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 2002  giugno 25 Martedì calendario

Un bel pezzo di ghiaccio tra le pale del ventilatore, Corriere della Sera, martedì 25 giugno 2002 Il problema dell’Africa, il problema dei problemi, quello che sovrasta tutti gli altri e, in gran parte li provoca, è, per 8-9 ore del giorno, l’ombra: trovare uno spicchio d’ombra, un’infinitesimale ombra che protegga dal sole omicida

Un bel pezzo di ghiaccio tra le pale del ventilatore, Corriere della Sera, martedì 25 giugno 2002 Il problema dell’Africa, il problema dei problemi, quello che sovrasta tutti gli altri e, in gran parte li provoca, è, per 8-9 ore del giorno, l’ombra: trovare uno spicchio d’ombra, un’infinitesimale ombra che protegga dal sole omicida. Lo scrive, in Ebano, Ryszard Kapuscinski, report e saggista che è stato per 40 anni ”dentro” a quella realtà e che l’ha testimoniata in molti libri. Spesse volte, in questi giorni, ho pensato a quella disperata ricerca d’ombra e m’è parso di capirla. Poi, mi sono pentito, un po’ vergognandomi di paragonare il mio, il nostro caldo a quello loro, che scatena carestie e condiziona, drammaticamente in negativo, il progresso di quel Continente. Ma è davvero un’estate più calda di altre estati, tanto più calda da farne un ossessivo argomento di conversazione e di lamenti? Le tabelle dei meteorologi ricordano sequenze di giorni anche più torridi e anche più umidi. I ricordi dei nostri vecchi tramandano famiglie, uffici anche più boccheggianti e ruscellanti di sudore. La verità è che siamo cambiati noi, c’è stata una radicale metamorfosi delle abitudini. La soglia psicologica e fisica di sopportazione s’è abbassata tanto più s’è alzata e s’è diffusa la possibilità di ribaltare artificialmente le stagioni nelle case, negli uffici, negli stabilimenti, nelle auto, nei cinema, nei taxi. Ma, per quanto diffusa, l’aria condizionata, rispetto all’insieme dei luoghi dove viviamo il nostro giorno dopo giorno, rappresenta soltanto tante piccole oasi nel deserto della calura. Quando si esce da quelle oasi - spesso tossicchianti e in bilico sul dirupo della bronchite - diventa più invivibile il deserto dell’asfalto che si scioglie, delle case che, senza condizionatori o impianti centralizzati, s’imbibiscono di caldo chiuso, di aria gommosa come se si fosse ai tropici. Quelle oasi sono sempre complici di un qualche grado in più e non solo a livello della sensazione di pelle, di una minore tenuta psicologica al caldo, ma perché, per regalare aria fredda a una casa, a un ufficio, soffiano un fiato torrido nelle strade. Non c’è estate che, soprattutto nelle città di cemento, nelle città infossate come Milano e Firenze, la colonnina del mercurio non vada sopra i 35, i 36, i 37 gradi. così da sempre. Ma sono mutati anche i luoghi del nostro vivere. Un solleone a picco su un vasto, spelacchiato viale di periferia, o su un palazzo dai muri che le speculazioni edilizie dall’ultimo dopoguerra a oggi hanno reso sempre più sottili (pareti-velario, pareti-garza) ha una portata di caldo moltiplicata rispetto allo stesso mezzogiorno nelle strade del Settecento e dell’Ottocento con le case strette una all’altra in modo da farsi tepore d’inverno e ombra d’estate, con le case dai muri spessi e tagliate in modo da garantire sempre un riscontro d’aria, un po’ di corrente al minimo alzarsi di brezza, di vento. L’architettura dei nostri tempi, rassicurata dall’avvento dei condizionatori, ha quasi abolito il poggiolo, la terrazza, o li ha incassati. Erano gli avamposti per sfruttare tutto il sollievo del ponentino, o delle rarissime brezze padane, o dei maestralini delle città costiere, rafforzati da un grande agitare di ventagli femminili. Dentro le stanze andavano le pale dei ventilatori. Se passava il venditore di ghiaccio, se ne comprava un po’ per la ghiacciaia (i frigoriferi imperano massicciamente solo dagli anni Cinquanta), avvolgendolo nella juta perché si conservasse di più, e un «tocco» lo si metteva il più vicino possibile al ventilatore perché il vortice d’aria catturasse quella frescura. Ai primi di giugno si cambiavano i materassi: via quelli di lana per quelli di crine. Se non c’era penuria d’acqua, dal rubinetto della cucina se ne lasciava scorrere un filo continuo per berla fresca. Al Sud, si mettevano le pagliarelle alle finestre. Nelle città del Nord, non c’erano già più le persiane, gli scuri, ma s’abbassavano le tapparelle perché il sole non entrasse a cuocere gli arredi e a lasciare in eredità una persistente vampata di calore. L’antidoto era il buio, una sorta di oscuramento al contrario. Il caldo era caldo anche quando non c’era il buco dell’ozono e quando, empiricamente, gli uffici di una società milanese - gli anni erano quelli del miracolo economico - venivano refrigerati con l’immissione di ghiaccio tritato nelle canne del riscaldamento, dei termosifoni. Ma i nostri vecchi, anche senza aria condizionata, termostati, frigoriferi, erano più preparati a difendersene e anche a darlo per un evento ovvio, scontato. Guido Vergani