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 2004  ottobre 10 Domenica calendario

Così la Cia spiò Berlinguer (per scoprire poi che era contro l’Urss), Il Sole - 24 Ore, 10/10/2004 L’ex ambasciatore americano Richard Gardner ha appena pubblicato le sue memorie sugli anni tra il 1977 e il 1981 da lui passati a Roma per conto dell’amministrazione Carter

Così la Cia spiò Berlinguer (per scoprire poi che era contro l’Urss), Il Sole - 24 Ore, 10/10/2004 L’ex ambasciatore americano Richard Gardner ha appena pubblicato le sue memorie sugli anni tra il 1977 e il 1981 da lui passati a Roma per conto dell’amministrazione Carter. Oltre 450 pagine per spiegare come riuscì a impedire al Pci di entrare al governo in un momento in cui persino la Confindustria sembrava vederne l’opportunità. Ma soprattutto per sostenere che così facendo avrebbe dato un contributo decisivo al crollo del comunismo. Quelle di Gardner non sono solo memorie di parte. Sono anche memorie tronche. L’ex ambasciatore non cita infatti il piccolo grande segreto dell’ambasciata Usa in Italia di quegli anni. Si chiamava Operazione Devil Star, e fu la più riuscita operazione di spionaggio mai condotta contro il Partito comunista italiano. Fu soprattutto la più straordinaria fonte di informazioni a cui l’ambasciata Usa a Roma poté attingere per sapere che cosa faceva, diceva e addirittura pensava Enrico Berlinguer. La rivelazione più significativa di questa operazione - la risoluta ostilità di Berlinguer nei confronti di Mosca - fa pensare che l’inflessibile opposizione dell’ambasciata Usa all’ingresso del Pci al governo abbia contribuito a rallentare di anni un processo evolutivo che Berlinguer sembrava pronto ad accelerare. In altre parole, la svolta della Bolognina sarebbe forse potuta avvenire svariati anni prima della caduta del Muro. Ferragosto a Roma è il giorno migliore per una visita non programmata in un museo. O in un appartamento. infatti il giorno preferito dei ladri. Per questo motivo 25 anni fa, nel 1979, le primissime ore del mattino di Ferragosto furono scelte dai quattro uomini scesi da una macchina parcheggiata nelle vicinanze di Via del Corso. Con speciali faretti a luce infrarossa montati sulla fronte e microtrasmittenti all’orecchio, due di loro presero posizione alle due estremità di Via dell’Umiltà. Gli altri due, armati di una borsa con attrezzi, si avvicinarono al portone del numero 46. Impiegarono pochi secondi a forzare la serratura del portoncino. C’era un piccolo ascensore, ma preferirono fare a piedi le tre rampe di scale. La serratura della porta dell’appartamento fu altrettanto facile da aprire. Avendo già studiato la pianta dell’appartamento, sapevano esattamente dove andare. Uno di loro estrasse un pezzo di legno dalla borsa. Sembrava un tipico pezzo di supporto aggiunto sotto la base di una credenza per rafforzarla. Con una variante: conteneva un microfono, una batteria e un trasmettitore. Come in tutte le operazioni delle Cia in Italia, le prime due lettere del suo nome in codice erano ”D-E”, le lettere che a Langley indicavano il nostro paese. Operation Devil Star era stata avviata all’inizio del 1976, ma a giugno del 1979 era stata improvvisamente interrotta per un inconveniente: il bersaglio aveva deciso di traslocare. «Quando si seppe del trasloco ci fu un momento di panico», ricorda una persona allora coinvolta nell’operazione che identificheremo col nome di Fred. «Era stata fino ad allora la più fruttuosa ”penetrazione” di un partito comunista fuori dell’Unione Sovietica e della Cina». «Non fu cosa da poco», conferma un secondo funzionario della Cia che chiameremo Artie. Era anche una delle operazioni più segrete dell’epoca. Sapeva solo chi doveva sapere. Per questo è rimasta segreta così a lungo. «Anche all’interno della station della Cia a Roma non tutti sapevano», aggiunge un terzo funzionario che chiameremo Peter. Da quando era diventato segretario generale del Pci, nel 1972, Enrico Berlinguer aveva suscitato l’interesse della Cia, che gli aveva affibiato il nome in codice di Devil Squid - calamaro diabolico. Nel corso degli anni Berlinguer aveva guidato il partito lungo un percorso di maggiore autonomia da Mosca diventando il simbolo del cosiddetto euro-comunismo, formula che permetteva al partito