega araba. Forse è possibile. I sunniti si sentono minacciati dai successi sciiti. Potrebbe essere arrivata l’ora di fare i conti con essi. Si tratta di vedere se le loro opinioni pubbliche lo permetteranno. La resistenza degli Hezbollah sta suscitando nel mondo arabo sostegni e applausi. La conferenza di Roma sarà utile come primo passo per vedere cosa fare dopo che il conflitto sarà terminato. Sarà un successo se gli Stati arabi sottoscriveranno la dichiarazione fatta dal G8 sul Libano. Realisticamente non si può pretendere di più. Per fare la pace occorre aspettare che si concluda la guerra. Essa sarà forse terribile e lunga. Non si possono nutrire molte illusioni in proposito. Israele non può cedere e giungere a compromessi. Gli Hezbollah sono fanatizzati e sono ben preparati a combattere. Quando si parla di proporzionalità della risposta occorre tener conto quale è la posta in gioco per i due avversari. Poiché la posta in gioco è molto elevata per entrambi, non sembrano possibili compromessi. Carlo Jean