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 2005  settembre 01 Giovedì calendario

I Boroli. Il Sole 24 Ore 01/09/2005. Marco Polo, Colombo, Vespucci, Verrazano: popolo di navigatori e viaggiatori, autori di grandi scoperte geografiche, gli italiani gironzolavano per il pianeta da secoli, ma a mettere il mondo nelle loro tasche ci pensò un distinto piemontese nativo di Pollone, vicino a Biella

I Boroli. Il Sole 24 Ore 01/09/2005. Marco Polo, Colombo, Vespucci, Verrazano: popolo di navigatori e viaggiatori, autori di grandi scoperte geografiche, gli italiani gironzolavano per il pianeta da secoli, ma a mettere il mondo nelle loro tasche ci pensò un distinto piemontese nativo di Pollone, vicino a Biella. Si chiamava Giovanni De Agostini, e la sua idea vincente fu un manuale snello e comodo. Il «Calendario-atlante» vide la luce nel 1904, più di un secolo fa. Stava in una mano, ma entrò da subito nel cuore della nazione: quelle 64 paginette di piccolo formato e grande attualità, fitte di cartine, numeri e tabelle, pratiche e poco costose (si vendevano alla modica cifra di 60 centesimi), diventeranno presto il simbolo più duraturo del successo di un marchio che ha accompagnato il progresso umano e civile e lo sviluppo industriale del nostro Paese. Il «Calendario-Atlante» arrivava a tre anni dalla fondazione della casa editrice, quasi naturale sbocco di un’attività che vedeva nella precisione e nella qualità della cartografia la sua principale ragion d’essere. La storia di De Agostini era iniziata nel 1901, quando, alle porte del nuovo secolo, il cartografo fondò a Roma (ma con sede in via Novara...) l’istituto geografico che porta ancora oggi il suo nome e lo diffonde nel mondo. Dagli stabilimenti di Roma prima e di Novara poi (il trasferimento definitivo avviene nel 1908), escono carte geografiche ed atlanti sempre più curati e prestigiosi, frutto del paziente lavoro e della competenza di una scuola di artigiani che opera nell’istituto - tra i quali anche l’irredentista e patriota Cesare Battisti - e che si impone come modello di riferimento internazionale. Il «Grande Atlante Geografico» del 1922 (10mila copie vendute della prima edizione, con le sole prenotazioni, al prezzo di 100 lire) segnerà il sorpasso anche nei confronti dell’allora dominante cartografia tedesca: è strano pensarlo, ma anche un atlante può, a partire da questo momento, essere definito un prodotto d’eccellenza del made in Italy, capace di imporsi prima di altri miti come la moda o il design. Lo sforzo tecnico, all’epoca, era grandioso: aveva qualcosa della laboriosità dei monaci medievali, ma doveva già tenere conto delle esigenze, dei numeri e dei tempi di lavorazione della civiltà industriale. Le carte geografiche venivano incise su pietre litografiche costituite da un calcare marnoso che permetteva di ottenere tracce di grande nitidezza. Si lavorava con punte d’acciaio arrotondate sulla pietra, scrivendo i nomi delle località al contrario; poi c’era l’inchiostratura e la coloritura (nella quale la De Agostini eccelse fin dall’inizio), quindi le prove di stampa in torchi di precisione. Lavoro meticoloso e raffinato eseguito alla perfezione che vale ben presto il regio brevetto all’azienda. Con il fregio arrivano le commesse prestigiose. Ma anche la prima disavventura. Una magnifica «Carta d’Italia del Touring Club Italiano» che porta la De Agostini sull’orlo del fallimento. E perciò, alla fine della Grande Guerra, De Agostini (ottimo cartografo, imprenditore "distratto") è dunque costretto a passare la mano: con un investimento di 180mila lire Marco Adolfo Boroli e Cesare Angelo Rossi rilevano l’Istituto. Da quel momento in poi (Rossi si farà da parte nel 1946, dopo avere contribuito al successo della casa editrice, ma anche con qualche accusa sulle spalle), la storia della famiglia Boroli coinciderà con quella dell’Istituto geografico, in una delle più solide espressioni di capitalismo familiare che caratterizzano così fortemente la storia dell’imprenditoria italiana. Gli investimenti di Boroli e Rossi puntano forte su macchinari e innovazione tecnologica. La modernizzazione ha anche l’effetto di potenziare le linee di produzione: non più e non solo cartografia, ma anche immagini per il turismo e l’arte. Il ventennio fascista è caratterizzato da un’imponente crescita. Mussolini e la casa reale non mancano di manifestare interesse e apprezzamento: la geografia, del resto, è un’arma potente. E le carte murali appese nelle aule delle scuole italiane fanno familiarizzare gli alunni - oltre che con i labili confini dell’Impero - con il più durevole nome dell’Istituto. Alla fine della seconda guerra, a Novara non si perdono d’animo e non perdono tempo. Marco Adolfo Boroli rileva tutte le quote ed è ora azionista unico. Diviene presidente (per restarlo fino al 1961) e nel cda entrano tutti membri della famiglia (una caratteristica che perdura fino a oggi, con qualche aggiustamento dovuto alla necessità di scindere proprietà e management, secondo sani principi economici). Gli stabilimenti riprendono a lavorare a pieno ritmo, non prima di avere eseguito un’ultima grandiosa commessa per la Zecca dello Stato che ne usò i macchinari durante gli ultimi anni di guerra. Prima del trasferimento di quest’ultima a Roma, saranno le officine novaresi a fornire 450 milioni di biglietti da 50 e 100 lire, che permetteranno all’Italia di superare le Am-Lire e agli italiani di pagare la ricostruzione