di mantenere un piede nella staffa ”comunista” e l’altro in quella della democrazia parlamentare. Ma se Berlinguer era disposto a dimostrare la sua fedeltà ai valori democratici occidentali, non c’era dubbio che il partito mantenesse una componente intenzionata a rimanere legata a Mosca. Insomma, non era affatto chiaro se il Pci fosse veramente disposto a mantenere l’Italia legata all’Alleanza Atlantica. In caso di uno showdown con Mosca con chi si sarebbe schierato Enrico Berlinguer? Con la sua personalità introversa e la sua notoria discrezione, il segretario del Pci era un enigma per molti. Per questo «decifrare Berlinguer» divenne una delle priorità della Cia in Italia. «Berlinguer era un uomo molto guardingo», ricorda Giglia Tedesco, ex senatrice comunista e vice-presidente del Senato, amica personale del segretario comunista. Ma non era solo una questione di carattere. Berlinguer sapeva di essere sotto il costante controllo dei servizi segreti italiani. Per questo evitava di parlare di questioni delicate al telefono. O persino nel suo ufficio e a casa. «Berlinguer si fidava di pochissime persone... forse una sola», aggiunge Tedesco. Quella persona era suo marito, Tonino Tatò, capo dell’ufficio stampa e segretario di Berlinguer. Oltre che suo più stretto collaboratore. Dal 1967, Tatò e Tedesco vivevano in un piccolo appartamento su Via de’ Nari, a poche centinaia di metri da Palazzo Madama. Erano 62 metri quadri al terzo piano della dépandance di un palazzo nobile. Forse perché così piccolo e accogliente, o forse perché lo considerava fuori della portata dei «radar» dei servizi, comunque sia, dopo le regionali del 1975, Berlinguer cominciò a usarlo per i suoi incontri più riservati. Oltre che per passarci molte serate con Tatò e Tedesco. Agli inizi del 1976, Hugh Montgomery, chief of station della Cia a Roma, ebbe un’idea che avrebbe potuto permettergli di avere accesso al cuore del leader del Pci: mettere delle cimici nell’appartamento di Tatò. «Installammo almeno due microfoni. Uno nella cucina e un altro in un mobile del salotto», dice Fred. «Fu un’operazione definita in gergo ”unilaterale”. Nel senso che non avvisammo né tantomeno coinvolgemmo i servizi italiani». Ma i microfoni da soli non bastavano. Occorreva anche trovare un Listening Post - la stazione d’ascolto. Venne scelto l’appartamento di una signora americana che aveva un contratto con la station come traduttrice, Madame S. L’ubicazione del suo appartamento era perfetta: a Piazza del Biscione, a un centinaio di metri da via de’ Nari. All’ultimo piano, il che aiutava la ricezione. Sul tetto del palazzo i tecnici della Cia installarono un’antenna ricevente, collegata a uno speciale registratore che Madame S teneva chiuso dentro una scrivania. Ogni mattina prendeva le cassette - comuni cassette da registratore - e le portava negli uffici della Cia nell’ambasciata di Via Veneto. Lì c’era un’altra contrattista, Madame N, che aveva il compito di ascoltare i nastri e trascrivere il loro contenuto in italiano. I testi venivano poi dati a Madame S che li traduceva e passava a un funzionario della sezione «affari interni» della stazione che selezionava i brani più interessanti da trasmettere al chief of station e al funzionario che preparava i rapporti per il quartier generale di Langley. Dopo le politiche del giugno 1976, da cui il Pci era uscito con il 34,4%, nacque il governo delle astensioni. «Il patto che portò al governo della non-sfiducia venne siglato tra me e Berlinguer proprio a casa di Tatò», ricorda Giulio Andreotti. «Berlinguer si impegnava a votare a favore di un documento che riconosceva nel Patto Atlantico e nella Cee i punti di riferimento della politica estera italiana. In cambio l’impegno era di arrivare, seppur a tappe, a togliere l’estraneità oggettiva del Pci dal governo. I tempi erano da definire, ma la logica era di portarlo a essere una componente del governo». Ma col passare dei mesi, la pressione affinché il ruolo del Pci venisse riconosciuto formalmente con una qualche poltrona ministeriale continuò a crescere. A Washington, l’amministrazione Carter era agitatissima. «Dopo essermi consultato con Gardner, il 14 marzo 1977 scrissi al presidente che una svolta a sinistra in Italia era potenzialmente il nostro più grave