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 2005  novembre 14 Lunedì calendario

Ancona Marco

• Federico 1989, Roma 13 novembre 2005 (incidente stradale durante una corsa in auto clandestina). «La vita giocata in una manciata di secondi, il tempo di premere lo start del cronometro, mandare il motore al massimo dei giri e frenare l’auto a un centimetro dal muro. morto così [...] schiantato contro una barriera di cemento in una corsa folle a bordo dell´Opel Astra sottratta alla madre. Era seduto al posto del passeggero, alla guida il suo amico del cuore, Francesco S., 17 anni, dietro c’era Matteo C., 17 anni, un trio inseparabile dalle elementari al liceo. Il ragazzo è deceduto sul colpo, gli altri due sono feriti gravemente [...] Intorno all’una, nella notte tra sabato e domenica, erano insieme sulla ”stradone della morte”, in via Pietro Frattini, quartiere Portuense, strada senza uscita, uno dei punti d’incontro della capitale per gli amanti della corse clandestine su strada, bivio caldo per le scommesse sui record di tempo e tenuta, delle frenate all’ultimo respiro, delle ”tirate” senza regole tra auto e auto, auto e moto, moto e moto. Una larga striscia d’asfalto che comincia dritta poi curva a sinistra e in discesa finisce di colpo contro il basso confine di calcestruzzo. Una gara portata avanti a turno vince chi arriva a sfiorare il muro. Ai margini della strada tanta gente a guardare, a tifare, lì per provare emozioni forti. E [...] in tanti hanno assistito ad una tragedia. All’una e dieci di notte l’Opel era già un cumulo informe di lamiere. Qualcuno ha chiamato il 113, qualcun altro i vigili urbani e il 118. Gli uomini del XV Gruppo della polizia municipale [...] hanno estratto i corpi dall’abitacolo. Francesco con il volante che gli premeva il petto ripeteva senza tregua: ”Chiamate mio padre, voglio mio padre. Aiutatemi”. Dagli altri solo silenzio. I ragazzi, tutti di buona famiglia - Francesco è il figlio di un dirigente della questura di Roma - pur non avendo nemmeno l’età per la patente, secondo gli inquirenti hanno dato il via a quello che in gergo si chiama ”solo confronto”, un tragitto di 500 metri da fare in volata. I segni della velocità lasciati dai pneumatici, tipici della ”sgommata” fatta per dare potenza alla macchina, indicano che l’auto è arrivata all’impatto con il muro senza frenare, a una velocità molto sostenuta, dopo aver raggiunto il picco dei 100 chilometri orari. I segni sull’asfalto sembrano non lasciare dubbi [...] alcune persone che dicono di aver visto un’auto e una moto correre dietro l’Opel Astra come su un circuito di corsa, qualcuno ha anche affermato che c’era un uomo in zona che in quel momento prendeva scommesse e dava il via alle gare, come accade spesso in diverse strade del quartiere - secondo gli inquirenti - soprattutto nei week end. [...] La madre di Marco [...] Vedova da poco la signora Valeria pareva essere completamente distrutta dopo la notizia che il suo unico figlio non c’è più» (Anna Maria Liguori, ”la Repubblica” 14/11/2005). «Ragazzi normali, famiglie borghesi, studi al liceo vicino casa di quelli buoni dove imparare a costruire l’avvenire, persino in parrocchia a volte, per sentirsi un po’ utili. La sera al muretto con gli amici, i compagni di sempre, conosciuti fin da bambini e mai più lasciati: quelli che ti restano per la vita anche se poi la vita ti porta altrove, in un’altra scuola o in un altro quartiere, tanto mica puoi immaginare che la tua finisca a 16 anni, schiantata contro un parapetto di cemento in una notte di periferia. Marco di certo non lo sapeva, ne rideva anzi, quando raccontava di aver preso le chiavi della macchina a sua madre con l’intenzione di usarla sabato sera per un giretto, una corsa spericolata forse, tanto per provare l’effetto che fa. Perché a lui, orfano di padre e figlio unico, è sin dall’infanzia che i motori gli rombano in testa. In famiglia lo ripeteva spesso: ”Da grande farò l’ingegnere meccanico”. Nemmeno i