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 2005  ottobre 06 Giovedì calendario

Un universo di corde vibranti. Il Sole 24 Ore StM 06/10/2005. Da una ventina d’anni una nuova teoria delle particelle elementari e delle loro reciproche interazioni suscita gli entusiasmi di un numero crescente di fisici teorici, soprattutto dei più giovani: è la Teoria delle superstringhe

Un universo di corde vibranti. Il Sole 24 Ore StM 06/10/2005. Da una ventina d’anni una nuova teoria delle particelle elementari e delle loro reciproche interazioni suscita gli entusiasmi di un numero crescente di fisici teorici, soprattutto dei più giovani: è la Teoria delle superstringhe. Concepita alla fine degli anni Sessanta quale modello delle forze nucleari, fu abbandonata negli anni Settanta a favore della Teoria dei quark, per poi rinascere, rinvigorita, a metà degli anni Ottanta, niente di meno che come "Teoria del tutto". Il suo postulato fondamentale è che gli oggetti ultimi che costituiscono l’Universo siano minuscole corde vibranti, che con infelice inglesismo vengono dette "stringhe". Questa ipotesi comporta una vera rivoluzione rispetto al precedente paradigma, che vede le componenti più elementari della materia (l’analogo odierno degli atomi di Democrito) come oggetti puntiformi. L’idea di rimpiazzare punti privi di struttura con oggetti estesi potrebbe sembrare una complicazione. Invece permette un’enorme "economia di pensiero": le diverse caratteristiche delle particelle elementari a noi note (elettroni, neutrini, fotoni, quark...) sono spiegate come differenti stati di vibrazione di una sola entità: la stringa. Potremmo dire c.he le varie "note musicali" di questa cordicella vibrante (la stringa appunto) corrispondano alle diverse particelle che conosciamo. Gli elementi fondamentali. Le stringhe di cui parliamo sono oggetti microscopici: hanno quindi proprietà difficilmente intuibili se si ragiona con i concetti della fisica classica (la fisica di Newton e di Maxwell, che prevalse fino alla fine del XIX secolo). Per capire le proprietà delle stringhe dobbiamo ricorrere alla "meccanica quantistica", le cui leggi governano le proprietà degli atomi. In una descrizione "classica", infatti, gli elettroni di un atomo, attratti verso il nucleo dalla forza elettrica, finirebbero per caderci dentro. Viceversa, la meccanica quantistica, tramite il principio di indeterminazione di Heisenberg, ci insegna che la configurazione di minima energia - e quindi stabile - è quella che corrisponde ad atomi posti a una rispettosa distanza (media) dal nucleo. Una cosa analoga avviene per le stringhe. Classicamente una stringa sarebbe tanto più leggera quanto più piccola, mentre il principio di indeterminazione implica, a livello quantistico, l’esistenza di una sua lunghezza ottimale finita: una lunghezza della stringa "l", tanto piccola che per fare un metro bisogna allineare la bellezza di 1.034 stringhe! A caccia di prove nell’universo. lecito chiedersi a questo punto com’è possibile mettere in luce la differenza fra stringhe così minuscole e oggetti strettamente puntiformi? In altre parole, c’è un modo per verificare sperimentalmente che "l" è diversa da zero? Per risolvere la questione, dobbiamo escogitare esperimenti che possano esplorare scale di lunghezza tanto infinitesimali quanto "l". Ed è facile convincersi che gli esperimenti con gli acceleratori di particelle non sono in grado di adempiere a questo compito, né oggi né domani. Ma ecco che un universo, qual è il nostro, che continua a espandersi da 15 miliardi di anni ci offre una magnifica opportunità: è solo qui, nel più grande e completo laboratorio che abbiamo a disposizione (appunto l’universo), che possiamo cercare la conferma alle nostre teorie. Pensiamo a un universo molto giovane, molto caldo e molto denso: qui può fare una gran differenza il fatto che esso fosse popolato da stringhe piuttosto che da punti. Per quanto bene impacchettate, infatti, le stringhe occupano un volume finito e la loro densità non arriverà mai a superare un certo valore massimo, per quanto grande. L’analogia con gli atomi è chiara: proprio a causa delle dimensioni finite degli atomi, la densità dei corpi solidi non può essere "arbitrariamente" grande. Non c’è un "inizio". Questa semplice osservazione ci porta a una conclusione strabiliante: nella cosmologia classica, l’universo è scaturito da uno stato iniziale, il cosiddetto Big Bang, in cui temperatura e densità erano infinite: proprio questi valori infiniti rendono priva di senso la domanda "Cosa c’era prima"? Se le stringhe, con la loro estensione finita "l", impediscono che densità e temperatura raggiungano valori infiniti, cosa ne sarà del Big Bang e dell’inizio del tempo? Negli ultimi 10-15 anni sono stati proposti nuovi scenari cosmologici nei quali il Big Bang, invece di rappresentare l’inizio di tutto (tempo compreso), non sarebbe altro che il risultato di un processo antecedente nel quale si può risalire senza mai incontrare un vero e proprio "inizio". Il processo che avrebbe dato luogo al Big Bang sarebbe simile al processo di "collasso gravitazionale" che, nell’universo attuale, dà luogo alla formazione di buchi neri, concentrazioni di materia così compatte che neppure la luce può sfuggire all’intenso campo di attrazione gravitazionale che li circonda. Quando un buco nero si forma nella nostra galassia, esso divora letteralmente la materia che lo circonda, ma, mentre questo avviene, la materia fagocitata emette radiazione, come se lanciasse un Sos prima di sparire per sempre. In modo analogo, nella fase che precede il Big Bang avvengono processi violenti durante i quali sono generate onde elettromagnetiche e gravitazionali. Le prime contribuiscono a scaldare l’universo, le seconde, data la loro debole interazione con tutto il resto, viaggiano indisturbate fino ai nostri giorni. E proprio a caccia di segnali di tipo gravitazionale vanno alcuni esperimenti in America e in Europa (come "Virgo", il grande apparato che sorge nei pressi di Pisa), che potrebbero un giorno confermare se l’universo sia davvero esistito prima del Big Bang. Universo-brana. La Teoria delle stringhe (o superstringhe?) richiede uno spazio a più dimensioni (più delle tre consuete), tipicamente a nove dimensioni. Lo scenario che abbiamo prima descritto prevede che le sei dimensioni supplementari, nella fase che precede il Big Bang, divengano minuscole e, più precisamente, piccole quanto "l". Ma, tra le inaspettate proprietà di questa teoria, ce n’è una che conduce a uno scenario alternativo, in cui esisterebbero ancora oggi dimensioni supplementari e macroscopiche. Perché mai non le vediamo? Per il semplice fatto che il nostro universo sarebbe "confinato" in un sottospazio a tre dimensioni, detto "tre-brana" (una membrana con tre sole dimensioni spaziali, a parte quella del tempo). E su questo "universo-brana" convergono oggi ricerche che in tutto il mondo impegnano molti teorici di stringhe. Gabriele Veneziano