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 2002  marzo 11 Lunedì calendario

Cuban Mark

• . Nato a Pittsburgh (Stati Uniti) il 31 luglio 1958. «Per ottenere disciplina da un giocatore Nba, bastava dirgli: ”Metti la testa a posto, oppure ti spediamo a Dallas”. Dallas, due milioni di abitanti nel cuore del Texas, città nota per i suoi ricchi petrolieri, il clima non proprio eccitante, una grande passione per pistole e football americano. Il basket non ha mai incantato nessuno e un solo titolo è arrivato da queste parti, però più a sud, nella pittoresca San Antonio. Fino a pochi anni fa i coach , quando preparavano le trasferte a Dallas, si preoccupavano soprattutto di prenotare una cena al ”Salve”, ristorante toscano di lusso, oppure di passare al celebre Martini Ranch, luogo frequentato, si narra, dalle donne più belle d’America. Di preparare la partita, neppure parlarne: a Dallas si vinceva facile. Il record degli ultimi 5 anni? 156 vittorie e 222 sconfitte. Ventiduesimo posto tra le 29 franchigie Nba. Poi è arrivato Mark Cuban, proprietario-mecenate, e le cose sono cambiate. Oggi Dallas è la terza squadra per rendimento e tanti giocatori farebbero carte false per vestire la sua maglia. I Mavericks sono la squadra che segna di più: la media di 104 punti a partita è impressionante. Come se non bastasse, ha dato il via a una girandola di mercato che ha portato in Texas un pugno di grandi tiratori, come Van Exel (ex Lakers e Denver) e LaFrentz (Denver): ora nel quintetto base ci sono quattro giocatori con medie superiori a 19 punti a partita. Già, ma chi difende? ”Ognuno farà la sua parte - spiega il vulcanico Cuban -, l’importante è segnare tanto. Gli avversari sanno che per batterci devono farcene un sacco...”. Questa la filosofia che ha travolto i rigidi schemi della Nba, un’organizzazione di cui Cuban non ha una stima profonda. Tanto che nel 2000/2001 ha pagato 500 mila dollari in multe per le sue sparate irriverenti. Non gliene importa nulla: è così ricco che di squadre potrebbe averne tre. Questa sfacciataggine è anche la chiave del successo dei Mavericks, che molti vedono come credibili avversari dei Lakers per il titolo. La storia di Cuban è tipica: a 40 anni vende due aziende Internet che ha fondato personalmente e diventa miliardario. ”Mi annoiavo, ma ero anche l’uomo più felice del mondo. Potevo avere una squadra di basket tutta mia”. Detto, fatto. Fa subito rumore, anche se giura che non metterà mai bocca nelle scelte del tecnico. Ma fa parlare perché va in panchina, offende gli arbitri e non bada a spese. Prova a contrattare Dennis Rodman e se lo mette in casa per assicurarsi che non faccia disastri. L’idillio non funziona, quindi lo caccia. Si trova bene con Don Nelson, l’esperto coach che non ha paura di sperimentare. Gli ridono dietro quando va a prendersi un giocatore tedesco (Nowitzki), un cinese (Wang), quindi un messicano (Najera) e un canadese (Nash). La febbre esterofila non si è spenta: la settimana scorsa è arrivato pure un francese, Abdul Wahad. La gente non ride più: Cuban è arrivato nel 1999. La squadra era a quota 9 vittorie e 21 sconfitte. Con lui ha vinto 31 volte e perso 21 e lo scorso anno è entrata nei playoff. Non solo: il pubblico è passato da 14.513 spettatori di media agli attuali 18.519, l’incremento più alto di tutta la lega. La cura del dettaglio e l’amore per i fan sono il biglietto da visita di Mark Cuban: ”Senza i tifosi, il campionato professionistico non esisterebbe”. Ha aperto persino una casella postale (mark.cuban@dallasmvs.com) per farsi dare consigli dalla gente. Storica è stata la e-mail di quel ragazzo che dal suo posto non riusciva a vedere il tabellone dei 24 secondi. Dopo una settimana Cuban ha fatto cambiare posizione. Se i tifosi ne hanno fatto già un idolo, i giocatori non sono da meno. A parte gli stipendi stellari, giocare per Cuban significa vivere in un batuffolo di cotone. Ogni armadietto di ciascun atleta ha a disposizione un lettore Dvd, una tv a colori, un computer portatile e altre amenità; il charter con cui vola la squadra sembra Disneyworld. Mark non ha paura di nulla: neppure di prendere sotto contratto giocatori con precedenti penali (LaFrentz) o attaccabrighe di professione come Van Exel. L’unica minaccia che Cuban vede sul suo cammino verso la gloria è rappresentata dagli arbitri: ”Spesso non sono all’altezza. Se mi picchiano Nowitzki e loro non fischiano, è come se qualcuno infilasse le dita dentro un hamburger di McDonald’s e il padrone non facesse nulla per evitarlo”. Non è detto che vincerà il titolo, ma un risultato lo ha ottenuto. I giocatori continuano ad aver paura ad andare a Dallas: ma stavolta sono gli avversari» (Riccardo Romani, ”Corriere della Sera” 4/3/2002).