suoi studi classici al Mamiani, storico liceo di Roma, gli avevano fatto cambiare idea. Una passione folle e smodata, esibita nelle impennate ad alta velocità col cinquantino, l’unico mezzo che la sua età gli consentiva: quante volte mamma Valeria aveva minacciato di toglierglielo, e ogni volta lui aveva promesso che sarebbe stato più bravo. Magari l’avesse fatto anche l’altra notte. E invece. ”Invece non lo rivedrò mai più”, piange Ilaria, una delle amiche più care [...] ”Qualche volta il sabato andavo a dormire da lui”, racconta con gli occhi pieni di lacrime, ”era sempre allegro, scherzava su tutto, trovava il modo di fare battute anche sulle parabole del Vangelo. Ci vedevamo in parrocchia, facevamo le gite insieme. Da un po’ di tempo lo incrociavo meno, sapevo che uno un po’ più grande di lui gli aveva insegnato a guidare l’auto. Comunque era un tipo normale, tranquillo, mai avuto problemi di droga né alcol. Mi mancherà”. Con Francesco e Matteo, 17 anni entrambi, si erano incontrati alle elementari: dopo le medie avevano scelto licei diversi, ma il piccolo clan era rimasto lo stesso, identico il muretto dove si incontravano, sempre in sella ai loro motorini, serate in centro o al solito pub. Li conoscevano tutti a Monteverde, il quartiere immerso nel verde dove i ragazzi si ritrovano, chiacchierano, consumano i loro primi amori. Francesco e Matteo frequentavano lo scientifico Kennedy, con Marco si vedevano a nuoto e poi dopo il tramonto. Inseparabili. Amici. Analoga estrazione sociale, la Roma bene dei palazzi antichi, genitori attenti e protettivi, un destino fatto di studi e avvenire sicuro. [...] Nessuno ha avuto il coraggio di dire a Matteo, l’unico in grado di capire, che Marco non c’è più. ”Era seduto davanti, al posto del passeggero”, sussurra uno al telefonino, ”magari se avesse messo la cintura si sarebbe salvato. Francesco guidava, non ha fatto in tempo a scalare la marcia...”. Si abbracciano e si tengono per mano, gioventù inquieta e ferita, che ha perso la spavalderia dello sguardo e del futuro. ” assurdo”, continua a ripetere una compagna di scuola, ”sabato sera eravamo insieme, come al solito, poi ci siamo separati: alcuni di noi hanno deciso di fare una passeggiata in centro, gli altri di dirigersi sulla Portuense. Io gliel’avevo detto di lasciar perdere, ma loro non mi hanno dato retta: ”Ci vediamo dopo’, hanno salutato e sono andati”. Dritti incontro alla morte: testardi e innamorati della velocità. Il preside del Kennedy, arrivato in ospedale per vedere i suoi allievi, non riesce a darsi pace. ”Ma quali corse clandestine, è stata solo una bravata, uno stupido gioco finito in tragedia”, dice piano Francesco Pezzuto, ”io li conosco bene, sono bravi ragazzi, dediti allo studio, soprattutto puliti”. Come il Jim e il Buzz di Gioventù Bruciata hanno infranto i loro sogni per una corsa: in due ce l’hanno fatta a uscire da quella macchina, Marco c’è rimasto incastrato dentro. Le risate del sabato sera, il contagiri impazzito, la marcia che non frena, lo schianto: contro un muretto che, sino ad allora, aveva rappresentato la vita» (Giovanna Vitale, ”la Repubblica” 14/11/2005). «Una frenata lunga quasi venti metri. Due strisce nere sull’asfalto grigio che cominciano dal nulla e muoiono dentro un muretto dove si sfogano ultrà e spray writers. Le tracce di un dramma assurdo: è il punto di via Pietro Frattini, al Portuense, dove [...] Marco Federico Ancona è rimasto incastrato nella Opel Astra guidata da un suo compagno di scuola, Francesco, di 17 anni, ricoverato in coma farmacologico all’ospedale San Camillo con un coetaneo, Matteo, anche lui in gravi condizioni. [...] I tre, secondo i vigili urbani, giocavano a fare i testacoda con l’auto, lanciata a 120 chilometri all’ora su una strada senza uscita, usata come parcheggio dagli abitanti delle palazzine residenziali che si affacciano sulla vallata del Trullo e della Magliana, con vista sull’Eur. Non si esclude che i minorenni si stessero cimentando anche