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 2005  novembre 14 Lunedì calendario

Volete sapere se chi vi sta di fronte è nervoso o imbarazzato, vi sta mentendo o si sta annoiando? Guardategli i piedi! «Noam Chomsky, mostro sacro della linguistica, stava tenendo una conferenza seduto a un tavolo aperto sul davanti

Volete sapere se chi vi sta di fronte è nervoso o imbarazzato, vi sta mentendo o si sta annoiando? Guardategli i piedi! «Noam Chomsky, mostro sacro della linguistica, stava tenendo una conferenza seduto a un tavolo aperto sul davanti. Nonostante la sicurezza del tono di voce, la loquacità, lo sguardo intenso e concentrato, capii che era un uomo timido, imbarazzato di fronte al pubblico: le gambe, contro la sua volontà, non facevano che ballargli», racconta Isabella Poggi, professoressa di Psicologia generale e Psicologia della Comunicazione presso l’Università Roma Tre, studiosa di emozioni, inganno e comunicazione multimodale, autrice del libro Mind, hands, face and body. A goal and belief view of multimodal communication. A lei, che a breve manderà alle stampe per il Mulino Le parole del corpo, lessici di gesti, sguardi, facce e contatto fisico, abbiamo chiesto di spiegarci in cosa consiste il linguaggio del corpo, più conosciuto con il nome di comunicazione non verbale o, ancora meglio, multimodale. «Noi usiamo tre linguaggi, dice la Poggi, tutti codificati dallo psicologo Albert Mehrabian: in un discorso solo il 7% delle informazioni ci arrivano dalle parole. Capiamo il resto dal linguaggio paraverbale (38%), cioè tono, ritmo, volume della voce, e dal linguaggio non verbale (55%), vale a dire sguardo, gesti, ecc.: il linguaggio del corpo. Il corpo è un’orchestra composta da tanti strumenti: testa, viso (sopracciglia, occhi, naso, bocca, denti, lingua) braccia, mani, tronco, gambe, ciascuno dei quali è depositario di una sua lingua, cioè di un sistema di comunicazione. Questi strumenti generalmente suonano (e quindi comunicano) insieme, in maniera sincronizzata e intonata». Certe cose si esprimono più facilmente con il corpo, ad esempio le emozioni: «Alcune sfumature dello sguardo esprimono le emozioni meglio di qualunque parola. Specialmente quelle che gli studiosi definiscono fondamentali: gioia, paura, rabbia, tristezza, sorpresa, disgusto, catalogate dall’antropologo Paul Ekman negli anni Sessanta». Le espressioni facciali che le rappresentano sono innate, appartengono a ogni individuo della specie umana indipendentemente dalla razza, dall’età, dal grado di alfabetizzazione, e costituiscono un linguaggio universale che fa dell’umanità un’unica famiglia. Il corpo parla involontariamente (sudore, tremito, rossore, sguardo) e volontariamente. Nel primo caso si tratta di un complesso di regolazioni riflesse e automatiche del tono muscolare, dell’atteggiamento posturale, della mimica facciale e gesticolatoria, dell’uso dello spazio circostante. Gesti inconsci comunissimi sono quelli di toccarsi i capelli, mordersi le labbra, girarsi l’anello. «L’auto-contatto, cioè il toccare noi stessi, nella maggior parte dei casi risponde a un’esigenza di autorassicurazione: ”Sono sempre io, sono qui e sono a posto”. Si tratta senz’altro di un segno di insicurezza o imbarazzo». Ma, come abbiamo detto, il corpo comunica anche in modo intenzionale: con lo sguardo, con la postura e soprattutto con i gesti. «Buona parte del linguaggio gestuale è molto simile a quello verbale, nel senso che è sotto il totale controllo della coscienza e possiede un sistema di regole determinate e condivise dagli appartenenti a una medesima cultura». Un esempio tipico di gesto simbolico è la mano a borsa, con le dita chiuse a mazzetto che va su e giù. «Io la chiamo mano a tulipano, perché è il termine usato da Carlo Emilio Gadda nel Pasticciaccio. Si tratta di un gesto riconosciuto in tutta Italia, anche se con sfumature diverse a seconda delle regioni. Anzi, è il gesto con cui gli stranieri identificano gli italiani. Sottintende una domanda: ”Che vuoi?”, ”Che stai dicendo?”». «Esistono poi i cosiddetti gesti batonici, quelli, per intenderci, che compie il direttore