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 2005  novembre 14 Lunedì calendario

Quattordici anni fa lasciai la Grecia, dove facevo un mucchio di cose folli come le corse in moto, e arrivai negli Stati Uniti

Quattordici anni fa lasciai la Grecia, dove facevo un mucchio di cose folli come le corse in moto, e arrivai negli Stati Uniti. La passione per il cinema mi portò a Hollywood, dove cominciai a lavorare con gli effetti speciali. Ho fatto Dracula, Last Action Hero, e roba del genere. Il successo è arrivato quando Ronald Emmerich mi ha chiamato per Stargate. Subito dopo sono arrivati Independence Day e Godzilla, dove ho ideato e realizzato la creatura meccanica. Poi ho fatto un film che non avrei dovuto fare: Battlefield Earth, che mi ha ammazzato. Mi sono gettato nel progetto senza pensare che non avevo padronanza dell’argomento, del culto di Scientology. Fu un film sfortunato, non andò bene. E quando fai un film sbagliato la gente non si ricorda di quello che hai fatto prima. Avevo lavorato come scenografo per Alex Proyas in Dark City, un buon film, ma tutti se n’erano dimenticati. stata la tv a farmi sopravvivere. Gli ultimi tre anni però, grazie a Io robot, sono stati fantastici». Lei è un autentico fan della fantascienza? «Sì, ma ho un sogno: fare un film in costume». Conosceva già i libri di Asimov? «Ad esser sincero sapevo chi era e avevo letto alcuni suoi racconti da ragazzo. Ma non avevo mai letto il libro Io robot». Cosa l’ha colpito dell’idea di Alex Proyas? «Insieme avevamo fatto Dark City, un film buio, tenebroso. Alex mi disse: ”Dimentica quella roba, voglio realizzare un documentario sul futuro. Voglio un mondo pulito, palazzi bianchi, cieli azzurri. Voglio che sia bello”. Mi entusiasmai subito, mi piacciono le sfide nuove».  possibile che la Chicago del futuro sia simile a quella descritta nel film? «Ho incontrato esperti, ho fatto ricerche, ho consultato tonnellate di libri e fotografie. In futuro il numero di edifici dovrebbe aumentare del trenta per cento. Chicago, insomma, avrà l’aspetto attuale ma con qualcosa in più, nuovi palazzi e nuove strutture. Per il film ci siamo basati su queste ricerche, ma in realtà nessuno sa davvero a cosa assomiglierà il futuro».  stato molto difficile realizzare le vostre idee? «Il bello di un progetto di questo tipo è la libertà. Se fai un film d’epoca devi basarti sui fatti realmente accaduti. Mentre noi potevamo creare quello che ci pareva. Alcune sequenze non sono realistiche come le avremmo volute. Ma nell’insieme mi sembra che il film funzioni». Quali pellicole hanno ispirato la sua scenografia? «La gente nomina spesso Blade Runner. Ma Blade Runner si svolge in un mondo tenebroso, umido, viscido. Proprio l’opposto di quello immaginato da Alex. Un film che mi ha ispirato è semmai Gattaca, semplice e realistico. Però abbiamo cercato di creare un mondo nostro, anche se, naturalmente, non tutto è nuovo». Come le è venuta l’idea di Sonny e dei robot NS-5? «Nel film i robot dovevano girare per la città come gli umani e fare di tutto, anche accompagnare i bambini a scuola. Dunque non potevano avere un aspetto malvagio. Però dovevano pure diventare cattivi. Quando cominciai a disegnarli non ne venivo a capo: o mi venivano troppo aggraziati o sembravano dei Terminator. Poi scoprimmo per caso uno speciale materiale trasparente: illuminando il robot da davanti si vedeva solo la forma esterna, gradevole e accattivante; illuminandolo da dietro si vedeva lo scheletro interno, che gli dava un aspetto malvagio. In questo modo gli automi potevano diventare cattivi senza aver bisogno di essere trasformati in mostri. Fu una fortuna. Nel realizzare Sonny mi è stato d’aiuto anche il computer Macintosh del mio assistente. Un giorno, guardando le sue forme eleganti, ho pensato: oggi i robot sono massicci, ingombranti, squadrati. Proprio come i computer di trent’anni fa. Attualmente, nel mondo reale, i robot sono computer con le gambe. Con Sonny ho immaginato: come sarebbero i robot se fossero meno robot di un computer con le gambe? D’altra parte i robot reali sono pensati per far questo o quello, non per assomigliare agli esseri umani. E quelli che somigliano agli umani sono poco più che giocattoli. Nel film, però, non dovevo usare il robot a mo’ di tostapane. Quello che volevo era una creatura con una sua bellezza. Dopotutto è sempre un film di fantascienza!». Arriveremo mai a un punto in cui un computer o un robot potrà pensare da solo? «Durante una convention, dopo il film, ho incontrato un ingegnere che realizza calciatori-robot. Usa i piccoli cani robot della Sony, li mette a giocare a calcio in un piccolo stadio, ciascuno col proprio ruolo. Sapete cosa ha scoperto? I robot, giocando, creano nuove interpretazioni delle loro funzioni. Sembra incredibile, eppure ogni robot apprende da un altro robot con un ruolo di gioco diverso dal suo». I robot avranno una loro morale, avranno dei diritti? «Non lo so, siamo così lontani da una roba del genere. Ma possiamo vedere la cosa da un altro punto di vista. Elementi della robotica stanno entrando negli esseri umani. Perciò c’è da chiedersi: quand’è che un uomo diventerà un robot? Lembi artificiali forniranno informazioni al cervello. Sempre di più saremo noi a trasformarci in robot. Le idee folli che la gente ha nei libri, si sa, offrono spesso spunto alla ricerca scientifica». Perché molti film descrivono i robot come creature malvage? «L’idea del robot è molto simile a quella di Frankenstein, stai creando la vita! C’è la stessa paura di essere sopraffatti dalla propria creatura. Più i robot sembrano umani, più ci sentiamo a disagio». Quali sono i suoi robot preferiti? «Quella di Metropolis. Bella, elegante. Anche lo ”scheletro” di Terminator non era male. Ma soprattutto le creature di Alien. Quando qualcosa è gradevole e spaventoso insieme, ho una paura del diavolo! Con Sonny ho cercato di creare proprio questo: un essere ammaliante e diabolico».