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 2005  settembre 07 Mercoledì calendario

Bouchta Bouriqi

• Essauira (Marocco) 1964. Macellaio. Espulso dall’Italia nel settembre 2005. «Ascetico d’aspetto, candido d’abito [...] macellaio a Torino dal 1986, dopo essersi proclamato imam, ha parlato, per anni, due lingue. In italiano predicava l’integrazione nella società occidentale degli immigrati musulmani, la lotta agli spacciatori, la pace fra religioni diverse. In arabo, invece, inneggiava alla “morte degli ebrei” e alla Jihad, la guerra santa. In tutta Italia si era fatto conoscere come imam grazie all’ormai storico “corteo per il velo” del 30 ottobre ’99, una manifestazione ufficialmente a favore del diritto delle donne musulmane di farsi ritrarre in hijad nelle foto tessera. In realtà, una protesta per ottenere il permesso di soggiorno. A nulla è valso il disperato tentativo di Bouchta, [...] di rifarsi un’immagine dopo essere stato considerato per anni (come ha scritto Angela Lano in Islam d’Italia), “l’emblema di quell’Islam pauroso, sanguinario contro cui combattere l’imminente ’guerra al terrore’”. Dopo l’espulsione da Torino, nel 2003, dell’imam di Carmagnola Fall Mamour (suo amico), e della cellula di presunti terroristi in sonno di Nourredine Lamour (suoi conoscenti), aveva capito che il prossimo nome, nell’elenco del ministero degli Interni, era il suo. E così, per scongiurare il rischio di tornarsene in Marocco, aveva rinunciato alla carica di imam. Da “integrista” si era convertito a posizioni pragmatiche e moderate, e aveva fondato, nel giugno 2005, una nuova associazione, l’“Unione delle comunità marocchine”. Nella primavera del 2004 aveva chiesto la liberazione dei tre body-guard italiani prigionieri in Iraq. Ma questa sua metamorfosi non ha cancellato il suo passato. Non ha fatto dimenticare al ministro Pisanu che a casa sua ospitò Mohamed Ebid, imam accusato dagli egiziani di aver preso parte agli attentati di Luxor e del Cairo. E che nelle sue moschee di Porta Palazzo - il cuore della città da sempre simbolo dell’immigrazione - furono arruolati da Al Qaeda e dai talebani i due mujahidin di origine marocchina, ma residenti a Torino, arrestati in Afghanistan e, poi, detenuti per lungo tempo a Guantanamo. Doppio, ambiguo, protagonista della scissione della comunità islamica torinese, Bouchta proclamò l’innocenza di Osama Bin Laden accusato dagli americani di essere l’autore dell’attentato alle Torri Gemelle. Durante un corteo del 6 aprile del 2002 in solidarietà del popolo palestinese pronunciò, in arabo, le parole mawt li-jahud, “morte agli ebrei”. Sfilava per la pace, ma predicava l’odio. Non aveva esitato a mettersi contro la parte più moderata - e più numerosa - della stessa comunità marocchina. Fra i suoi nemici, c’erano anche alcuni suoi “fratelli”. Contro un suo ex collega imam, Ahmed Cerkaoui, aveva addirittura scagliato un takfir (una denuncia pubblica), accusandolo di non essere stato fedele alla scienza sciaraitica, la legge religiosa islamica. Nella fase della sua vita più segnata dal radicalismo, più volte aveva predicato: “Qual è il ruolo delle moschee nella vita della nazione musulmana? Possiamo propagandare l’Islam senza Jihad?”» (Alberto Custodero, “la Repubblica” 7/9/2005). «[...] l’uomo che si era proclamato imam e che, per qualche tempo, ha sognato di essere la guida religiosa di tutti i musulmani torinesi [...] è stato espulso dal Paese: “Per grave turbamento dell’ordine pubblico e pericolo per la sicurezza dello Stato”. Il provvedimento è una grossa mazzata per l’uomo che, nel 2001, poche settimane dopo l’attentato alle Torri Gemelle, e appena iniziato l’attacco in Afghanistan, durante una manifestazione in piazza a Torino, a Porta Palazzo cuore cittadino dell’immigrazione disse: “Bin Laden non è un terrorista” e ancora: “È innocente, non c’entra nulla con quello che è capitato a New York...”