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 2003  dicembre 17 Mercoledì calendario

Fede scaricato sull’erbosa strada (ma è solo un incubo), La Stampa, 17/12/2003 Doveva finire così

Fede scaricato sull’erbosa strada (ma è solo un incubo), La Stampa, 17/12/2003 Doveva finire così. O meglio: è del tutto naturale che lo spettacolo, cosa serissima al giorno d’oggi, continui in questo modo. Con il decreto "Salva-Fede" il governo è costretto a riconoscere finalmente al direttore del Tg4 il rango istituzionale che gli spetta. Sì, certo: i posti di lavoro. Mai questa maggioranza si era dimostrata così lacrimosa rispetto al dramma della disoccupazione. Ma c’è un altro dramma, intanto, più concreto e visibile, del quale le massime autorità dello Stato s’apprestano a farsi carico con il sussidio della Norma: quello dell’Emilione nazionale. Ieri sera Fede s’è affacciato sul video opportunamente luttuoso, parlando di sé in terza persona. Ha ammonito, deglutito, fatto le facce, sgranato gli occhi e rivendicato addirittura "una sorta di pudore", fino alla commozione terminale, la voce che si rompeva, "ecco, scusate"... Comunque vada a finire, Fede resta un grande della commedia italiana, e anche per questo l’esecutivo non fa che prendere atto del ruolo insostituibile che egli svolge e che solo ipocriti pregiudizi avevano fin qui eluso o mascherato dietro un sipario autoconsolatorio. Non è uno scherzo: una Repubblica che legifera a favore di Emilio Fede solennizza così il proprio rapporto con un universo di finzione. Se la società degli spettacoli aveva bisogno di una sua conferma notarile, ecco, domani o domani l’altro basterà appena conoscere il numero di presentazione del decretolegge con il quale il presidente del Consiglio assegna al salvataggio del direttore del Tg4 carattere "di necessità e urgenza", come da Costituzione. da tempo, d’altra parte, che la televisione sta prevaricando la carta fondamentale dello Stato se non l’ha già travolta. E Fede è Fede. Sono cinquant’anni che sta in tv, lì ha fatto tutto e prima di tutti, sempre e comunque infiammando la fantasia dei critici e dei telespettatori. Lo studioso di comunicazione Edoardo No velli ha scoperto che già nel ’70 inaugurò in veste di conduttore una versione di ”Tribuna politica” autogestita per il psdi, con Mino Reitano, e Fortebraccio lo definì "un giovanotto che faceva il buttafuori". Nelle 55 righe che la Garzantina a cura di Aldo Grasso dedica a Emilio Fede trovano posto ben 4 soprannomi, tra l’affettuoso e il malevolo che hanno assecondato la sua inesorabile carriera. E dunque, "L’ammogliato speciale", per via del matrimonio con la figlia del potente vicepresidente socialdemocratico della Rai, De Feo; come pure "Il genero di prima necessità". Poi "Sciupone l’Africano", per le note spese nel continente nero, dove Fede è stato inviato per anni. E infine, non irresistibile: "Emilio Fido". E tuttavia, a proposito di quest’ultimo nomignolo va segnalato l’effigie del cagnolino a cui i presentatori di ”Striscia la notizia” attribuiscono tutte le deferenze del direttore del Tg4 verso Berlusconi. In realtà Fede ha davvero poco del cane. A ben vedere non c’è in lui né mansuetudine domestica, né istinto ferino. umano, semmai, troppo umano. Si è fatto la plastica e ancora risulta l’unico ad averla rivendicata: "Posso anche consigliare il mio chirurgo che sta a Parigi e costa poco". Ha avuto guai seri con il gioco d’azzardo, ma non l’ha mai nascosto, fino a titolare uno dei suoi cinque libri spudoratamente autobiografici La vita è un gioco (Mondadori). Si è fatto spolpare da maghi e chiromanti. In Africa ha salvato Moro da un leone. Per anni gli amici in Rai hanno raccontato che in tarda età ha fatto la prima comunione a San Pietro per segnalare il proprio passaggio dal fantastico psdi alla corrente fanfaniana. Mago del "fuorionda", narcisista indomito, dominato da una vitalità del tutto inusitata, davanti ai riflettori è capace di qualsiasi scena. Memorabile quella delle bandierine appiccate a mo’ di banderillero