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 2006  maggio 23 Martedì calendario

INTERVISTE Intervista a Angelo Guglielmi su Eduardo De Filippo Di Eduardo ho ricordi, non so quanto significativi, ma ho molti ricordi

INTERVISTE Intervista a Angelo Guglielmi su Eduardo De Filippo Di Eduardo ho ricordi, non so quanto significativi, ma ho molti ricordi. Una cosa mi viene in mente e forse la più eclatante: Eduardo era in studio per la realizzazione delle sue commedie. Il centro di produzione mise a disposizione un’assistente, una regista molto bella e molto intelligente. Il fatto di essere molto bella e molto intelligente sembrava le desse il diritto di trattare alla pari con tutti e quindi anche con Eduardo. Fin dall’inizio lo chiamò Eduardo, dandogli del tu. Lui ..nulla, fingeva di accogliere questo modo di fare. Senonché, a un certo punto, eravamo arrivati forse a Napoli Milionaria non sono sicuro, passavano i giorni e lui non registrava nemmeno una inquadratura. Noi ci chiedevamo perché, lui adduceva mille motivi, tutti credibili: gli attori non erano sufficientemente maturi, la telecamera, il regista collaboratore, mille scuse. Fino a che poi ci accorgemmo che il motivo era che voleva gli togliessimo dai piedi questa signora che lo trattava alla pari. Perché l’uomo, che era pure uomo democratico, però rispettava i ruoli; lui era il maestro. Non voleva farsi chiamare maestro voleva farsi chiamare commendatore, non maestro, o direttore ma soprattutto commendatore, non sopportava invece di mischiarsi, ovvero che ci fosse una miscela di ruoli e quindi, finalmente capimmo questa cosa, cambiammo, mettemmo un’altra persona (peraltro prima ci accertammo delle sue eventuali preferenze) e in questo modo la registrazione partì velocemente per arrivare in fondo altrettanto velocemente perché lui era un uomo anche molto rapido, professionale. Con la sua troupe, con i suoi attori, lui aveva un rapporto stranissimo. Per esempio li affamava. Quando lavoravano per lui a Napoli li affamava, non gli dava una lira perché lui rispettava il fatto che nella società esistono i poveri e i ricchi. Lui partecipava al ceto dei ricchi e poi c’erano i poveri. Però poi come tutti i ricchi aveva delle generosità, faceva regalie agli attori, ma come le faceva? Quando loro venivano in RAI, lui faceva il loro agente e pretendeva dei compensi che erano assolutamente al di sopra di quelli previsti per attori di quella natura. Per cui lui veniva a lavorare in RAI volentieri, anche per questo, per poter ricompensare gli attori di tutte le angherie che a Napoli. faceva sopportare loro. Mi ricordo anche che quando facemmo il contratto lui chiese e volle che fosse messo per iscritto che durante il periodo della registrazione e soprattutto della messa in onda non fosse trasmesso nulla che riguardasse Peppino, il fratello, con questa giustificazione: "c’è un tempo per l’uno e un tempo per l’altro", e dal suo punto di vista era anche giusto. Sono ricordi che meglio definiscono una figura che è una grande figura, come Totò che mai avrebbe rinunciato al titolo di imperatore. Credevano nelle simbologie, essere protagonisti di simbologie alte. Lui era Eduardo, il figlio di Scarpetta, era Napoli. Ho ricordi di grande emozione, più che per la realizzazione delle commedie, per la realizzazione delle farse di Scarpetta; per esempio ’Na Santarella oppure ’O Turco napoletano. Lui frantumava il linguaggio, parlava per briciole era incomprensibile e nello stesso tempo fortemente comprensibile. Un po’ come l’operazione che fece poi Troisi, quella di parlare per briciole, per sillabe, mischiate a ispirazioni, a espirazioni e poi, ancora, questo linguaggio monocorde però anche nel linguaggio monocorde riusciva invece a realizzare una varietà di toni, un mostro di talento, un grande inventore di linguaggio e poi un grande attore ma quello che più mi stupiva era la sua capacità di inventare il linguaggio. Questa è stata la sua bravura; anche perché la televisione risponde ad altri canoni, è un altro linguaggio. Una delle ragioni per cui quando ero in televisione ero odiato da tutti gli uomini di teatro era che ho sempre detto che ’il teatro si vede a teatro’. La trasposizione del teatro in un altro linguaggio non può che comportare un impoverimento, una falsificazione del linguaggio originario. Ecco, Eduardo sapendolo, aveva studiato una mediazione, il modo di superare tutto questo. Ma il mio vero desiderio era quello di riprendere le prove. Le prove, con le interruzioni, con i silenzi, perché lui non faceva mai rabbuffi, era però ghiacciato, aveva un rapporto di gelo per cui fulminava con la sua personalità. Ogni tanto diceva qualcosa, interveniva con delle battute. Qui stava la vera ricchezza e l’avremmo avuta se solo avessimo registrato le prove. E glielo dissi, ma con molta circospezione, perché io non facevo come la regista bella citata prima, io lo chiamavo