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 2005  agosto 22 Lunedì calendario

Povera Denise, povera piccola che manca da casa ormai da un anno (il prossimo primo settembre) e nessuno riesce a dire che fine abbia fatto

Povera Denise, povera piccola che manca da casa ormai da un anno (il prossimo primo settembre) e nessuno riesce a dire che fine abbia fatto. Niente, nessun sospetto, nessuna traccia, neppure la più remota ipotesi. viva? ancora viva, dopo dodici mesi di inutili ricerche in mezzo mondo? Povera Denise, che viene vista continuamente e non è mai lei. La polizia, i carabinieri accorrono ad ogni squillo di telefono - provenga da Milano, da Bologna, piuttosto che da Nizza o dalla Germania e persino dal Montana - per ritrovarsi puntualmente davanti ad una bambina che «le somiglia», ma non è lei. Il fatto è, povera piccola, che cercare qualcuno senza avere alle spalle uno straccio di pista, di indizio, di sospetto, è operazione davvero difficile. E se c’è una certezza, in questa storia incredibile e crudele, è che nessun investigatore, nessun magistrato sono mai riusciti ad entrare completamente nella trama della scomparsa di Denise Pipitone, rapita (questo sembra proprio certo) a quattro anni ed oggi nel limbo degli scomparsi. Già, era il primo di settembre del 2004, mercoledì. E mancava poco a mezzogiorno, tanto che la nonna della bambina stava preparandole il pranzo. Quando è uscita in strada per chiamarla, Denise non c’era più. Eppure l’aveva appena guardata, la nonna. Così dice a tutti:« Giocava in strada». Giocava, la bambina. Giocava in un pezzo di budello asfaltato, via Domenico La Bruna- periferia adiacente al cimitero di Mazara del Vallo -, territorio amico perché abitato da parenti dei Pipitone. Lì tutti si conoscono, tutti sanno tutto di tutti. Povera Denise, l’hanno cercata male sin dall’inizio. Tutti a piangere davanti alla tv, ma nessuno che abbia dato un aiuto serio alle indagini. Si sa che nelle storie dei rapimenti dei piccoli le prime ore di ricerche sono determinanti. Ma quel primo settembre - senza voler stare qui a rimestare vecchie polemiche- di ore preziose ne trascorsero parecchie, prima che la macchina investigativa si mettesse in moto. Ecco, si può dire che Denise è stata due volte sfortunata: prima per l’infame sorte toccatale, poi per come è stata gestita l’indagine. Ed oggi non va meglio, con la Procura di Marsala che insiste nel credere che Denise sia ancora viva, nelle mani di qualcuno che la trattiene per compiere una sorta di ritorsione nei confronti della madre, Piera Maggio, divenuta ormai una «addolorata mediatica» che fa la spola tra Rai e Reti Mediaset, alla ricerca di un brandello di speranza che finora le è stato negato. E’ stato tentato di tutto, ripete spesso il procuratore Sciuto di Marsala. E’ vero, proprio di tutto: persino il ricorso all’aiuto di medium e sensitivi ascoltati come persone informate dei fatti. Sette, forse otto ne hanno presi a verbale imagistrati di Marsala, non senza qualche scetticismo ma sempre confortati dalla certezza che «bisogna avere fede» e che «chi crede nello spirito, alla fine vince». Povera Denise, cercata con gli occhi dei medium. Si cominciò quasi subito, dopo due o tre giorni, con la visione di una sensitiva che «vedeva» la bambina in una porcilaia del paese. Poliziotti e carabinieri affondavano nella melma, mentre la veggente raccontava il film della bambina nascosta tra i maiali. Ovviamente non si trovò mai nulla. Ma l’insuccesso non fu tale da scoraggiare altre «visioni». C’è chi l’ha vista in pericolo e, nel sogno, le diceva: «Non bere Denise, non bere quello che ti danno». C’è chi, spossata dal «contatto onirico», è andata in trance. E c’è chi è riuscita a farsi credere medium inglese, a farsi pagare il biglietto aereo da Londra per poi entrare in contraddizione e dover confessare di essere italiana e neppure tanto veggente. Le indagini sono