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 2005  novembre 15 Martedì calendario

Le sanguisughe, che già i nostri nonni ottocenteschi consideravano un toccasana, sono ancora usate in chirurgia e, adesso, potrebbero risultare importanti per curare l’artrosi al ginocchio

Le sanguisughe, che già i nostri nonni ottocenteschi consideravano un toccasana, sono ancora usate in chirurgia e, adesso, potrebbero risultare importanti per curare l’artrosi al ginocchio. Due medici tedeschi, Andreas Michalsen e Gustav Dobos dell’Università di Duisburg Essen, avendo sentito dire da alcuni guaritori che niente era meglio di un morso di mignatta per i dolori dell’artrosi al ginocchio, hanno attaccato alle ginocchia di 24 volontari sei-sette sanguisughe (trecento dentini l’una) e lasciato che succhiassero per un’ora. Risultato: dopo una settimana, il 64 per cento dei salassati riferiva di non sentir più dolore e di camminare meglio (nel gruppo di controllo, trattato con gel antinfiammatori, solo il 17 per cento ammetteva miglioramenti analoghi). A distanza di sei mesi, poi, il 40 per cento dei pazienti stava ancora bene, tanto che i due tedeschi hanno allargato la ricerca ad altri 400 malati e pensano di «mantenere i benefici con una sanguisuga di richiamo ogni sei mesi». Ne ha parlato ”Nature” e la ditta americana Leeches ha subito cominciato a vendere sanguisughe (sette al prezzo di 7,70 dollari). I principi terapeutici della Hirudo medicinalis sono nella saliva: un miscuglio di enzimi e sostanze dal potere anticoagulante, analgesico e antinfiammatorio. Del resto, le caratteristiche farmacologiche della saliva di sanguisuga erano note. Dalla fine degli anni Novanta l’americano Roy Sawyer, dopo aver fondato la Biopharm, alleva settantamila esemplari l’anno destinati soprattutto a interventi di chirurgia plastica e ricostruttiva. Quando c’è da riattaccare al corpo un orecchio, un naso, un dito, le vene faticano a suturarsi creando un ingorgo di sangue, rischioso per la sopravvivenza dei tessuti. Qui entra in gioco la sanguisuga, animaletto di cinque-otto centimetri capace di succhiare in mezz’ora cinque millimetri di sangue, preziosa soprattutto perché, dopo il suo distacco, il sangue continua a defluire per sei-dieci ore (per un totale di circa 100-150 millilitri). Questo sistema viene usato in Svizzera ma anche in Italia, per esempio nella divisione di Chirurgia plastica e della mano dell’Ospedale Civile di Legnano. Spiega il primario Maurizio Petrolati: «Noi sfruttiamo la caratteristica principe della sanguisuga, che è quella di produrre sostanze, dette eparinoidi, che evitano il coagulo del sangue». In quali casi ne fate uso? «Per esempio quando c’è una stasi venosa: in questo caso la sanguisuga evita il formarsi di trombi. Le usiamo spesso nei reimpianti di mani, dita, piedi. Nel 70-80 per cento dei casi si perde un arto non per mancanza di sangue in arrivo, ma per un ritorno insufficiente: se il sangue venoso si ferma, si crea un fenomeno di compressione sul microcircolo arterioso e, di conseguenza, si chiude l’arteria interessata. L’applicazione delle sanguisughe favorisce nel giro di pochi giorni la formazione di un nuovo microcircolo». Come le utilizzate? «Ne applichiamo fino a cinque o sei per due volte al giorno. La durata del trattamento varia da caso a caso, ma in genere dura una settimana. I risultati sono sempre buoni. Se non c’è sangue ossigenato (arterioso) la sanguisuga rifiuta di mangiare. In questi casi viene aggiunto dello zucchero. La vita operativa di una sanguisuga è assai breve: ognuna infatti viene usata soltanto per una applicazione, poi viene eliminata. Prima si immerge nell’alcol, poi viene bruciata». A Parigi, nel 1833, si importarono la bellezza di 41. 654.300 sanguisughe: torneremo presto a un commercio altrettanto imponente?