[1] Alessandro Oppes, ཿla Repubblica 12/3/2004; [2] Michelangelo Cocco, ཿil manifesto 12/3/2004; [3] ཿla Repubblica 12/3/2004; [4] Maurizio Blondet, ཿAvvenire 12/3/2004; [5] Sandro Viola, ཿla Repubblica 12/3/2004; [6] Gian Antonio Orighi, ཿLa Stampa, 12 marzo 2004
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 15 MARZO 2004
Gentili europei, benvenuti nella Terza guerra mondiale. Giovedì mattina dieci esplosioni nelle stazioni ferroviarie di Madrid hanno causato 200 morti e oltre 1400 feriti (dati aggiornati a sabato). Le bombe esplose sono 10 su 4 treni (la prima alle 7.39): tre su un convoglio fermo e 4 su uno in avvicinamento a Atocha, una su un treno fermo a Sant’Eugenia e due su uno a El Pozo. Gli artificieri hanno brillato 3 ordigni inesplosi. [1]
Si tratta di uno dei più gravi atti terroristici mai verificatisi in Europa, secondo solo all’attentato contro il volo della compagnia Pan American, precipitato nel 1988 a Lockerbie, in Scozia (270 morti). [2] Nei piani degli attentatori, la stazione ferroviaria di Atocha doveva essere l’equivalente madrileno delle Torri Gemelle: l’edificio, una delle costruzioni storiche e simboliche della capitale spagnola, sarebbe dovuto crollare nell’esplosione simultanea di due convogli, che avrebbe provocato un massacro di proporzioni molto più gravi, all’ora di punta e con migliaia di pendolari in arrivo e in partenza. bastato un piccolo ritardo (2 minuti) di uno dei treni provenienti da Alcalá de Henares per scongiurare questo pericolo: gli ordigni sono esplosi sulle carrozze di testa e di coda poco prima dell’ingresso in stazione. [1]
Gli spagnoli hanno subito dato la colpa all’Eta. Euskadi Ta Azkatasuna, ovvero Madrepatria e libertà, nacque nel 1959 come movimento studentesco di ribellione all’occupazione dei Paesi Baschi da parte del generale Franco e alla cancellazione dell’autonomia di cui godeva la regione. L’idea a cui si ispira è l’indipendenza del popolo basco, ritenuto da molti esperti il ceppo etnico più antico d’Europa, e attualmente diviso in sette regioni, quattro in Spagna e tre in Francia; per ottenerla ha scelto la strada della lotta armata, uccidendo fra il 1968 e il 2003 850 persone. [3]
Provate a chiedere perché lo fanno, e loro risponderanno che continuano la guerra dei padri contro Franco. Maurizio Blondet: «Vi parleranno della ”repressione”, che subiscono nelle galere ”fasciste” los presos, i prigionieri politici baschi. Presto ci si accorge che costoro usano il linguaggio mitico dell’anarchia, e l’applicano a un nemico che esiste solo nei loro incubi. Che coniugano il verbo della ”liberazione degli oppressi” e la solidarietà no-global con mentalità e persino facce da fascisti antropologici. Che sono improbabili centauri: anarco-nazisti, reazionari rossi. Con sgomento, ci si accorge che sragionano per principio. Privi di ragione, non vogliono averla: l’hanno sostituita una volta per tutte con la violenza». [4]
Sono trent’anni che la democrazia spagnola tenta invano di sciogliere i nodi del separatismo e del terrorismo nel Paese basco. «Nel frattempo, la storia ha camminato a grandi passi. Sono crollati l’Unione Sovietica e gli altri regimi comunisti europei, in Sudafrica è finito l’apartheid [...] Solo il separatismo basco non s’è mosso d’un centimetro dal suo alveo purulento e dalle sue richieste massimaliste». [5]
Gli «etarras» non sono mai stati così deboli. Nel 2003, le forze dell’ordine di Spagna e Francia (il Paese in cui da sempre si rifugiano, si organizzano e preparano i loro ordigni) hanno effettuato 187 arresti, tra cui tutto il vertice militare. Sono stati scoperti 184 covi, sequestrati 3.571 kg di tritolo, 93 tra mitra e pistole. Le vittime sono state solo 3. I terroristi che cercano di compiere azioni armate sono sempre più giovani e inesperti. [6] L’organizzazione non può però essere data per morta, giacché sembra disporre tuttora d’un vasto serbatoio di militanti. Rampoldi: «Gli elettori di Herri Batasuna, suoi simpatizzanti storici e forse qualcosa di più, sfiorano i 100mila». [7]