. Frasi, smentite, che gli fruttarono un’esposizione mediatica da star della tv. Comparsate ai talk show di prima serata e tante, tantissime polemiche. Ma anche la partecipazione alla manifestazione di Roma in cui si chiedeva la liberazione di tre ostaggi italiani rapiti in Iraq: Stefio, Cupertino e Agliana. E lui, figlio di contadini, nato nel paesino di Essauira, cresciuto a Kouribga, città poverissima del Marocco occidentale, sbarcato nel 1986 a Torino a cercare fortuna, diventato macellaio e autoprocalamatosi imam, cavalcò senza problemi e senza alcuna timidezza l’onda della notorietà. Quattro anni dopo Bouriqui Bouchta è un’altra persona. Ha mantenuto, è vero, la stessa barba nera, e quella magrezza allampanata che lo caratterizzava. Ma i toni che adopera se parla in pubblico, oppure se commenta vicende relative al Medio Oriente, non sono più quelli. [...]» (Lodovico Poletto, “La Stampa” 7/9/2005). «[...] uno dei più focosi e attivi apologeti della Guerra santa islamica e del terrorismo suicida in Palestina, Afghanistan, Iraq, Cecenia e Kashmir, nonché uno dei più spietati e cinici dispensatori di condanne di apostasia nei confronti dei musulmani che non condividono la sua interpretazione estremistica e terroristica dell’islam. [...] “Il bello in Italia è che la magistratura non è scema, non condanna la persona per dei sospetti o per apologia di reato”, [...] disse [...] il 27 giugno 2002 [...] Bouchta era riuscito a trasformare Piazza della Repubblica, nel cuore del quartiere-casbah di Porta Palazzo, in un proprio feudo personale. Riverito e temuto per un potere religioso accreditato da mass-media e politici ingenui e ideologici che l’avevano elevato al rango di “imam di Torino”, quasi fosse una sorta di “vescovo islamico”, in una religione dove il rapporto tra il fedele e Dio è diretto, dove non esiste un clero né tantomeno un papa. “Anch’io credo nel jihad come sesto pilastro della fede: nel Corano ci sono circa 300 versetti che parlano del jihad e del combattimento, si tratta dunque di un dovere religioso”, sostenne Bouchta, “l’Europa vorrebbe imporci un islam senza jihad, ma questo è un islam ambiguo, è un islam americanizzato”. Che non si trattasse di mera libertà di espressione, ma del primo tassello di una struttura organica del terrorismo islamico, fu evidenziato dall’accertamento di un’attività di reclutamento di combattenti islamici all’interno delle moschee gestite da Bouchta. Tra loro figura il marocchino Mohamed Aouzar, arruolato in seno alla moschea Al Tawhid di Porta Palazzo dopo l’11 settembre 2001, andato a combattere in Afghanistan e poi catturato e trasferito a Guantanamo. Così fu sottolineato dall’attività intimidatoria da “boss islamico” nei confronti di tanti musulmani di Torino. Tra loro spicca Ahmed Cherkaoui, imam della Moschea della Pace, anch’essa a Porta Palazzo, colpevole di aver osato cacciare Bouchta dalla sua moschea proprio perché predicava la guerra santa. Ebbene figuratevi che nel novembre del 1998 Bouchta tappezzò i muri di Porta Palazzo con un manifesto in arabo contenente una fatwa, un responso giuridico islamico, di condanna di apostasia di Cherkaoui, ciò che comporta la sua condanna a morte. Bouchta, dopo aver definito Cherkaoui “spia e informatore”, nonché “nemico dei prediletti di Dio”, lo apostrofò: “Chi invita all’islam globale, che include la purezza e il jihad, e non nasconde la verità qualunque sia il prezzo, si chiama terrorista?”. La risposta per Bouchta è ovviamente “no”. Così come, dopo l’11 settembre, affermò che “Osama bin Laden è innocente secondo la legge islamica, ma anche secondo quella internazionale, perché fino ad ora non sono state trovate le prove della sua colpevolezza”. In più “sono in molti a pensare che l’America sia stata colpita da una maledizione divina, perché in qualche modo se lo meritava”. [...]» (Magdi Allam, “Corriere della Sera” 6/9/2005).