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 2005  novembre 13 Domenica calendario

Benetton, i tanti "fili" oltre il tessile. Il Sole 24 Ore 13/11/2005. Se anche l’"affare Romiti" andrà in porto, dalle parti di Ponzano Veneto stapperanno, come sempre senza troppi clamori, più di una bottiglia di Prosecco

Benetton, i tanti "fili" oltre il tessile. Il Sole 24 Ore 13/11/2005. Se anche l’"affare Romiti" andrà in porto, dalle parti di Ponzano Veneto stapperanno, come sempre senza troppi clamori, più di una bottiglia di Prosecco. Perché l’ingresso in Miotir avrà il valore simbolico di un traguardo per la famiglia Benetton: la holding di Cesare Romiti custodisce indirettamente il 51% degli Aeroporti di Roma, il più grande aeroporto italiano. Aeroporti, autostrade, stazioni ferroviarie: i Benetton sono su tutte le partite dove si gioca la gestione delle infrastrutture (e dei relativi servizi), uno degli asset strategici del Paese. Ma c’è anche un gioiello come Autogrill, e l’abbigliamento che poi rappresenta le origini del gruppo, indietro fino al lontano 1965 quando venne fondata la United Colors of Benetton. E ancora i giornali (con il Gazzettino), i possedimenti terrieri (la tenuta di Maccarese, che nei giorni scorsi ha rilevato la Cirio Agricola, divenendo il secondo polo italiano del latte, e i 900mila ettari di allevamenti argentini della Compania de Tierras). La metamorfosi del gruppo inizia a metà degli anni ’90 (se si esclude la piccola sortita, con l’1% appena, nelle due ex Bin Comit e Credit): nel 1995 la Sme, che controllava i supermercati Gs e Autogrill, viene ceduta dall’Iri a Edizione Holding, la finanziaria dei fratelli Carlo, Gilberto, Giuliana e Luciano, in partnership con Leonardo Del Vecchio. "Due circostanze coincidenti - ricordano persone vicine all’azienda - contribuirono allora alla svolta: la liquidità di cui i Benetton disponevano e l’alba delle grandi privatizzazioni statali". il primo assaggio di diversificazione (Gs sarà ceduta poi a Carrefour), ma il salto importante è il colpo su Autostrade, privatizzata nel 1999. Perché il gruppo che controlla il 60% della rete viaria a pagamento (tra cui la nevralgica A1 Milano-Napoli) è una macchina finanziaria perfetta. Un mercato regolamentato, dove le tariffe sono definite dallo Stato, e manager competenti, guidati da Vito Gamberale, hanno fatto il resto. I caselli (2,4 miliardi di ricavi) generano liquidità vicina al miliardo di euro, che serve a finanziare anche investimenti come il recente ingresso in Impregilo, tramite la cordata Igli. Dal 1999 a oggi, Autostrade ha reso, in termini di ritorno sul patrimonio, il 13% all’anno. Senza contare la rivalutazione di Borsa, visto che i titoli sono passati da 7 euro agli attuali 19 (+167%). I Benetton spesero 2,5 miliardi per il 30% nel 99. Oggi quei soldi, calcolano gli analisti includendo anche l’Opa del 2003, che ha portato la subholding Schema28 al 52%, sono raddoppiati: 5,4 miliardi. Da lì è iniziata una strategia tenace e costante di investimenti nelle utility e nei servizi a chi viaggia: così si spiega l’ingresso in Grandi Stazioni, la joint-venture con le Ferrovie per gestire gli scali, riqualificati in shopping center. Ai caselli e alle stazioni si sono aggiunti gli aeroporti: prima l’acquisizione della Sagat (che gestisce lo scalo di Torino) e poi, tramite la cordata Aeroporti Holding, l’acquisizione di Adf (Aeroporti di Firenze). Ma se in Autostrade c’è stata da mantenere in carreggiata una macchina ben oliata, più significativa è stata la trasformazione di Autogrill da monopolista locale a multinazionale della ristorazione, presente in 15 Paesi del mondo. I 600 milioni di ricavi del 1995 (tutti in Italia) sono diventati 3,2 miliardi lo scorso anno (per due terzi all’estero) con circa 100 milioni di utili. Il valore dal momento della quotazione, nel 1997, si è quasi quadruplicato (+374%) in otto anni. L’ultima mossa dell’ad Gian Mario Tondato da Ruos è stata la conquista della Spagna e dell’America Latina: con un’offerta da 750 milioni Autogrill si è portata a casa la catena di duty free Aldeasa. Ma nel mirino c’è già un altro big: quella travagliata Compass che ha messo in vendita le sue concessioni. A un certo punto alcuni hanno iniziato a interrogarsi, specie dopo l’ingresso in Telecom Italia, sul destino della United Colors of Benetton: la cavalcata degli anni 80 e 90, quella che ha proiettato maglioncini e t-shirt Benetton a simbolo mondiale del Made in Italy (grazie anche alle fortunate campagne di Oliviero Toscani), ha rallentato un po’ il passo. Negli ultimi anni i ricavi sono scesi (1,6 miliardi nel 2004 contro i 2 miliardi del 2001), anche se i manager hanno tenuto ferma la barra dei profitti (nel range tra i 105 e i 150 milioni, tranne il rosso del 2002). In Europa i consumi stagnano e il comparto retail soffre. Benetton, poi, subisce anche l’agguerrita concorrenza, in casa, degli stranieri: Zara e H&M. Ma i maglioni non si cedono, hanno sempre ripetuto i Benetton. D’altronde finché l’azienda di famiglia produce utili (ogni anno stacca una cedola tra i 60 e i 70 milioni), non se ne vedrebbe nemmeno la necessità. Le telecomunicazioni, invece, hanno portato gloria e qualche mal di testa ai Benetton. Già quando comprarono Autostrade si trovarono in pancia la partecipazione in Blu, lo sfortunato quarto gestore Gsm nato da un’idea di Giancarlo Elia Valori e naufragato nel 2002. Ma la mossa più impegnativa è stata quella dell’estate 2001 quando Edizione ha comprato, affiancando Pirelli, il 16% di Olimpia, la scatola che controlla il 18% di Telecom Italia. Lo scorso anno, però, la svalutazione di Olimpia (che pure ha chiuso in utile per 15 milioni il 2004) ha portato in rosso la subholding Edizione Finance per 363 milioni. L’operazione Telecom a braccetto con Marco Tronchetti Provera ha proiettato la famiglia di Ponzano Veneto nell’alta finanza: Gilberto, che dei quattro fratelli è quello con più spiccata vocazione finanziaria, siede anche nel consiglio di Mediobanca e di Pirelli (di cui Edizione ha il 4,6%). Loro che nel 1994 dicevano ai giornali di non amare i salotti buoni. Ma forse, col tempo, hanno cambiato idea. Simone Filippetti