L’Eta ha sempre preferito attacchi mirati o ha scelto di avvertire quando metteva bombe in luoghi affollati. Dunque la strage di giovedì è anomala. Finora gli attentati dei terroristi baschi non avevano fatto più di 21 vittime: nel 1987 un’autobomba esplose nel centro commerciale Hipercor di Barcellona, ma l’Eta in seguito si scusò, definendolo «un errore». [8] Spiega Francesco Cossiga: «Se avessero fatto saltare in aria una caserma della Policia Nacional, della Guardia Civil o della Polizia Autonoma Basca, facendo anche 100 morti, sarebbe stato nello stile dell’Eta. Ma l’attacco indiscriminato alla popolazione non è mai accaduto. Quindi, se sono stati loro, credo si tratti di una scheggia impazzita». [9]
Un rapporto Europol paventava il rischio di un’operazione sanguinosa, al di fuori del tradizionale modus operandi dell’Eta. A lanciarla i «giovani lupi» dell’organizzazione basca dopo aver vinto un braccio di ferro con una leadership delusa e debole. Possibile una variante a sorpresa: la cupola politica autorizza un’azione spettacolare, una mega-esplosione nel centro della capitale, chiedendo però ai militanti di far sgomberare l’area qualche istante prima (tecnica usata in passato). I «giovani lupi», però, affascinati dallo stile di al-Qaida, non obbediscono alla lettera e vogliono il massacro. Nella loro testa si è radicata la convinzione che solo un episodio di «megaterrorismo» può provocare una scossa. [10] Blondet: «Non stupirebbe scoprire, un giorno, che questo immane massacro ha una motivazione tutta interna alla setta. Magari un gruppo che voleva dimostrare agli altri d’essere più duro, degno del fosco comando sul cuore di tenebra. Hanno voluto solo imitare al-Qaida? O vi si sono alleati? Possibile. E sarebbe la notizia peggiore». [4]
Secondo molti sono chiare le impronte di al-Qaida. La prima è nel modus operandi. Azione multipla, su più obiettivi, con effetti devastanti, per fare il maggior numero di vittime. Come è avvenuto al pub di Bali (200 vittime) e nel centro di Istanbul. Due attentati che la rete di Osama ha affidato a gruppi associati. Manca solo il kamikaze: giovedì una radio ha annunciato che ne erano stati trovati i resti, poi è stato smentito, sabato ”La Stampa” citava fonti dell’antiterrorismo spagnolo per dire che erano state ritrovate 5 teste dai lineamenti arabi. Ma il dubbio resta. Un’altra impronta è rimasta sugli ordigni inesplosi e sul furgoncino trovato ad Alcalà. Gli artificieri sostengono che da un primo esame gli inneschi sono in rame, mentre l’Eta impiega quelli in alluminio. Stesso discorso per il materiale detonante: non è la titadine, una sorta di firma dei baschi. [10; 11]
I servizi spagnoli sono convinti «al 99 per cento» che dietro gli attentati c’è un gruppo di terroristi islamici: a portarli a termine un commando di 10-15 persone. L’ha rivelato, citando fonti d’intelligence la radio Cadena Ser, i cui proprietari sono vicini al Partito socialista. [12]
Diverse inchieste della magistratura iberica hanno dimostrato che la Spagna è una base importante per al-Qaida: vi ha preparato l’11 settembre; sono presenti cellule in sonno legate a complici in altri Paesi europei; la rete può contare su appoggi economici insospettabili (cittadini spagnoli compiacenti) ed è stata in grado di arruolare mujaheddin poi spediti su altri fronti. La Spagna è un bersaglio ideale: ha un valore simbolico (amica degli Usa), viene sorpresa in un momento delicato (le elezioni), e poi la storia: nella propaganda fondamentalista la Spagna era la terra dei mori e va riconquistata con la spada. Un destino che riguarda anche Istanbul, già colpita, e Roma. [10]
