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 2005  aprile 27 Mercoledì calendario

[Storia delle nanotecnologie] Pensate a un capello diviso in trentamila fette e avrete un’idea del nanometro, un miliardesimo di metro, la dimensione alla quale lavora la nanotecnologia

[Storia delle nanotecnologie] Pensate a un capello diviso in trentamila fette e avrete un’idea del nanometro, un miliardesimo di metro, la dimensione alla quale lavora la nanotecnologia. E’ la nuova scienza, che nel giro di qualche anno potrebbe sconvolgere le nostre abitudini. Non è facile dare una definizione della nanotecnologia, anche perché coinvolge più discipline, dalla biologia alla chimica, dalla fisica all’informatica. Possiamo dire che, in generale, è lo studio di oggetti di dimensione da 1 a 100 nanometri, oggetti che hanno proprietà molto diverse da quelle degli oggetti più grandi. C’è una data di nascita precisa per la nanotecnologia: il 29 dicembre 1959, il giorno in cui il premio Nobel Richard Feynman tenne una conferenza all’incontro annuale dell’American Physical Society. Feynmann affermò: "I principi della fisica, per quanto ne sappiamo, non sono in contrasto con la possibilità di manipolare oggetti atomo per atomo. Cosa accadrebbe se potessimo spostare gli atomi uno per uno e assemblarli come più ci piace?". Immaginò applicazioni curiose, prevedendo che sarebbe stato possibile, ad esempio, scrivere l’intera Enciclopedia Britannica sulla capocchia di uno spillo. Vent’anni dopo si trovò un nome al campo che Feynman aveva appena intravisto: "nanotecnologia", parola inventata da Eric Drexler, autore del libro «Engines of creation». Per realizzare la previsione di Feynman si dovette però attendere gli Anni 80 e l’invenzione del microscopio a effetto tunnel, con il quale fu possibile scrivere lettere dell’alfabeto spostando atomo per atomo su una superficie. Così si scrisse la parola IBM con 35 atomi. Ma la vera rivoluzione tecnologica è arrivata solo nel 1985 con il fullerene, una molecola scoperta da Harold Kroto, Richard Smalley et Robert Curl, che per questo hanno ricevuto il premio Nobel nel 1996. E’ una molecola del diametro di circa un nanometro, costituita da 60 atomi di carbonio, sistemati su una struttura ad esagoni e pentagoni simile a un pallone da calcio. Dal fullerene si è arrivati, nel 1991, al nanotubo, che ha veramente aperto la strada alla nanotecnologia. Il nanotubo è un foglio di grafite, formato da atomi di carbonio, disposti su un reticolo esagonale, arrotolato come un sigaro, con due semi-molecole di fullerene alle estremità. Il nanotubo ha qualità eccezionali. E’ sei volte più leggero dell’acciaio e cento volte più resistente. Può essere un eccellente conduttore di elettricità o un semiconduttore, utile per fabbricare componenti elettroniche nanometriche. A questo punto si aprono le prospettive straordinarie di un nanomondo che è già realtà, almeno nei laboratori. Le applicazioni possibili sono le più varie: tessuti che si autoriparano, vetri che si autopuliscono, anticorpi artificiali o capsule molecolari in grado di liberare un farmaco in un punto preciso. Questi "nanoprodotti" sono oggi a livello di prototipo, quindi non possono ancora essere commercializzati, contrariamente a quanto affermano certi mass-media poco scrupolosi. «La nanotecnologia - osserva Pierluigi Civera, Task Force Nanotecnologie del Politecnico di Torino - è già una piccola e preziosa realtà, in continua crescita. Ma con i tempi necessari, come quelli per passare dalla pianticella all’albero. Sono certe abitudini odierne, riflesse dai "media", che vogliono l’impossibile oggi, per poi passare ad altro domani». Come punto di partenza per arrivare a comprendere la nuova scienza consigliamo la lettura di un libro curioso e divertente, «2015 - weekend nel futuro», di Vito di Bari e Paolo Magrassi. Nasce da un’esperienza scientifica degli autori che