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 1999  giugno 19 Sabato calendario

Mauro del Vecchio, comandante del contingente italiano in Kosovo: «Alla luce di quel che ho visto qui mi sono fortemente convinto: se prima ci poteva essere qualche dubbio, e non potevano non esserci dopo ottanta giorni di intensi bombardamenti, ebbene ora è stato completamente eliminato dopo aver constatato quanto è successo in Kosovo

Mauro del Vecchio, comandante del contingente italiano in Kosovo: «Alla luce di quel che ho visto qui mi sono fortemente convinto: se prima ci poteva essere qualche dubbio, e non potevano non esserci dopo ottanta giorni di intensi bombardamenti, ebbene ora è stato completamente eliminato dopo aver constatato quanto è successo in Kosovo. Non ho mai visto niente di simile». Lei è stato anche al comando dell’operazione italiana in Bosnia e dice di non aver mai visto niente di simile: cosa l’ha colpita di più? «Nell’area tra Pec, Decani, Djakovica, ci sono chilometri e chilometri di territorio completamente deserto, intere zone dove c’è una distruzione quasi totale e condizioni durissime per le popolazioni che sono rimaste». Si può parlare di uno sterminio da parte dell’esercito delle forze di Belgrado contro i civili? «Non posso dire esattamente cosa sia successo, ma qui è avvenuto qualcosa di biblico: non c’è più nessuno». Da qualche parte si erano avanzati dei dubbi sui racconti dei profughi e si attribuiva ai bombardamenti della Nato questa fuga di massa: lei cosa ne pensa? «Posso dire che di tutto si è trattato, tranne che di un fenomeno dovuto ai bombardamenti: la distruzione delle case, di interi quartieri e villaggi, è stata chiaramente un’opera di distruzione compiuta ad arte, un’opera di distruzione sistematica attuata con mezzi come l’incendio e il cannoneggiamento. Nel racconto dei profughi non c’era nessuna esagerazione. L’opera di distruzione ha avuto proporzioni gigantesche, da lasciare esterefatti. Molti hanno abbandonato le case anche per il timore di violenze e rappresaglie, poi l’opera di demolizione è stata allargata per impedire il ritorno, esattamente come è successo in Bosnia».