d’orchestra con la bacchetta. Sono un pò meno sotto il controllo della coscienza e servono a enfatizzare la parte più importante del discorso». Il caso tipico è il movimento delle braccia che vanno su e giù quando si parla con trasporto: «Vanno giù quando si esprime la parte più importante della frase, quella su cui si vuole porre l’attenzione, che ci sta più a cuore». Spesso, col corpo, vogliamo comunicare il nostro stato d’animo. Non mancano però le occasioni in cui, al contrario, vorremmo nasconderlo. Solo che mentre possiamo tenere a bada le parole, il corpo è difficile da gestire. Secondo l’etologo Desmond Morris, con il volto riusciamo a mentire bene, mentre la postura generale del corpo può aprire qualche falla, perché non siamo del tutto consapevoli del nostro stato di rigidezza, tensione o rilassatezza. «Per scoprire se chi ci sta di fronte è nervoso - spiega Poggi - dobbiamo osservare i suoi movimenti: se sono disarmonici, scattosi e discontinui è senz’altro molto teso». Infine, di ciò che fanno gambe e piedi siamo quasi inconsapevoli: sono loro che il più delle volte ci tradiscono. «Un indizio sicuro di inganno è quando parti diverse del corpo che di solito ”parlano” in modo sincronizzato risultano in contraddizione tra loro. Una postura chiusa, retratta, con le spalle un po’ indietro, smentisce in genere quello che stiamo ascoltando. Sono casi, naturalmente, in cui bisogna credere al corpo». «Per sapere se il nostro interlocutore gradisce la nostra compagnia, è fondamentale analizzarne il sorriso. In quello sincero, i muscoli gran zigomati fanno sollevare gli angoli della bocca e gli orbicolari strizzare gli occhi, mostrando le ”zampe di gallina”. Se il sorriso non è autentico si ha una diversa contrazione dei muscoli e, quindi, una asimmetria tra la parte sinistra e quella destra del viso». E il segnale dell’attrazione fisica? Facile da interpretare e difficile da dissimulare: «Un segnale fisiologico tipico dell’eccitazione sessuale sono le pupille dilatate», conclude la Poggi. Esprimere emozioni, sensazioni, giudizi, pensieri con la mimica facciale è una cosa ovvia nell’Europa mediterranea, un po’ meno nell’Europa del Nord, dove ci si attende che queste espressioni siano abbastanza controllate, e poco gradita in Oriente, dove si educano i bambini a una certa imperscrutabilità. «Ogni Paese ha le sue regole e bisogna fare attenzione a gesti che in culture diverse dalla nostra significano altre cose». In Italia sorridere mentre si ascolta significa comprensione per ciò che viene detto. In Giappone, al contrario, può indicare disaccordo, ma timidezza nel manifestarlo. Muovere la testa dall’alto verso il basso per noi vuol dire ”sì”, nello Sri Lanka e in Bulgaria ”no”. Anche il modo in cui usiamo lo spazio attorno a noi comunica messaggi. E questi messaggi non sono uguali in tutto il mondo. In generale, esistono quattro aree in cui possiamo agire: una zona intima, una personale, una sociale, una pubblica. La zona intima si estende da 20 a 50 centimetri e si mantiene con gli amici più cari e i familiari. La zona personale si estende da 50 fino a poco più di 120 centimetri, lo spazio corrispondente al nostro braccio steso. Quando due conoscenti si incontrano per strada e si fermano a parlare, di solito si tengono a questa distanza. La zona sociale arriva fino a 240 centimetri. Ci teniamo a questa distanza dagli estranei. Per zona pubblica, dove si colloca chi decide di parlare a un gruppo, si intende uno spazio da 240 centimetri fino a 8 metri. Queste distanze sono soggette a regole ferree: chi oltrepassa quella permessa, viene subito sentito come un intruso invadente. una delle tante incomprensioni che possono nascere tra arabi e occidentali: i primi hanno bisogno di uno spazio personale meno ampio dei secondi. Per loro è normale, anzi è segno di rispetto per l’altro, avvicinarsi molto a una persona quando devono parlarle, anche se la conoscono poco o nulla. Per gli occidentali, che hanno invece bisogno di uno spazio personale più vasto, è normale (e rispettoso) stare a una certa distanza dalla persona, soprattutto se non la conoscono bene.