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 2005  novembre 14 Lunedì calendario

Chi fu l’ autore di «avveleniamo i pozzi». Corriere della Sera 14/11/2005. Nel 430 a.C., pochi giorni dopo l’invasione spartana, l’ Attica fu all’ improvviso colpita da un contagio pestilenziale

Chi fu l’ autore di «avveleniamo i pozzi». Corriere della Sera 14/11/2005. Nel 430 a.C., pochi giorni dopo l’invasione spartana, l’ Attica fu all’ improvviso colpita da un contagio pestilenziale. Il più grande leader ateniese - Pericle - morì appunto di quel contagio, in quelle settimane. La guerra, da lui ritenuta inevitabile, e di cui aveva non solo previsto, ma accelerato lo scoppio, finì dunque, per lui, quando era appunto incominciata. Secondo Tucidide, storico e testimone di quei fatti, la perdita fu irreparabile. Tucidide sembra quasi voler dire, in un famoso passo della sua opera, che fu dunque la peste di Atene il primo fattore di vittoria per il nemico: proprio perché cancellò il solo leader che gli avrebbe potuto tener testa. Ecco perché si formularono ipotesi e nacquero leggende sull’ origine del contagio. Ipotesi, sulla sua provenienza: l’ Etiopia, l’ Egitto, la Libia. Leggende, sul modo in cui il contagio aveva attecchito. La tesi che molti fecero propria fu che - come scrive Tucidide il quale prese egli stesso il contagio ma si salvò - «il nemico aveva avvelenato i pozzi». Si portavano in proposito pseudo-prove. La prima era che il contagio fosse esploso all’improvviso; la seconda che si fosse manifestato dapprima al Pireo, dove non esistevano «fonti d’ acqua sorgiva» ma appunto un sistema di pozzi per l’ acqua. L’ idea che il nemico venisse a fare «l’ untore», a mettere il veleno in quelle strutture (i pozzi) preziose e vulnerabilissime, non rimase un caso isolato. Una tale idea è tipica dell’ ossessione che discende dall’ odio e dalla certezza che il nemico adopera ogni mezzo, onde sentirsi legittimati a usare a propria volta ogni mezzo contro di lui. Non erano pregiudizi che nascevano dal nulla visto che un trattatista dell’ arte della guerra come Enea Tattico (non di molto successivo rispetto a Tucidide) raccomanda in un passo del suo trattato di «rendere l’ acqua non potabile». E Floro, lo storico del tempo di Adriano, afferma che Manio Aquilio, comandante romano in Asia, effettivamente fece avvelenare i pozzi nell’ anno 129 a.C. Ma Floro aggiunge che così macchiò l’ onore delle armi romane fino a quel momento immacolate. L’ accusa divenne col tempo topica e fu adottata contro nemici su cui si riteneva facile convogliare l’ odio. Racconta Dillon (1856-1933) nel suo saggio Eclisse della Russia scritto nel 1918 che i contadini russi non solo pensavano che i giapponesi avessero vinto la guerra di Manciuria prendendo la forma di piccoli animali sì da infilarsi negli stivali dei soldati russi provocandone la morte con morsi avvelenati, ma che avessero appunto avvelenato i pozzi. Accusa che dovette incombere a lungo sugli ebrei, soprattutto nell’ Est Europa, se ancora nel 1928 un grande e raffinato filologo come il barone di Wilamowitz (1848-1931), nei suoi Ricordi, afferma che, con la rivoluzione berlinese del novembre 1918, e con quella bolscevica dell’ anno prima, si era affermato «quell’ebreume senza fede, senza stato, senza coscienza, i cui organi di stampa da molto tempo avevano avvelenato i nostri pozzi». Tucidide dixit Ieri, sull’ Unità, Walter Veltroni ha detto: «Gramsci parlava di quelli che andando via avvelenano i pozzi. Così ha fatto il centrodestra». Ma l’affermazione, in realtà, è più antica, e si trova già in Tucidide. Segno della storicità della prassi denunciata dal sindaco di Roma. Luciano Canfora