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 2004  luglio 28 Mercoledì calendario

Elio Vittorini e Rosa Quasimodo (sorella di Salvatore) furono protagonisti nel 1927 di una ”fuitina”: ventidue anni lei, diciannove lui, erano entrambi figli di capistazione e abitavano nella stessa palazzina alla stazione di Siracusa

Elio Vittorini e Rosa Quasimodo (sorella di Salvatore) furono protagonisti nel 1927 di una ”fuitina”: ventidue anni lei, diciannove lui, erano entrambi figli di capistazione e abitavano nella stessa palazzina alla stazione di Siracusa. Il futuro scrittore, irrequieto, fu spedito da una zia di Benevento per darsi una calmata e pensare agli studi, ma si rifiutò e dopo aver tentato invano l’arruolamento in aeronautica tornò a casa. Scrisse Rosa in un libro di memorie (Tra Quasimodo e Vittorini, Lunarionuovo, 1984): «Era un giovane estroso, ricco di fermenti, che faceva letture importanti. Ci scambiammo spesso dei libri. Sentii subito che era scrittore nato, da piccole cose acquistai fiducia nelle sue possibilità... Ci frequentavamo, io gli parlavo di mio fratello poeta, lui delle sue aspirazioni». Certe sere andavano a casa Vittorini, dove il padre di Elio leggeva le sue poesie: «Una volta mi voltai a guardarlo sentivo il suo sguardo intenso su di me, e mi accorsi improvvisamente che era bello, bellissimo, i capelli dorati e gli occhi a mandorla. Avevo una spilla sulla scollatura, lui non mi parlò, ma mi premette forte la spilla fino a lasciarne il segno sulla pelle. Un’altra volta che portavo un berretto con dei fiori rossi, mi staccò di nascosto un fiore per conservarlo». Cominciarono a scambiarsi bigliettini: «Le prime tenerezze me le rubò sulla soglia di casa, mentre i miei ignari di tutto in quell’ora stavano ad innaffiare le piante e non potevano sorprenderci. Veniva un attimo con un libro in mano. L’amore nacque in me, ma per farmi soffrire: era irrealizzabile. E così per paura che mi sposassi, architettò tutto un piano di fuga. Non c’era altro mezzo [...] Una notte d’agosto, presi accordi, mi aspettò alla finestra della sua camera, attraversai scalza tutta la tettoia della stazione, ed entrai in casa sua, che era all’altro capo della mia. Con la complicità di suo fratello Ugo fuggimmo con una carrozza verso un alberghetto fuori città». Rifiutati dall’albergo, fecero l’alba sui gradini del teatro greco, poi, accompagnati in auto da un amico, raggiunsero Lentini, dove portarono a termine i loro propositi nella camera da letto di una trattoria. Il 10 settembre 1927 si sposarono: «Fu mio padre che decise per il matrimonio riparatore. Ma dovette lottare non poco per convincere mia madre, che voleva riprendermi in casa accettando il fatto compiuto, anche se una ragazza che aveva avuto una esperienza amorosa nessuno l’avrebbe più chiesta in sposa. ”Va bene, me la tengo io”, diceva mia madre». Ebbero due figli, nel 1951, la separazione.