Al-Qaida ha rivendicato l’attentato con un messaggio fatto pervenire a un quotidiano arabo pubblicato a Londra (’al Quds al-Arabi”) e a una redazione dell’agenzia britannica Reuters a Dubai. La firma è delle ”Brigate Abu Hafs al-Masri”, le stesse degli attacchi terroristici del novembre scorso contro una sinagoga e una banca a Istanbul, e nell’agosto precedente contro il quartier generale delle Nazioni Unite a Bagdad. [13] Khaled Fouad Allam: «Se la rivendicazione è autentica, non solo stiamo assistendo a un’escalation del conflitto, ma all’evidenziarsi di una strategia estremamente rigorosa e di un’organizzazione capillare di reti terroristiche, capaci di muoversi da un punto all’altro del globo oppure di appoggiarsi alle famose strutture dormienti in grado di attaccare e colpire al momento opportuno. evidente che queste reti, che all’esterno possono apparire frammentate, devono comunque obbedire a un centro: e il centro non è obbligatoriamente bin Laden, perché bin Laden potrebbe essere un anello, seppure importante, della catena. Da qualche parte, dunque, esiste questo centro; dove, non si sa». [14]
Il documento di rivendicazione inviato dalle Brigate al-Masri a Londra sarebbe un falso. Lo dice Ygal Carmon, esperto di intelligence e presidente dell’autorevole centro studi Memri. La tesi, in 8 punti, è che qualcuno abbia voluto scimmiottare il linguaggio qaidista. E poi: se le Brigate sono coinvolte nella strage e hanno lanciato un attacco così coordinato perché non hanno inserito nel testo un elemento per provare il loro reale coinvolgimento? [15]
Gli esperti di terrorismo Usa sono convinti che la strage di Madrid sia opera di al-Qaida. William Liddle: «Mi sono occupato da vicino dei due attentati avvenuti in Indonesia, a Giakarta e Bali e posso garantire che vi sono molte coincidenze tecniche». [16] Vi è inoltre la strana coincidenza della data: tra l’11 settembre 2001 e l’11 marzo 2004 sono passati esattamente due anni e mezzo. [14] Gramellini: «Secondo la Tradizione - spiega chi se ne intende - l’1 simboleggia il fallo. L’11 è un doppio 1 e garantisce il massimo della forza su qualsiasi piano, terreno e ultraterreno. Dinanzi a certi discorsi è comprensibile lo scetticismo dei neofiti, portati a liquidare come elucubrazione tutto ciò che non rientra nei canoni del pensiero comune. Ma il punto non è se ci crediamo noi. Il punto è se ci crede qualcun altro. E se sulla base di questo convincimento ha impostato il cronometro di una guerra in cui, purtroppo, stiamo cominciando a credere tutti». [17]
L’ipotesi prevalente è che sia maturata una cooperazione sul campo fra al-Qaida e gli indipendentisti baschi, sul modello di quanto già fatto dalle cellule di bin Laden con gruppi terroristi locali in Estremo Oriente e Nord Africa. Rachel Ehrenfeld, autrice di Funding Evil sui finanziamenti di al-Qaida: «Non troppo tempo fa le autorità spagnole hanno sventato un complotto congiunto di al-Qaida e dell’Eta per riuscire a colpire navi militari della Nato mentre transitavano nello Stretto di Gibilterra». Sarebbe quello il «momento iniziale di una collaborazione» che consentirebbe oggi ai miliziani di Osama di operare in Paesi europei grazie alle coperture e alla cooperazione di gruppi terroristici locali, accomunati dall’essere anti-occidentali ed anti-americani. [16]
Tra le centinaia di combattenti stranieri che affluirono in Iraq alla vigilia dell’attacco americano, c’erano anche un’ottantina di militanti baschi dell’Eta. Magdi Allam: «La Brigata Euskal Herria, Territorio basco, partecipò alle operazioni di contrasto all’attacco delle forze americane a Bagdad. Era composta da giovani militanti dell’Eta disposti all’estremo sacrificio della vita [...] Alcuni sono rimasti in Iraq simulandosi come operatori umanitari. Si deve probabilmente a loro l’agguato costato la vita a sette agenti dei servizi segreti spagnoli lo scorso 29 novembre a Swaira». [18]
Al-Qaida sta costruendo un proprio esercito in Europa. Debka, il sito israeliano più informato su notizie e analisi di terrorismo, sostiene che in Francia avrebbe reclutato 35-45 mila persone; in Germania 25-30 mila; in Gran Bretagna diecimila. «Assai meno in Italia perché la pressione dell’antiterrorismo è forte. Ma ci sono buone riserve nei Balcani». [19]
