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 2005  settembre 06 Martedì calendario

Ecco perché gli aerei si sono ribellati. Libero 06/09/2005. Una mia amica, sagace e fastidiosa, sostiene (con parole meno fini) che a far volare gli aerei è la fortuna; ieri mattina mi ha telefonato e ribadito, per la quinta volta in un mese, che io e tutti i miei colleghi piloti, per non parlare dei nostri passeggeri, siamo dei miracolati

Ecco perché gli aerei si sono ribellati. Libero 06/09/2005. Una mia amica, sagace e fastidiosa, sostiene (con parole meno fini) che a far volare gli aerei è la fortuna; ieri mattina mi ha telefonato e ribadito, per la quinta volta in un mese, che io e tutti i miei colleghi piloti, per non parlare dei nostri passeggeri, siamo dei miracolati. Ovviamente giurerò sempre, e a ragione, che non è vero: però due riflessioni vanno fatte. La prima: la sequela di disastri ha messo in luce che gli incidenti sono cambiati, e che l’esperienza accumulata non aiuta più. In pochi anni, e i soliti americani ci stanno già lavorando su, sono diminuite drasticamente le cause classiche: errori dovuti a violenti cambiamenti della direzione del vento vicino a terra, scarso coordinamento nell’equipaggio, cedimenti meccanici. E questo perché le misure di sicurezza impostate sul "già visto" sono state affinate. Sono comparse però nuove situazioni atipiche, spesso uniche: lo spegnimento simultaneo di due motori, come nel caso (forse) dell’Atr Tuninter e (quasi di sicuro) del Boeing 737 West Caribbean: una volta capitava molto di rado, in particolare dentro temporali violenti, ma aumentando il traffico è aumentata anche la probabilità statistica, e gli studi attuali non sono sufficienti. Tanto che le autorità americane stanno rivedendo i criteri di certificazione dei motori. Che cosa sia successo al 737 cipriota della Helios che è caduto dopo aver volato a lungo con equipaggio e passeggeri svenuti e congelati, è addirittura ancora un mistero. Si è scoperta anche l’inadeguatezza di alcune procedure: per esempio, gli investigatori hanno stabilito che il Beech 1900D che il 9 gennaio 2003 si schiantò in decollo a Charlotte, in Nord Carolina, era troppo carico perché la stima sul peso di ogni passeggero (73 chili) era sotto il valore reale di almeno 11 chili, e nessuno se ne era curato. Ancora: il volo American 587, che l’11 novembre 2001 cadde vicino a New York facendo temere un nuovo attentato, aveva perso la coda perché il copilota aveva fatto una serie di violente imbardate basate sulla errata convinzione (molto diffusa tra i colleghi), che a bassa velocità quella manovra non fosse pericolosa. Per non parlare del cargo che sbagliò l’atterraggio a Tallahassee in Florida, il 26 luglio 2002, e finì sugli alberi perché il pilota, daltonico ma abilitato grazie a una esenzione, non aveva ovviamente saputo seguire le luci rosse e bianche dell’avvicinamento notturno. I dati americani, quindi, dicono che tra il 1996 e il 2003 l’80 per cento degli incidenti è dovuto a situazioni "nuove": studiosi e aziende hanno scelto di enfatizzare l’approccio preventivo, cioè di non aspettare che gli incidenti avvengano per eliminarne le cause. Per fare questo, però, è necessario guardare non solo agli errori in volo, ma anche alle condizioni a terra, come l’ambiente di lavoro. Per esempio: se parli di un problema con un tuo superiore, ti ascolta o ti liquida in fretta? Distinzione che potrebbe essere fatale. La seconda cosa su cui si deve riflettere, infatti, sono le persone: perché, in particolari condizioni di stress - come quando qualcosa su un aereo non funziona - bisogna essere in grado di decidere e di piegare in fretta le procedure alla necessità. Insomma: pensare, stare attenti. Cosa alla quale siamo disabituati: a immergere uno in leggi e strade tracciate su tutto (mica solo in aeronautica, ma su ogni cosa, l’Unione europea in testa, che ha codificato la lunghezza delle banane e la circonferenza dei profilattici) alla fine lo si autorizza a non pensare più. Così, se la procedura non funziona o si discosta dalla situazione reale, ci si ammazza. Quando, qualche mese fa, un americano arrivando a Linate sbagliò pista e atterrò col suo piccolo aereo sul raccordo (senza alcun danno), l’Ente nazionale per l’aviazione civile propose di istituire uno specifico nuovo esame per atterrare a Linate. Altre carte, altra burocrazia, nient’altro. Per fortuna, passata la buriana mediatica non se ne è più parlato. Ora, l’uomo è una specie che sulla terra si è salvata e ha finora prosperato senza avere peli, con pochi muscoli e con denti e unghie inutilizzabili perché in cambio ha sviluppato elasticità mentale. Nessuna procedura, da sola, ci potrà salvare dai disastri, né quelli aerei, né gli altri. L’unico modo meccanico e sicuro al cento per cento per non cadere in aeroplano è di non salirci, così come per essere certi non avere incidenti con la macchina basta non andare in giro; d’altronde, per evitare che un vaso di gerani ci cada in testa il metodo ottimale è non uscire di casa. Ma sarà abbastanza? Neppure tornare a vivere come delle scimmie ci aiuterà, perché ben presto saremmo minacciati dalle bucce di banana. Giuseppe Braga