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 2005  aprile 28 Giovedì calendario

Moody Rick

• New York (Stati Uniti) 18 ottobre 1961. Scrittore. Inserito dal ”New Yorker” tra i venti autori destinati a segnare la letteratura americano di questo secolo, si è formato sotto la guida di maestri come Robert Coover e Angela Carter. Ha esordito nel 1991 con il romanzo Garden State che gli è valso il Pushcart Press Editors’ Book Award. A seguire ha pubblicato Tempesta di ghiaccio (1994), portato sul grande schermo dal regista Ang Lee, e La più lucente corona di angeli in cielo (1995), splendida e struggente novella che ha segnato un punto di svolta e aperto la strada alla prosa elaborata e musicale di Rosso Americano nonché al celebrato Demonology, racconto di tetra perfezione ispirato a Halloween e al tragico incidente che costò la vita alla sorella. Paragonato spesso a Cheever e Updike, grande ammiratore del genio dimenticato di Stanley Elkin, ossessionato dal senso di colpa, affascinato dai legami tra caos e fatalità, Rick Moody afferma che dietro il suo modo di intendere la scrittura ci sono «L’idea modernista che tutto è possibile, l’idea postmoderna che ormai tutto è stato già detto, l’idea post-postmoderna che dal momento che tutto è stato già detto, tutto è permesso». In Italia i suoi libri sono pubblicati da Bompiani e minimumfax. «[...]quello del camuffamento è un tema ricorrente nell’opera di Rick Moody. Che siano i costumi disneyani di Demonology o la ”maschera di pollo” dell’uomo sandwich della Villa sulla collina o le ipocrisie dietro cui si nasconde la famiglia di Tempesta di ghiaccio, per un verso o per l’altro, Moody ha sempre parlato di ”veli neri”, di dissimulazioni tese a nascondere macchie e peccati che l’individuo sente di dover scontare in eterno come una maledizione. Qualche anno fa ha perfino ideato un fumetto in cui immaginava se stesso prendere a nolo un corpo che gli facesse le veci nella vita. La storia proseguiva con il corpo che, non reggendo allo stress di impersonare un’altra persona, comincia a dare di matto. Ma al di là delle tante variazioni sul tema, il ”vero” velo è per Moody un modo di scrivere. Mimetizzando l’autobiografia nella finzione e viceversa, stilando lunghi elenchi di oggetti e sensazioni, ponendo sfilze di dubbi e domande, egli dà vita a una prosa che sembra procedere a tastoni. ”Un individuo non è fatto di pensieri semplici e trasparenti. L’interno di una coscienza è sempre in disordine, come una libreria con tutti i volumi fuori posto”. Moody si orienta in questo labirinto rifiutando strutture prestabilite, si lascia andare al flusso della voce interiore e mette ordine attraverso processi spesso intuitivi, quasi rabdomantici. [...] uno scrittore che si sente americano fino al midollo, ovvero uno a cui piace schiacciare i tasti del telecomando quando guarda la tv, uno che a volte non riesce né vuole distinguere tra cultura alta e cultura bassa, uno a cui è capitato più di una volta di mettere piede in un centro commerciale. [...] Egli è talmente scoperto nelle proprie intenzioni da mettere tranquillamente in mostra anche la parte che gli scrittori tendono in genere a fingere di non vedere: il loro strisciante e malcelato narcisismo. Egli ammette senza troppi problemi che depressione, alcolismo, solipsismo e tormenti vari presuppongono una discreta componente di vanità se li usi per fare colpo sugli altri, per darti un tono, un’immagine maledetta dietro la quale nascondere altri e più autentici peccati. [...]» (Tommaso Pincio, ”il manifesto” 27/4/2005).