andate appresso a tutto questo. E c’è stata una medium messa a disposizione dall’on. Bobo Craxi, eletto nella circoscrizione trapanese e quindi interessato alla triste vicenda. Eserciti di divise hanno setacciato villa Ada, a Roma, dove gli occhi dello spirito vedevano la piccola Denise. «C’è tanto verde - diceva la medium - e leggo la scritta Villa Ada». Poi le ricerche si sono estese ai campi nomadi, dove il procuratore di Marsala crede fortemente sia tenuta la «bambina viva». Ma lo sforzo maggiore, il procuratore Sciuto, l’ha dovuto sostenere quando un medium fece sapere di «aver visto» Denise negli Stati Uniti. Si attivò l’Interpol per poter estendere le ricerche nel Montana, dove il sensitivo aveva «intercettato» la presenza della bambina «in uno chalet». I veggenti falliscono, ma le indagini non perdono la fede nella speranza. Non v’è segnalazione - non stiamo parlando più di medium - che non scateni autocolonne di investigatori pronti a spostarsi. Neppure le indagini per scoprire chi l’ha presa hanno fatto passi avanti. Abbiamo assistito al massacro mediatico della sua famiglia, senza alcun risultato. Anche qui ha avuto un ruolo determinante la convinzione della Procura di Marsala che crede fortemente nella cosiddetta «pista familiare» o «pista privata». Cioè un rapimento originato da un «forte sentimento di rancore» nei confronti di Piera Maggio, la madre. Ma chi nutre tanto odio? Tutti i sospetti sono appuntati su una ragazza, J.P., all’epoca dei fatti minorenne, figlia dell’uomo che sarebbe anche il padre naturale di Denise. Piera ha dovuto ammetterlo, anche se dopo qualche titubanza. La ragazza, dunque, potrebbe individuare in Piera la causa della fine del matrimonio dei suoi genitori. Cosa non del tutto vera, dal momento che Denise è nata dopo la separazione dei genitori di J. Oggi la ragazza, che intanto ha compiuto i diciott’anni, è l’unica indagata. Gli investigatori l’hanno tenuta sotto controllo per mesi, ma non si sono registrati - come dicono - sviluppi significativi, a parte una intercettazione che è all’origine del provvedimento giudiziario. Perché è indagata, J.? Perché in un drammatico confronto (registrato segretamente) con la madre (A.C.) - avvenuto in commissariato - si è lasciata sfuggire una frase davvero inquietante. La madre, tra le prime a sospettare nella possibilità che il rancore della ragazza potesse averla spinta a gesti inconsulti, la invitava a dire tutto ciò che sapeva: «Se sai parla e, vedrai, che sarai aiutata. Sei stata in quella strada? L’hai vista la bambina? Devi dire la verità». Ma J. nega tutto, poi dice: «T’aiu a diri ’na cosa, io ’a casa c’a purtai». A casa gliel’ho portata. Questa frase non ha mai avuto spiegazioni. La ragazza è stata interrogata mille volte, ha avuto confronti serrati col padre e con la madre. Niente. Da mesi, ormai, la sua posizione - al contrario del valzer dei medium - è ferma. Intercettata notte e giorno, non si è mai tradita. Eppure qualche bugia, all’inizio, l’aveva detta: che il primo settembre non si era mai mossa di casa, che non aveva avuto contatti col fidanzato tunisino. Bugie, visto che il suo cellulare ha certificato spostamenti anche in prossimità di via La Bruna e continui colloqui col ragazzo. Ma lei nega ancora, anche di fronte alle enigmatiche minacce della madre che le dice: «Quando finisce questa storia ti rinchiudi in un convento di monache... ti faccio la dote, butti la chiave e stai lì...». Che storia, quella della povera Denise. Creatura indifesa in un mondo torbido, un padre troppo silenzioso, un padre naturale clandestino, una madre - alla fine - troppo sola dentro un’esistenza affollata. E sullo sfondo Mazara del Vallo, terra di confine, un po’ Africa un po’ profonda Sicilia, con le famiglie organizzate in clan pieni di parenti estranei tra di loro, la suggestione, equamente divisa, tra magia, sovrannaturale e consumismo senza freni. Povera Denise.