su una cartina geografica per segnalare i successi berlusconiani: successi di lì a poco rovesciatisi nel loro contrario. Quando scrive, il lettore può restare comprensibilmente perplesso di fronte all’insistenza con cui egli si descrive come uno straordinario bugiardo. Ma poi è anche vero che una volta trovatosi dei terroristi sotto casa, al Gianicolo, è stato uno dei pochissimi a rispondere al fuoco delle Brigate rosse. Bang! Bang! E insomma: una incarnazione evoluta, casereccia e rinforzata di Bel Ami, con scivolamenti progressivi nel genere comico, tanto più in prossimità di "Lui - come scrive lo stesso Emilio - con la ”elle” maiuscola", che neanche a dirlo è Berlusconi. Ecco: proprio quando parla del Cavaliere si capisce che più che al mondo dell’informazione Emilio Fede appartiene all’arte antica del teatro. una risorsa narrativa vivente, un eccezionale attore che con la più professionale spudoratezza ha scelto il "carattere" dell’adoratore berlusconiano. In nome di questa adorazione, una specie di astuzia mistica anche se di incerta e spesso crudele reciprocità, Fede si dice "stregato" e rimpiange ad esempio di non poter essere seppellito nel mausoleo di Arcore [...]. Il decreto legge "SalvaFede" suona dunque come un provvido risarcimento. Ma per estremo paradosso spettacolare rischia di scombinargli la parte. Ora, riguardo a quest’ultima, l’espressione è forte, d’impatto. E davvero qui non si vorrebbe mancare di rispetto a un valoroso professionista, ma non c’è dizionario di teatro che, specie nella commedia, dall’antichità al novecento, non contempli la figura del servo. Definito dalla sottomissione al padrone, raramente egli si accontenta di essere esecutore obbediente dei progetti. Smania, piuttosto, oppure gode, piange, osserva, consiglia, si fa complice dell’intreccio. Da Aristofane a Plauto, da Molière a Marivaux fino a Beckett il servo, già schiavo e poi assistente o segretario, si erge di fronte al protagonista, lo spinge a muoversi, a esprimersi, a rivelare i propri sentimenti; lo incoraggia ad agire secondo moduli che non si ad dicono alla dignità del leader, ma gli convengono. Ebbene: più che un semplice alterego di Berlusconi, nella Repubblica delle apparenze, Emilio Fido ne rappresenta la coscienza, l’inconscio, il "non-detto", il "non-fatto". tutt’altro che un servo sciocco. La tradizione italiana contempla semmai servi-buffoni, come Arlecchino o Trivellino. Quella francese, con Scapino Crispino Lubino o Dubois, privilegia il servo d’intreccio, ingegnoso e brillante. Il personaggio Fede, l’attore e la maschera, non l’uomo, porta su di sé tutti i contrasti del potere e dello spettacolo: alienazione e liberazione - nel caso specifico dall’incubo di finire sul satellite - sono le tappe del suo indubbio successo e della sua palese irrequietudine. In compenso, gli si avverano perfino i sogni; o ha il potere magico di farseli avverare. In uno dei suoi molteplici libri dà conto di una immaginaria passeggiata agreste con Berlusconi, "e intanto - si lancia - andiamo per un sentiero che profuma di ginestra e di fiori di campo". Poi però ha un sussulto, lo prende l’ansia che "Lui" possa "scaricarmi" lungo l’erbosa strada: "Adagiarmi su un prato, o mettermi a sedere su una panchina". E il pensiero corre a una scena vera e documentata da una indimenticabile sequenza di foto "rubate" nell’estate del 2002. Quando effettivamente, nel parco della villa sarda La Certosa, il direttore del Tg4 partecipava con il solito gruppo di amici del Cavaliere al rituale rigenerante dello jogging. Ma ecco che, nel mezzo dello sforzo, proprio lui, Fede, inciampava e cadeva lungo per terra. E gli altri, con Berlusconi in testa, via di corsa. Era un’immagine, quasi un’icona, al tempo stesso drammatica e comica. Chi glielo faceva fare, a 70 anni suonati, di mettersi a correre sotto lo schioppo del sole di agosto, e per giunta con i fotografi in agguato? Sembrava un pezzo di Fantozzi. Ma il decreto legge "Salva-Fede" rischia di essere un pezzo di verità. Filippo Ceccarelli