problema politico in Europa», ricorda l’allora consigliere alla Sicurezza Nazionale Zbigniew Brzezinski nel suo libro di memorie. Dopo settimane di intensi negoziati emerse una nuova formula. Quella del cosiddetto accordo programmatico. Il Pci avrebbe da allora fatto un altro, seppur piccolo passo in avanti. Ma era chiaro che anche questo appariva come un rimedio temporaneo. Tutto lasciava pensare che il passo successivo sarebbe stato quello di creare una coalizione governativa con membri del Pci oppure della Sinistra Indipendente. Ovviamente c’era anche chi si opponeva. Sia a sinistra che a destra. I negoziati erano continui. Accordi venivano fatti e disfatti dietro le quinte e in modo segreto. Moro, Andreotti e Fanfani avevano contatti diretti con Berlinguer e negoziavano senza necessariamente informarsi a vicenda. In poche parole, nessuno sapeva veramente quello che i leader democristiani erano disposti a concedere al Pci. O quello che Berlinguer pretendeva per mantenere il suo supporto. Con un’unica eccezione: la stazione della Cia a Via Veneto. Su pressione dell’ambasciatore Gardner, il 12 gennaio 1978, il Dipartimento di Stato decise di uscire allo scoperto emettendo un comunicato senza mezzi termini: «Non siamo favorevoli alla partecipazione dei comunisti al governo. Al contrario vorremmo che l’influenza dei comunisti in tutti i paesi dell’Europa occidentale diminuisse». Quattro giorni dopo Andreotti offrì le proprie dimissioni ottenendo immediatamente il mandato per trovare una nuova formula. Nonostante il monito americano, tutto lasciava pensare che il passo successivo sarebbe stato quello di includere nel nuovo governo membri o «amici» del Pci. «Nel febbraio del 1978 il Pci stava per entrare al governo», ricorda Giglia Tedesco. Il 3 febbraio, Tatò comunicò a Berlinguer il contenuto di una sua conversazione con il segretario di Andreotti, Franco Evangelisti: «A Tonì, è fatta, voi entrate nella maggioranza». Cinque settimane dopo Andreotti si presentò invece al Quirinale con un elenco di nomi praticamente identico a quello del monocolore precedente. «Fummo molto scioccati. Era una virata di bordo inaspettata», ricorda Tedesco. Andreotti oggi nega che sia stato un intervento americano a bloccare una nuova fase del percorso che avrebbe dovuto portare il Pci al governo. «Nel nostro partito i tempi non erano ancora maturi», dice. Moro temeva una spaccatura della Dc ed è quindi possibile che con Andreotti abbia deciso di tenere a bada gli oppositori interni a suon di poltrone ministeriali. Ma non si può escludere che siano invece stati gli americani a «convincerlo». Cinque giorni dopo, il 16 marzo 1978, Moro venne rapito dalle Brigate Rosse e in un clima di emergenza nazionale il Pci decise di dare comunque il proprio sostegno al nuovo monocolore di Andreotti. La primavera successiva, nel 1979, fu la volta della Cia a essere sorpresa: dopo 12 anni a Via de’ Nari, Tatò aveva deciso di cambiar casa. Il problema più immediato riguardava uno dei microfoni. Approfittando del trasloco, Tatò e Tedesco avevano deciso di mandare i loro mobili più vecchi da un restauratore. La Cia doveva rimuovere il blocco di legno. Ma non era agosto. E il centro della città brulicava di romani e di turisti. Si optò per un piano alternativo: il giorno in cui la credenza sarebbe dovuta essere portata dal restauratore posizionarono la loro stazione d’ascolto mobile - un furgone Fiat bianco con apparecchiature elettroniche di ogni genere - nei pressi di Via de’ Nari. Seguirono poi il camion del restauratore fino al suo negozio a Montesacro. Quella notte un team di specialisti entrò dentro e rimosse il blocco di legno. Riuscire a trovare una nuova stazione d’ascolto fu molto più complicato. Il Parlamento italiano aveva appena approvato la legge sull’equo canone e da un giorno all’altro nessuno affittava più nulla. Alla fine una soluzione si trovò grazie a un funzionario appena trasferito a Roma da Parigi. Era il figlio di una primadonna della mondanità internazionale, con connections in tutto il mondo. Inclusa l’aristocrazia romana. Più che un appartamento fu trovata un’intera ala all’ultimo piano di uno dei più prestigiosi palazzi romani, Palazzo Odescalchi. Ma c’era un problema aggiuntivo: Madame S non aveva il profilo