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 2002  giugno 21 Venerdì calendario

Tiri in porta sull’Himalaya, la Repubblica, venerdì 21 giugno 2002 Tokyo. Wayne Dyer è sicuro che quel giorno verrà

Tiri in porta sull’Himalaya, la Repubblica, venerdì 21 giugno 2002 Tokyo. Wayne Dyer è sicuro che quel giorno verrà. «In Bhutan vinceremo noi del Montserrat, così non saremo più gli ultimi al mondo». Wayne Dyer è un poliziotto, ma è anche un centravanti. Il centravanti della nazionale numero 203 della classifica Fifa, il Montserrat appunto. Un’isola caraibica a forma di perla che ha una squadra a forma di cozza, due partite ufficiali e due sconfitte contro la Repubblica Dominicana (tre a zero e tre a uno), però Wayne si è già accomodato in un angolo di epopea, in un minuscolo sottoscala di leggenda: perché è stato proprio lui a segnare l’unico gol nella storia del suo paese. Altri ne seguiranno, pensa Wayne, il 30 giugno, giorno della finalissima della Coppa del Mondo a Yokohama, Giappone. In quello stesso giorno a Thimphu, Bhutan, una rocca himalayana accanto al Nepal, si giocherà l’altra finale: gli ultimi del globo, cioè i verdi del Montserrat contro i penultimi, i famigerati e pur bravi rossi del Bhutan. E che non vinca il migliore. Se l’isola di Montserrat non assomigliasse al pianeta del Piccolo Principe, con tutti quei vulcani in agguato, l’altra finale l’avrebbero giocata lì, in casa degli ultimissimi. Peccato che sette anni fa una spaventosa eruzione a Soufriere Hills abbia spedito nell’oceano un terzo dell’isola, campo di calcio compreso. E allora, tutti in trasferta forzata: niente più scoglio di fuoco ma terra del dragone, questa infatti è la traduzione del nome nepalese del Bhutan, ”Druk Yul”, ossia Regno del Drago Tonante. «Da sei mesi lavoriamo a questo progetto» raccontano gli olandesi della Kesselskramer, l’agenzia di comunicazione che ha avuto l’idea della partita tra ultimi e penultimi. «Ne faremo un documentario, ”The Other Final”, ma non esistono scopi commerciali. Vogliamo dimostrare che il calcio non è solo un supermercato, una sfida tra multinazionali, e che può ancora avvicinare mondi diversi e culture sconosciute». Quelli di Montserrat si sono preparati alla grande, dribblando i loro sette vulcani attivi. Anche se laggiù si gioca più che altro a cricket (scoperta da Colombo, Montserrat è un’ex colonia inglese), e se non esiste un negozio di articoli sportivi: quando uno dei centocinquanta calciatori più o meno ufficiali ha bisogno delle scarpe, deve emigrare fino ad Antigua per comprarsele. L’ex allenatore Paul Morris c’è appena andato, infatti, ma per acquistare due fischietti: la federazione ne era sprovvista. Wayne Dyer e gli altri eroi sono quasi tutti poliziotti, e la squadra più importante dell’isola si chiama The Royal Montserrat Police Force. Qui militano il bomber Ottley Laborde, il fantasista Joseph ”Pops” Morris, veterano della nazionale e ballerino di professione, nonché il corpulento capitano Charles Thompson: un tipo rude, narrano le leggende locali, ma leale. Dopo l’ultima eruzione si sono allenati in un campetto di Little Bay, tra sassi e capre. Invece i duecentoduesimi della classifica mondiale, appunto i bhutanesi, hanno altri guai. Non il fuoco, bensì la terra. Infatti la loro nazione è quella con la più alta densità di montagne dell’intero pianeta, e non è stato facile trovare una superficie piatta per costruirci uno stadio. Grazie anche al contributo della Fifa, che ha inviato in Bhutan 400 mila dollari nel giorno dell’iscrizione dei rossi (5 agosto 2000, mentre il Montserrat aderisce alla Fifa dal ’96), a Thimphu è stato possibile mettere insieme il ”Changlimithang Stadium”, 15 mila posti sulle gradinate per un totale di 30 mila abitanti. Il demiurgo del pallone bhutanese si chiama Thinlay Dorje, fondatore dei Druk Stars, campioni nazionali. «Noi crediamo che il calcio debba servire anche a scopi sociali, infatti non ci limitiamo a giocare. Organizziamo escursioni, campagne di pulizia ambientale, corsi di danza e show musicali». Non importa se nell’albo non proprio d’oro della federazione è segnata una certa data, 14 febbraio 2000, e un certo risultato: zero a venti contro il Kuwait in una gara dell’Asia Cup. I novecento iscritti alla federazione non si sono persi d’animo, anche perché hanno scoperto che in un puntino galleggiante del pianeta c’è qualcuno più scarso di loro. «Veramente, noi non sapevamo neppure che Montserrat esistesse», ammette il segretario federale Kinley Yongchan Lhamo. Il suo problema è trovare le scarpe da gioco: per anni non sono state cambiate ma solo rattoppate, come pure i palloni. Poi si è organizzata un’amichevole con la Corea del Sud, e i carnefici dell’Italia hanno pensato di regalare seicento paia di scarpe da calcio ai colleghi del Bhutan. Bel gesto. Con i piedi lì dentro, domenica 30 giugno i rossi cercheranno di difendere il loro penultimo posto al mondo. Si andrà in campo la mattina, qualche ora prima della finale vera. «Vogliamo poterla vedere in tivù» concordano caraibici e bhutanesi, i quali hanno chiesto l’appoggio del loro confratello buddista Roberto Baggio (in Bhutan ci sono più monaci che militari, e anche parecchi monaci calciatori). «L’altra finale rappresenta il vero spirito del calcio, la semplicità e l’amore per lo sport, in un momento in cui il denaro sembra l’unico padrone di ogni cosa» ha risposto il Codino, mandando una benedizione. Frasi che hanno molto colpito il re del Bhutan, sua maestà Jigme Singye Wangchuck, amatissimo dai sudditi per via del suo primo principio che dice: «Il prodotto interno lordo è meno importante della felicità nazionale lorda». Ci voleva il re della terra dei draghi per sposare di nuovo due parole così simili e così dimenticate, calcio e felicità. Maurizio Crosetti