in una prova da brivido, una specie di ”roulette russa” su quattro ruote: vince chi frena per ultimo. Ma qualcosa non ha funzionato. L’incidente è avvenuto all’1.10. Già da qualche minuto alcuni inquilini dei palazzi di via Frattini avevano chiamato la polizia municipale segnalando la presenza di auto che gareggiavano, che si sfidavano a forte velocità. Sulla strada, già tristemente nota a Roma per la tragica fine nove anni fa di un ragazzo travolto da tre nomadi in fuga su vetture rubate, c’erano almeno due utilitarie impegnate in gimkane e testacoda. Una di queste era proprio l’Astra dei tre minorenni, due dei quali iscritti al liceo scientifico Kennedy di Monteverde. La vittima, che abitava al Casaletto ed era orfana di padre, aveva preso l’auto all’insaputa della madre. I vigili, però, escludono che alla base del dramma ci siano scommesse o sfide a pagamento. ”Solo noia o voglia di stupire”, osservano gli investigatori. L’incidente è accaduto all’improvviso, forse al terzo passaggio. ”L’Astra andava forte – racconta un testimone – era già due volte che puntava il muretto e poi, a dieci metri, girava di scatto”. Le tracce circolari lasciate dai pneumatici sull’asfalto sembrano confermare questa ricostruzione. Ma ci sono anche quelle dirette contro il muro, dove [...] gli amici della vittima hanno lasciato fiori e biglietti d’addio, che non tolgono credito all’ipotesi della sfida all’ultima frenata. Al volante dell’Astra c’era Francesco, figlio di un funzionario di polizia. Il diciassettenne ha riportato un’emorragia cerebrale, la perforazione di un polmone e fratture alle gambe. Non indossava la cintura di sicurezza, come Marco, morto al suo fianco, schiacciato dal cruscotto rientrato fino a metà abitacolo. Matteo, invece, sedeva dietro: i vigili del fuoco l’hanno trovato svenuto sui sedili posteriori addirittura con un casco da motociclista allacciato. Non è chiaro [...] quello che è successo quando l’auto è andata dritta. [...]» (Rinaldo Frignani, ”Corriere della Sera” 14/11/2005). «Sul muro assassino, in geroglifico da graffito, c’è una parola che non ne ha altre prima o dopo, e che sembra non avere spiegazione, sola com’è: invece, forse, spiega. Quello che è accaduto, l’incidente, la morte di un sedicenne, e le notti attraversate così, dentro un missile senza cintura di sicurezza. tracciata in blu, ed è un motivo spietato. Sei lettere, senza firma: niente. a pochi metri dal sangue, dai fiori e dai bigliettini degli amici. Alcuni [...] giovani come Marco, piangono e raccontano. Delle sfide in auto, anche: ”Un chilometro di strada, ci si fa un po’ tutto”. La gara, dicono, c’è pure chi la fa contromano. Altri lasciano disegni sull’asfalto, la mezzaluna dei testacoda. E poi c’è questa che alcuni raccontano come un’abitudine: ”Le macchine si lanciano e si frena all’ultimo, chi s’avvicina di più al muro ha vinto”. Ma ha vinto cosa? ”Niente”. E perché lo fate? ”Mah, così, per niente”. Chi cerca un motivo per la morte di Marco, qui, trova una sola parola. Lo stradone è a cinque minuti da Trastevere: in una zona di confine, di qua borgate e di là, vicinissimo, uno dei quartieri bene della città, Monteverde, vie residenziali e affitti alle stelle. in discesa, largo, ai lati c’è una macchina bruciata e due sedili abbandonati: ha la forma un poco più addolcita di un trampolino da sci, quelli del salto in alto. Solo che alla fine, qui, c’è un muro. Sopra e davanti, oggi, ci sono fiori e bigliettini, sangue, una bottiglia di champagne, immondizia e, proprio sul punto dell’impatto, un pezzo dell’auto di Marco, lo stemma dell’Opel. spezzato, come una vita. Poco distanti, ci sono almeno dieci tra ragazzi e ragazze, coi pantaloni e tutto il resto alla moda, quella di chi tiene la vita bassa. Vanno al liceo, s’innamorano, studiano danza classica. Non incendiano auto, non spaccano vetrine. La sera, spesso, vengono qui. Una coi capelli corvini, la matita nera intorno agli occhi e il piercing al naso, prima dell’incidente