socio-economico tipico dell’inquilino di un indirizzo del genere. La soluzione arrivò col trasferimento a Roma di Mister P. Cinquantenne, ancora scapolo ma amante delle belle donne, Mister P era un vero bon vivant. E grazie al suo hobby, aveva anche una copertura perfetta: l’antiquario. Sebbene Mister P fosse da anni un dipendente a tempo pieno della Cia, la sua passione non era lo spionaggio bensì i mobili antichi, o ancor più i tappeti orientali. Era una scelta perfetta per Palazzo Odescalchi. E quell’appartamento, con il suo prestigiosissimo indirizzo, era perfetto per lui. Il suo enorme salone venne prontamente convertito in showroom per tappeti orientali. Nelle elezioni del giugno 1979, il Pci perse 4 punti di percentuale, punito da un elettorato che non lo percepiva né all’opposizione né al governo. Ma governare senza il Pci rimaneva difficile. A Washington Brzezinski continuava a pensare che occorresse mantenere il veto. A Roma Richard Gardner era d’accordo, convinto com’era che il cavallo su cui puntare fosse il Psi di Bettino Craxi. L’ironia è che a ritenere che l’ingresso del Pci al governo non fosse affatto uno spauracchio era proprio quell’organismo che per tre decenni aveva combattuto i comunisti con ogni mezzo e modo: la Cia. In ambasciata molti pensavano che la Agency fosse divenuta inspiegabilmente soft nei confronti dei comunisti. Ma non sapevano che la Agency aveva un orecchio elettronico a casa di Tatò e poteva quindi sentire quello che Berlinguer diceva al suo più fidato collaboratore nell’intimità del suo appartamento. «In privato Berlinguer era durissimo - feroce - contro l’ala pro-sovietica», conferma Tedesco. «Lui era... diciamo la parola: anti-sovietico». «Certamente Berlinguer era anti-sovietico», conferma Andreotti. «Aveva abbastanza intuito quello che era veramente l’Urss, anche se nella propaganda i comunisti dovevano continuare a dirne tutto il bene possibile. Quando gli feci notare questa contraddizione mi rispose che non poteva fare una lotta su due fronti. Doveva prima pensare all’Unione Sovietica. Perché loro gli davano preoccupazioni serie». «Grazie all’operazione Devil Star ci rendemmo conto che il Pci non aveva affatto buoni rapporti con Mosca. Anche se il Dipartimento di Stato e l’ambasciatore in particolare non volevano sentirselo dire», aggiunge Peter. Il nuovo chief of Station, Duane Clarridge era, come il suo predecessore, un anti-comunista convinto. Ma più pragmatico. E grazie al continuo flusso di informazioni provenienti dall’appartamento di Tatò si convinse che Berlinguer non era affatto un burattino nelle mani di Mosca. Nell’autunno del 1980, Clarridge ideò un piano che gli avrebbe offerto una doppia opportunità: dare maggiore governabilità all’Italia e umiliare i sovietici. Lo battezzò Operazione Soluzione Finale (del problema comunista) e consisteva in tre fasi, ognuna della quale aveva una serie di ostacoli politici che il Pci doveva superare in un graduale processo che sarebbe terminato da parte comunista con il definitivo abbandono di ogni legame con Mosca e da parte americana con il riconoscimento della legittimità delle aspirazioni governative del Pci. Nel novembre 1980, Clarridge inviò la sua proposta al quartier generale. Il passo successivo fu quello di presentarlo in ambasciata. Ma Gardner non apprezzò affatto l’iniziativa. Convocò Clarridge per colazione e gli comunicò che il piano non avrebbe mai e poi mai avuto il suo sostegno. Né tantomeno quello di Ronald Reagan, che aveva appena vinto le elezioni in America. Insomma, sarebbe rimasta lettera morta. E così fu. Nel 1984, Enrico Berlinguer fu stroncato da un infarto durante un comizio a Padova e la Cia decise di concludere Operation Devil Star. Otto anni dopo morì anche Tatò. Il 21 ottobre 1998 un erede di Berlinguer, Massimo D’Alema, prestò giuramento come primo ministro. Pochi mesi dopo, quando l’amministrazione Clinton decise di andare in guerra in Kossovo, il governo D’Alema aprì le basi del nostro paese ai bombardieri della Nato che attaccavano le forze dell’ex leader comunista Slobodan Milosevic. Per molti negli Usa fu una piacevole sorpresa. Per chi era al corrente di Devil Star fu solo la conferma definitiva di quello che avevano sentito due decenni prima nell’appartamento di Tatò. Claudio Gatti