immaginano quale potrà essere il nanomondo in cui vivremo fra dieci anni, partendo da prototipi già esistenti nei laboratori, "prototipi che ci sembrano avere le caratteristiche - dicono gli autori - di potersi convertire in prodotti disponibili sul mercato». Ogni capitolo è strutturato con una parte fantascientifica, con momenti di vita quotidiana del 2015, e una parte scientifica, di presentazione delle caratteristiche dei nuovi oggetti. Gli autori ci avvertono: «Prepariamoci a frullatori, rasoi elettrici e tosaerba da Formula 1». Avremo computer sempre più potenti e sempre più economici, cellulari grandi come un orecchino, biglietti da visita scambiati con una semplice stretta di mano, sfruttando i campi elettrici del corpo, camicette che diventano schermi del computer, oggetti intelligenti come fogli di carta che sanno di quale documento fanno parte, banconote che conoscono il proprio valore e conservano memoria dei luoghi in cui sono state, pacchi che sanno dove si trovano e dove devono andare, scarpe che guidano il turista in una città sconosciuta, avvertendolo con una lieve vibrazione quando sbaglia strada a un incrocio. Una delle novità più importanti potrebbe essere l’Ipergeografia e la WorldBoard, cioè la mappatura del pianeta metro per metro, con l’assegnazione a ogni metro di un indirizzo virtuale. «Si tenga presente - dicono Di Bari e Magrassi - che quando entrerà in vigore la cosiddetta versione 6 dell’Internet Protocol, gli indirizzi IP a disposizione saranno cento miliardi di miliardi di miliardi di volte quelli odierni, che scarseggiano perché sono "solo" circa 4 miliardi». Una frazione irrisoria di questi sarà sufficiente per assegnare un indirizzo a ogni metro quadrato di terreno. Si avrà così a disposizione uno spazio nel quale potremo lasciare, pagine web o messaggi, indirizzati a un unico destinatario o aperti a tutti, collocati in un luogo preciso. Ad esempio, i giudizi sulla cucina di un ristorante alla sua porta d’ingresso oppure, lungo il sentiero di un bosco, troveremo, non più incisi sugli alberi, messaggi d’amore degli innamorati, descrizioni di ogni pianta che incontriamo o le impressioni di chi è passato prima di noi. File, anche audio o video, che potremo risentire, quando vorremo, godendoci invece il silenzio del bosco, semplicemente staccando ogni contatto. Sono mille le applicazioni previste da Di Bari e Magrassi. Verranno tutte realizzate? Sarà il mercato naturalmente a decidere, il consumatore, l’unico che può far passare un prototipo, dai costi proibitivi, a oggetto comune di largo consumo. Il libro si chiude con un capitolo dedicato all’hypernet, la rete di tutte le reti, che collegherà fra loro oggetti e persone, virtuali e reali: «Noi restiamo nel nostro mondo concreto, del quale sappiamo di essere partecipi e protagonisti, ma l’elettronica vi aggiunge o sottrae elementi che ci aiutano a fruirne o a modificarlo». Ogni innovazione tecnologica comporta anche rischi. Ogni oggetto, nelle mani sbagliate, può diventare un’arma pericolosa, ma questo non ha mai fermato il progresso. In un futuro, forse ancora lontano, ci potranno essere nanorobot capaci di autoriprodursi. E se sfuggissero al controllo dell’uomo? L’ultimo romanzo di Michael Crichton, Preda, descrive proprio questa situazione con prospettive preoccupanti ma, almeno per ora, soltanto fantascientifiche. La ricerca, spinta da enormi interessi economici, procede ad una velocità ben superiore a qualsiasi previsione. E la nanotecnologia sembra destinata a segnare una svolta nella nostra società: «Sono d’accordo - dice Civera - ma non sarà domani. Pensiamo al tempo passato dall’invenzione della stampa al quotidiano, al libro tascabile. Le nanotech entreranno in modo lento e discreto nei prodotti di ogni giorno, li miglioreranno e forse ne apprezzeremo quasi distrattamente la miglior qualità. Del resto si basano su (nano)cose che non si vedono».