L’11 marzo potrebbe essere per molti aspetti più importante dell’11 settembre. Romano: «La guerra si sarebbe spostata in Europa e avrebbe coinvolto nemici diversi in una stessa operazione eversiva. Non vinceranno, perché si scontreranno con la capacità di resistenza di una società democratica nel momento in cui è minacciata nelle sue stesse fondamenta. Ma è una guerra europea che l’Unione, d’ora in poi, dovrà combattere con un grado di unità e solidarietà molto più elevato di quello di cui ha dato prova negli scorsi mesi. Decideremo poi se quanto è accaduto [...] non debba considerarsi il risultato di una guerra irachena che sarebbe stato necessario combattere con altri strumenti. Per ora limitiamoci a constatare che questa è una nuova guerra, la nostra e che bisogna combatterla». [20]
Di fatto la strage di Madrid rappresenta la binladizzazione del terrorismo in Europa. Magdi Allam: «Ciò che deve veramente preoccupare è il cambio della percezione del ”nemico”. Colpendo indiscriminatamente dei civili, l’Eta ha abbandonato il principio della responsabilità soggettiva che in passato l’aveva portata ad attaccare singoli esponenti delle istituzioni. Per adottare il principio binladiano della responsabilità oggettiva. Tutti coloro che, a vario titolo, stanno dalla parte del ”nemico” meritano la morte. legittimo ucciderli. Bin Laden lo fa sulla base del takfir, la condanna di apostasia dell’insieme della società che accetta di vivere sotto un potere ”empio” o ”ateo”». [18]
«Abbiamo a che fare con un virus in continua mutazione, e per combatterlo disponiamo soltanto di fotografie» (il giudice francese Jean-Louis Bruguière). Franco Venturini: «La definizione migliore del nuovo terrorismo resta quella data dopo l’11 settembre: una minaccia mortale senza volto, senza limiti di territorio, che può creare sintesi imprevedibili e mutevoli tra nazionalismi, religioni, appartenenze etniche, ideologie politiche e ambizioni geostrategiche. questa formula ”mondialista” a tenere banco nella Russia che, fuori dall’area mediorientale, detiene un triste primato di attentati e di vittime. Il terrorismo ceceno è ”locale”. Ma non arriverebbe nella capitale senza i finanziamenti dei radicali islamici, senza i collegamenti con l’Afghanistan e con altre regioni caucasiche. Lo stesso, si dice in queste ore, deve valere per l’Eta». [21]
Un esercito di lillipuziani marcia diviso per colpire unito il nemico. Riotta: «Il fronte non passa più tra Ovest ed Est, ma tra tolleranza e intolleranza, tra chi, in Occidente e nei Paesi arabi, accetta il dialogo e chi invece sceglie la violenza come unico strumento politico. ”Da questo punto di vista - conclude l’analista che ha accettato di dialogare con il ”Corriere” - l’inchiesta che dirà se si tratta di Eta o di al-Qaida è importante per la polizia, ma meno per noi dell’antiterrorismo. Perché la percezione dell’opinione pubblica mondiale, i titoli ”Ground zero a Madrid”, inglobano già la strage nei parametri di guerra all’Occidente». [22]
«Il terrorismo è la terza guerra mondiale» (Raanan Gissin, portavoce di Ariel Sharon). [23] Viola: «Una cosa è comunque certa. S’è fatta ancora più acuta, sconcertante, la sensazione che proviamo dall’11 settembre. Il timore di vivere ormai un temps des assassins, una stagione in cui tutto è possibile. Ogni tipo di bomba, ogni tipo di strage. Come se una tempesta d’irrazionalità, fanatismi, violenza omicida stesse calando sui nostri paesi, rivelandone l’estrema e forse irrimediabile vulnerabilità. Impedendoci, quando suona la campana, di pensare che essa suoni per altri e non per noi». [5]
Fouad Allam: «Sul piano politico europeo, se per questo attentato sarà riconosciuta la matrice terroristica islamica, vi è il pericolo che si inneschi una maggiore conflittualità fra le comunità musulmane, spesso di origine immigrata, e le popolazioni europee». [14]