del Paese e del loro futuro. In questi anni sono i figli di Marco Adolfo, Achille e il più giovane Adolfo a tenere le redini dell’azienda. Achille è il regista della rinascita dal dopoguerra: sua la decisione di investire ben 800 milioni di lire approfittando degli incentivi stanziati per l’industria. Nuove macchine, uno stabilimento più grande, orizzonti aperti a scrutare il mercato e un fortissimo dinamismo: così la De Agostini, negli anni 50, si riposizionerà sul mercato editoriale, non abbandonando la tradizione cartografica ma puntando su un elemento rivoluzionario: la divulgazione di altissima qualità veicolata con un mezzo potentissimo e ancora inesplorato: l’edicola. Il cambiamento epocale arriva nel 1958 con l’enciclopedia «Il Milione» (120 mila copie vendute), replicato poi dalle dispense della serie «Universo», nata nel 1962. Quest’ultima segna l’affermazione internazionale della casa di Novara: tradotta in 11 lingue dopo il clamoroso successo, fu, davvero, come recitava lo slogan del rilancio nel 1969 «l’enciclopedia italiana che ha conquistato il mondo». La gestione di Achille, presidente fino al 1986, e di Adolfo Boroli (che si distingue per le formidabili doti di organizzatore prima nel ruolo di consigliere delegato, quindi di presidente fino al 1996) ha raggiunti il suo apice. La famiglia è coinvolta per intero nell’azienda (saranno 20 i nipoti di Marco Adolfo a lavorare nel gruppo) ma non ama apparire troppo: quando il celebre agente letterario Eric Linder, negli anni 70, dichiara a Il Sole-24 Ore che dopo Mondadori e Rizzoli, l’altro grande gruppo editoriale italiano è De Agostini, sono in molti - e anche del settore - a stupirsi. Una tipica sobrietà, quella dei Boroli, tutta piemontese ma che, talora, viene estesa anche ai collaboratori e ai prodotti. Nel 1983, Enzo Biagi "firma" la nuova edizione del «Milione» ma la notorietà del giornalista non viene sfruttata, nemmeno per la foto di copertina (un sacrilegio per il marketing attuale): il suo nome appare, con lo stesso corpo e carattere, nell’elenco con tutti gli altri redattori dell’opera. Intanto gli anni 70 hanno visto un grande cambiamento: le attività grafiche e quelle editoriali si scindono. Il collezionabile si espande, la vocazione internazionale del gruppo si rafforza, lo scolastico è un punto di forza, la natura e i grandi personaggi entrano in catalogo. Il ricambio al vertice si impone, quasi naturalmente, nel segno dell’innovazione ma, allo stesso tempo, della tradizione. Il "timoniere" verso il Duemila è Marco Drago: con lui regista - affiancato da quasi tutti i componenti della terza generazione della famiglia (solo Silvano e Marcella sono usciti dall’azionariato del gruppo) - il marchio De Agostini arriva all’espansione attuale. Nel 1990 la conquista del mondo è cosa fatta: il gruppo fattura mille miliardi di lire, metà provenienti da attività estere (e nel 1993 la cifra sarà di 2.034 miliardi). Drago eredita lo stile di gestione di famiglia, fatto di molta azione e poche apparizioni. Ci aggiunge uno spiccato fiuto per i tempi che cambiano e una serie di scommesse vincenti, che vedono protagonista la famiglia Boroli e il gruppo di una diversificazione che ha, oggi, dello spettacolare. Drago sviluppa il know-how dell’azienda (che ha intanto indossato un altro fiore all’occhiello con l’Atlante del 1989, il primo al mondo con la Germania unita), e la consolida puntando anche sul digitale e i new media; quindi, nel 1997, convince la famiglia a investire su Seat. Un affare eccezionale: nel 2000 il ritorno finanziario della cessione delle quote sarà ingente. E il gruppo potrà così giungere all’assetto attuale: «Gli straordinari eventi del 2000 - ha scritto Drago nella relazione agli azionisti del 2004 - hanno permesso un’altra tappa di eccezionale sviluppo in altri settori: oltre all’editoria con l’acquisizione di Utet, la comunicazione con Mikado in Italia e Antena 3 in Spagna, i giochi con Lottomatica e infine le assicurazioni con Toro», società ex Fiat, che proprio il 1 giugno ha rifatto capolino nel listino di Piazza Affari. I bilanci del gruppo racchiuso da una holding parlano chiaro: «I risultati sono eccellenti - continua Drago - e ci permettono di essere in anticipo rispetto agli obiettivi generali di piano». Ma non è una questione di numeri. Quelli, da tanti anni, ci sono: è un questione di tradizione, di impegno familiare, di tutela di un marchio di fabbrica che unisce la logica del profitto ai valori della famiglia. Tanto che quando qualche anno fa, Gian Filippo Cuneo chiese a una trentina di imprenditori di scrivere una lettera ai propri figli, Marco Drago indirizzò ai propri figli le seguenti parole: «Se vi state chiedendo se e quando entrare in azienda, vi suggerisco di lasciar maturare le condizioni per prendere la vostra decisione con la massima probabilità di successo, cioè quando potrete dire di conoscere bene voi stessi e di sapervi valutare, riuscendo a mettere le vostre aspirazioni in relazione al contesto a cui mirate; ciò è possibile farlo al meglio solo dopo essere passati attraverso esperienze di lavoro esterne al gruppo e per un tempo sufficientemente lungo». Insomma, chiedeva ai figli di tracciare bene i loro confini e quelli delle proprie convinzioni e competenze prima di entrare in un’azienda che i confini li disegna, in maniera magistrale, da oltre un secolo. Ma che sa anche, per principio, che sono tracciati per essere modificati. Stefano Salis