mortale ha chiamato la polizia, dato l’allarme: ” stato inutile, non sono arrivati in tempo”. Lo ripete anche al vigile urbano che s’avvicina: ”Abito qui, le mie sono quelle finestre laggiù. Ho visto le auto che correvano, erano due. Hanno fatto avanti e indietro per un po’. Lo sapevo che finiva male, me lo sentivo”. Poi, ha sentito lo scontro. Mostra il display con le chiamate effettuate: nell’elenco del telefonino, il 113 c’è. Lei e le altre, spesso il sabato sera lo passano ”proprio lì, dov’è arrivata la macchina di Marco, sparata magari a centosessanta all’ora”. Ore e ore sedute sul muretto. Fumano erba, parlano, ”a volte mettiamo un po’ di musica e balliamo, fino al mattino a fare sempre la stessa cosa, niente”. Alcune notti di sabato, dicono, qui i giovani arrivano ”a centinaia”. I ragazzi, spesso, ”giocano con le auto”. Usano proprio questo verbo, giocare. ”I matti vanno contromano, la visuale è buona però di notte il rischio c’è, inutile negarlo. Invece quelli più tranquilli arrivano qui e tirano il freno a mano, fanno i testacoda, oppure frenano all’ultimo”. Dicono di essere talmente abituate che se fossero state sedute sul muretto [...] se avessero visto la macchina di Marco arrivare a velocità folle, non si sarebbero spostate. [...]» (Alessandro Capponi, ”Corriere della Sera” 14/11/2005). «La tipologia dei partecipanti alle gare clandestine: maschi tra i 18 e i 30 anni, ragazzi pronti a gareggiare i fine settimana soprattutto d’estate, gente disposta a spendere l’intero stipendio per modificare il motore della propria auto. Invece, il tragico gioco organizzato a Roma [...] dimostra che la nuova, pericolosissima frontiera di questa sfida con la morte [...] coinvolge anche studenti minorenni attratti dalle prove di abilità al volante. Per il codice della Strada, le sanzioni sono severissime se durante la gara ci scappa il morto. Gli organizzatori rischiano da 1 a 3 anni di reclusione o la multa da 25 mila a 100 mila euro. Più lieve la sanzione per i conducenti che, però, vengono puniti con la reclusione da 6 a 10 anni e con la revoca della patente se qualcuno muore o riporta lesioni gravi. [...] la polizia è riuscita a stroncare alcune gare clandestine [...] Gian Piero Di Benedetto, dirigente della Stradale dell’Emilia Romagna: ”Alcuni anni fa a Padova siamo stati costretti a far posizionare blocchi di cemento nella zona industriale per impedire che su quel vialone si svolgessero le gare clandestine del sabato sera. Invece a Ferrara, personale in borghese ha individuato la zona di campagna in cui si stavano svolgendo gare di accelerazione a coppie di veicoli”. [...] con le prove di abilità al volante improvvisate, il compito della polizia diventa più difficile perché senza il tam tam dei messaggini sms che precede le gare è difficile individuare i luoghi di raduno» (D. Mart., ”Corriere della Sera” 14/11/2005). «Desiderio di mettersi alla prova, incapacità di gestire il rischio. Perché spesso mancano gli strumenti per riconoscerlo, per chiamarlo con il suo nome. Silvia Vegetti Finzi, psicologa, spiega così le cause di tragedie come quella avvenuta [...] a Roma: ”I nostri ragazzi spesso non hanno il senso del pericolo, perché crescendo gli sono mancati quei ragionevoli margini di rischio che un tempo si trovavano davanti nel saltare un fosso, nel salire su un albero... Oggi li proteggiamo così tanto da lasciare involontariamente a loro il compito di affrontare i rischi. E loro, da adolescenti, lo fanno con l’incoscienza tipica dell’età, con il desiderio di mettere alla prova l’immaginario onnipotente tipico dell’infanzia”. Una soluzione, conclude la psicologa, ci sarebbe: ”La nostra società deve tornare ad accettare che senza rischio non si cresce. Non dobbiamo tutelare in maniera assoluta i nostri bambini: ci sono dei rischi che, anche da piccoli, devono imparare ad affrontare. Altrimenti si lascia a loro la gestione dei limiti. E questo è davvero un compito troppo grande”» (’Corriere della Sera” 14/11/2005).