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 2004  luglio 30 Venerdì calendario

POLLIO Claudio.

POLLIO Claudio. Nato a Napoli il 27 maggio 1958. Lottatore. Medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1980. «Nella sua casa di Secondigliano la medaglia d’oro è incorniciata insieme al diploma in cirillico. ”Dopo la vittoria a Mosca Sandro Pertini mi fece cavaliere. Solo che ero disoccupato e quando uscì sui giornali, il presidente mi chiamò a casa. ”Ma è vero?”, mi chiese. Certo, gli risposi. Era furioso, fece qualche telefonata, due ore dopo ero un impiegato della Banca di Roma”. La vicenda sportiva di Claudio Pollio, lottatore e digiunatore, è tutta racchiusa in cinque anni, fino all’81, quando a 23 anni, campione olimpico in carica di lotta libera, categoria 48 kg, lasciò travolto dagli eventi. ”Una storia sentimentale sbandata e i litigi con la federazione”. La seconda parte della storia è più o meno questa: il suo peso naturale era intorno ai 56 chili, come un altro compagno di lotta. ”Ma i federali volevano che io facessi i 48 e lui i 52”. A perdere peso c’è da perdere il senno ed è comprensibile che Claudio abbia mandato all’aria la sua carriera per un chilo in più o in meno. Tutta la sua breve storia è fatta di digiuni, sofferenza, grammi da smaltire, notti a sudare alla vigilia delle gare. Lui è piccolino, ma 48 kg sono davvero pochi. ”Mi ricordo quante volte alla fine di un match sarei voluto rimanere con le spalle sul materasso e dire, mi mangio tutto”. E nonostante i digiuni la sua è stata sempre una lotta aggressiva, instancabile, che sfiancava gli avversari. Chissà dove trovava le energie. ”Ero un lottatore naturale, la lotta è una cosa naturale, lo vedi dai ragazzi fuori della scuola, che fanno le mosse che poi si rifanno sul materasso. Avevo cominciato come ginnasta, spinto da mio padre che ha voluto che tutti noi cinque figli facessimo sport. E sono stato io per primo a usare gli esercizi di ginnastica come riscaldamento per i combattimenti”. Inizia a lottare a 16 anni e mezzo, a 17 è già campione italiano, a 18 va alle Olimpiadi di Montreal per fare esperienza e si piazza nono. ”Vinsi due incontri, tutto mi riusciva facile. Avevo forza, elasticità, resistenza. Doti naturali, quelle fisiche, come quelle tecniche”. Intanto comincia il calvario del peso. ”Dovevo sempre calare sette-otto chili. Settimane di digiuno prima delle gare. Giorni senza bere. Una sopportazione infinita. Il tutto con tre allenamenti al giorno. E la mattina, quando mi alzavo, vedevo le stelle per la debolezza”. Ma ha dentro di sé una determinazione inflessibile. ”Venivo da uno dei peggiori quartieri di Napoli, per me era importante, viaggiare, vedere il mondo. Si sapeva che quella era la mia categoria, per la mia altezza e il campo di gara. La vigilia delle gare era quasi impossibile dormire. E ancora adesso ho gli incubi, docce che perdono, rubinetti che gocciolano”. E lui che non può bere. Anche alle Olimpiadi, ogni mattina alle 8 c’era il peso: e a quell’ora bisognava pesare meno di 48 kg. ”E la notte la passavo a correre, per smaltire qualche grammo d’acqua bevuta dopo i combattimenti”. Così stanco, disidratato, digiuno, Pollio inizia il suo torneo olimpico a Mosca. ”Il primo incontro l’ho perso contro un indiano. Mi chiamarono all’improvviso, non mi ero riscaldato, lui era alto snello, non riuscivo a entrargli dentro. Persi per nervosismo senza neanche sudare”. Vennero un mongolo e un polacco, battuti nettamente. Poi venne il nordcoreano. ”Ci si rese conto dopo che era il più forte di tutti. All’inizio perdevo per 3-0, ho sempre sofferto gli asiatici, la loro lotta d’equilibrio. Li prendi per una gamba, gli altri cadono loro restano in piedi sull´altra. Finì il primo tempo, quando abbiamo ripreso cominciai a recuperare qualche punto. Lui era compatto, muscoloso, io facevo finte, cercavo di inventarmi qualcosa. Gli porsi un braccio, lui mi fece volare sopra di sé, sarei dovuto ricadere di schiena, invece mi girai in volo, una mossa da ginnasta, gli ricaddi davanti e gli presi le gambe in basso. Lotta di pura fantasia napoletana”. Il coreano cominciò ad accusare la rimonta. ”Perse fiducia, sbandava, non capiva. E sotto i miei attacchi prese tre penalità per passività e fu squalificato”. Un evento raro: il migliore accusato di passività, a questi livelli. ”Ma io attaccavo così tanto che l’arbitro aveva l´impressione che lui non volesse combattere”. La notizia che aveva vinto l’olimpiade gli arrivò mentre beveva litri d’acqua all’antidoping. Il coreano aveva schienato il russo Kornilayev, l’oro era di Pollio. ”Avevo fatto il torneo con una spalla che usciva, problemi ai legamenti del ginocchio, una costola incrinata. Quando i medici mi avevano fatto i raggi avevano deciso che dovevano ingessarmi. Ma un lottatore, quando è là sopra, non rinuncia mai, il dolore neanche lo accusa. Mi bendarono il ginocchio. Bendatemi l’altro, dissi, altrimenti mi colpiscono apposta. ”Ma tu zoppichi dall’altra parte” mi dicevano. Ma l’avversario non farà in tempo ad accorgersi dove zoppico davvero, gli risposi”. Adesso è il tempo dei rimpianti per una carriera che di fatto finì lì. ”A Los Angeles, nell’84, vincere sarebbe stata una passeggiata, senza tutti gli orientali che boicottavano. Ma io ero stato squalificato”. Lui orgoglioso, la federazione inflessibile, accuse da una parte e sanzioni dall’altra, la conclusione fu un talento purissimo perso nel nulla. Forse bisognava essere più comprensivi con un tale digiunatore. Anni fa insegnò a Pino Maddaloni qualche segreto sulla lotta a terra. Il resto è qualche cliente dubbio preso per la collottola e portato fuori dalla banca» (Corrado Sannucci, ”la Repubblica” 30/7/2004).