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 2005  novembre 14 Lunedì calendario

Slater Kelly

• Cocoa Beach (Stati Uniti) 11 febbraio 1972. Surfista. Sette volte campione del mondo (’92, ’94, ’95, ’96, ’97, ’98 e 2005). «Per la generazione X americana, è un Papa laico in shorts da bagno. E la storia d’amore con Pamela Anderson all’inizio degli Anni novanta (’Uno vince tutto quello che c’è da vincere sulla tavola da surf e poi si ricordano di te perché andavi in giro con una bella bionda...” si lamenta lui), non ha fatto altro che alimentare il mito. Kelly Slater, il Surfista. Quello delle figure impossibili sulle onde più grandi: Pipeline, Back Door e Jaws alle Hawaii; Mavericks in California; Kirra in Australia; G-Land in Indonesia e Lafitenia a Saint Jean de Luz, in Aquitania, dove il popolo della tavola va a cercare emozioni forti d’inverno, quando la furia del Pacifico va in letargo. Per il mondo è un cannibale di Serie B abituato a mangiare salato. Uno sportivo che nel suo campo non ha rivali, certo, ma un carneade qualsiasi di fronte agli Schumacher, ai Valentinirossi, agli Herminator, ai Phelps e ai Federer. L’altro cannibale fa un po’ rabbia perché passa tre quarti della stagione in spiaggia, frequenta solo donne bellissime ([...] Gisele Bundchen avrebbe lasciato Leonardo Di Caprio proprio per il surfista number one) e si sposta per il pianeta inseguendo l’estate. [...] A 33 anni ha vinto il settimo Mondiale di surf. Meglio di qualsiasi altro bipede senza branchie. Annichilendo l’australiano Nathan Hedge e l’hawaiano Andy Irons, uno che a casa delle onde ci è nato. A ”The Great One”, come è soprannominato tra gli sciroccati della tavola, manca un solo obiettivo per entrare surfando nel club degli Immortali dello sport: superare le 33 vittorie consecutive di Tom Curren, l’eroe aussie degli Anni ottanta. Questione di tempo, dicono gli amici di Slater. Ma con Kelly non si può mai sapere. Alla fine del 1999, svuotato di motivazioni, il ragazzo di Cocoa Beach (Florida) aveva annunciato il ritiro: ”Dieci mesi di gare nei cinque continenti, onde, schiuma, acqua salata. Sono stufo. Smetto”. Era andato a cercare altre sfide a Hollywood, interpretando se stesso in pellicole sul surf (incluso il telefilm Baywatch) che non hanno mai nemmeno avvicinato la leggenda di Un mercoledì da leoni, ma che ne avevano tenuto in circolo il nome e la faccia. Era tornato a sciolinare tavole nel 2003, dopo tre anni sabbatici, grattando via le alghe dal fascino di uno sportivo che negli Usa indirizza le scelte di vita di milioni di teenager. ”Mi mancavano le maledette onde: sembra incredibile, ma è così”. [...]» (Gaia Piccardi, ”Corriere della Sera” 14/11/2005).