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 2005  settembre 07 Mercoledì calendario

DaSilva Benedita

• Rio De Janeiro (Brasile) 11 marzo 1943 (ma registrata all’anagrafe come se fosse nata il 26 aprile 1943). Politico. «Questa storia comincia in una squallida baracca di Praia do Pinto, una delle più vecchie favelas di Rio de Janeiro. Ci abita una bambina nera con tredici fratelli e sorelle. È nata povera, anzi poverissima, e il rigido sistema di classi in Brasile la condanna a vivere per sempre tra il fango e le latrine a cielo aperto di quel ghetto per miserabili. I suoi genitori si sono trasferiti qui, lasciando il lavoro in una piantagione di Minas Gerais, in cerca di fortuna nella megalopoli. La fortuna però non arriva. Da Praia do Pinto si spostano in un’altra immensa bidonville, proprio alle spalle dei lussuosi hotel di Copacabana e della sua spiaggia da cartolina. Ma la miseria è uguale, la speranza di un destino diverso impossibile perfino da pensare. Sbagliato. Benedita da Silva, la bambina nera che ha visto buona parte dei fratellini e tre dei suoi cinque figli soccombere a malattie come il morbillo, la tubercolosi o per banali infezioni [...] governa quella megalopoli e i suoi 14 milioni di abitanti. Ci sono voluti sessant’ann per percorrere la lunga strada dalla favela alla stanza dei bottoni, dalla casupola con il tetto di lamiera al pretenzioso Palazzo Guanabara. [...] “Il sogno di arrivare a un posto dove far qualcosa per i neri e gli indios si è avverato. Non mi accontento. Sono uscita dalla baracca, ma milioni di abitanti di Rio non hanno casa. C’è un posto più in alto [...] faccio un secondo sogno: un nero, nato nella mia favela, eletto presidente del Brasile”. Bené, come la chiamano gli amici, non aveva molto tempo per sognare quando era bambina. Andava spesso a letto affamata e qualche volta si è trovata a rovistare nei sacchi della spazzatura per un pezzo di pane. La sua infanzia l’ha passata sulla strada: Si svegliava alle 5 del mattino per andare a prendere l’acqua al pozzo e alle 6,30 era già ferma davanti ai semafori per vender frutta, scarpe e caramelle ai passanti, oppure consegnava la biancheria che la madre lavava e stirava per “le famiglie bene” di Rio. “Mi presentavo sempre sul retro, non era ammesso che una ragazzina di colore, una servetta, entrasse dalla porta principale”, racconta. A sei anni, bussando a una di quelle porte, ricevette in dono la sua prima bambola: la figlia del futuro presidente Juscelino Kubitcheck si era stufata di giocarci, Benedita la tenne con sé come un regalo piovuto dal cielo. Soltanto molti anni dopo riuscì a ringraziare quella bambina ricca, divenuta ormai donna, quando si ritrovò seduta al suo fianco al Congresso dei deputati brasiliani. In quelle case, lavorando come domestica senza orario sindacale, senza ferie e spesso senza paga [...] ha imparato come si sta a tavola, quali forchette usare, quali vini accostare alle pietanze. [...] A sette anni venne violentata da un parente nella sua stessa casa, a sedici si sposò e andò a vivere in una baracca di una sola stanza, il tetto costruito con lamiere di latta, le pareti con scatole di legno. A ventun anni aveva già partorito quattro figli, due dei quali morti poco dopo la nascita per banali infezioni. “Non fossi stata così povera oggi sarebbero vivi”, dice con rimpianto. Il marito beveva, qualche volta diventava violento. alla fine è morto di infarto. E uguale destino è toccato al suo secondo marito. Benedita non si è arresa. Lei dice che è stata la sofferenza della promiscuità e della miseria - tipica di tutte le bidonville sudamericane - il motore del suo impegno, prima in campo sociale e poi in quello politico, nelle fila del Partito dei lavoratori (principale formazione di sinistra in Brasile). Ha iniziato organizzando una rete di solidarietà al femminile e scuole per i bimbi e gli adulti della sua favela, quando ancora in Brasile dominava la dittatura militare e i partiti politici erano fuorilegge. Ha continuato presentandosi, da semi-sconosciuta, alle prime elezioni libere, nel 1982, per il Consiglio municipale di Rio de Janeiro. “Gli avversari politici non mi prendevano troppo sul serio e le discriminazioni erano tante. Ero nera, donna e venivo dalla favela: in sintesi, il peggio” [...] Fece campagna bussando a tutte le porte della baraccopoli, ed è stata a sorpresa la candidata eletta con più voti. Dopo aver cambiato mille mestieri - domestica, cuoca, operaia, impiegata statale, infermiera - Bené aveva finalmente trovato la strada del riscatto. E a quarant’anni si rimise a studiare iscrivendosi all’Università, facoltà di scienze sociali, lo stesso giorno in cui si immatricolava la figlia ventenne. Il resto è stato una corsa tutta in discesa: nel 1986 fu eletta al Congresso e partecipò all’Assemblea costituente che scrisse la nuova Costituzione democratica, nel 1994 divenne la prima senatrice nera del Brasile, nel 1998 assunse la carica di vice-governatrice dello Stato di Rio de Janeiro con delega per tutti i programmi sociali. Infine, nella notte del 5 aprile 2002, è stata nominata governatrice - la prima donna di Rio [...]» (Sara Gandolfi, “Sette” n. 21/2002).