commendatore. Gli dissi che forse le prove potevano servire anche nel montaggio se le avessimo registrate come suo materiale per impostare meglio gli attori. Lui mi rispose: "No. Le prove servono per poi fare altro." Lui non amava la sperimentazione, non rientrava nella sua idea di cultura creativa; esisteva solo il risultato, non vedeva un risultato nella sperimentazione come noi tante volte abbiamo detto e ancora oggi crediamo che il risultato sia la sperimentazione. Era molto all’antica da questo punto di vista pur essendo modernissimo nei suoi modi di esprimersi. Per quello che mi riguarda riconoscevo la grandezza linguistica di Eduardo, allora mi pareva doveroso conservare. D’altra parte la ricchezza linguistica più che nella lettura del testo si evidenzia nella realizzazione, quindi mi impegnai fortemente facendo affrontare alla rete spese folli. Lui era carissimo poi, ripeto, era diventato agente dei suoi attori e otteneva, per questi, paghe altissime, e poi l’acquisto della commedia, i diritti. Però ritenevo che fosse assolutamente doveroso e quindi per questo mi adoperai fortemente contrariamente a quelli che sembravano essere i miei convincimenti nel caso di Eduardo. Se non ci fossero state quelle realizzazioni avremmo perduto moltissimo proprio da un punto di vista del patrimonio culturale. Mentre il patrimonio culturale di Alberto Moravia è nei libri che ha scritto, il patrimonio culturale, l’eredità di Eduardo è, insieme ai libri, le realizzazioni televisive. Peccato che le prime, quelle in bianco e nero sono andate perdute o io non le ho viste. Ecco, un’altra cosa che lui chiese era quella di distinguere la regia teatrale da quella televisiva. Lui saltò la regia teatrale e inventò la regia televisiva e anche questo ci piacque. Per me i risultati più alti non sono le realizzazioni delle sue commedie dal punto di vista televisivo ma sono la realizzazione delle farse scarpettiane, del padre. Quella è la vetta più alta proprio dal punto di vista linguistico, della sua grandezza e complessità di attore. Riusciva veramente a fare delle cose incredibili con la voce, con gli sputi, con i sospiri; creava un linguaggio di un fascino e poi di una forza graffiante, un graffio silenzioso ma ancora, proprio per questo, più incisivo. Non ricordo esattamente quante furono le commedie registrate in quegli anni però posso azzardare questa ipotesi, anzi l’azzarderei e l’escluderei: cioè che il costo era molto alto. La rete va ricordata per un merito, forse per tanti altri meriti, ma per uno in particolare cioè che riteneva assolutamente essenziale, non per il proprio palinsesto ma rendendosi conto che non si poteva impoverire il patrimonio nazionale, e che quindi era doveroso magari anche lavorare "contro" il proprio palinsesto. Lavorare "contro" perché anche allora l’ascolto delle commedie aveva perduto quel seguito che aveva avuto negli anni passati, quel grande seguito. Mentre in un primo tempo i grandi generi erano stati sceneggiati e teatro poi erano diventati varietà e film. Qui intervenni io, ma Scarano condivideva totalmente, tanto che chiedemmo uno stanziamento particolare che non ottenemmo e fummo costretti quindi a ritagliare i costi sul nostro budget. L’ipotesi più probabile è che fu lui stesso a ritagliare, a selezionare, in modo che il programma contenesse alcune cose che lui voleva fare. Poi naturalmente durante la registrazione a un certo punto si ammalò, però durò pochissimo, meno di una settimana, andò a mettersi il primo pace- maker. Era molto rispettoso, il lavoro aveva un alto valore per lui, era sacro. Nel ’78 poi passai dalla rete al Centro evoluzioni, quindi potevo avere un rapporto più diretto con lui, perché mi trovavo proprio sotto ai suoi studi. Gli studi televisivi gli parevano, allora, non più all’altezza del tipo di regia che voleva fare. Noi avevamo pensato che il suo capriccio affondasse le radici nella volontà di fare qualcosa che non fosse limitato dai mezzi a disposizione della televisione, quindi aveva bisogno di un’ambientazione di tipo cinematografica, perché lui credo che amasse molto il cinema. O comunque, immagino che del cinema avesse un’idea più grande! Che il cinema rendesse risultati più alti, più ricchi, più completi. Lui della televisione aveva un ’idea pessima: l’elettrodomestico. Però gli elettrodomestici non consentano poi questi risultati! La televisione può essere un linguaggio . Eduardo ha fatto tutte riprese frontali, quando è andato nello Studio 5, nello studio di Fellini, il più grande. Io pensavo anche che ci fosse una certa rivalità con i grandi registi , cioè voleva anche lui avere celebrità! Non so allora mi pareva, che non fosse mosso soltanto da motivazioni espressive, di carattere espressivo, ma da motivazioni anche più personali, che riguardavano il suo personaggio, le sue ambizioni, la consapevolezza della sua grandezza, lui non nascondeva di essere "Eduardo".