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 2002  marzo 11 Lunedì calendario

DONINELLI

DONINELLI Luca Leno (Brescia) 31 marzo 1956. Scrittore. Critico letterario. Laureato in filosofia all’Università cattolica con una tesi su Michel Foucault. Fra i suoi ”maestri” il prozio Ottone Rosai e Giovanni Testori. Esordio nel 1990 con il romanzo I due fratelli. Tra i suoi libri più conosciuti La revoca (1992), finalista al premio Campiello, e Talk Show (1996). Ha pubblicato anche un libro per ragazzi , El Pavarott ecc. • «Studiare Foucault significa entrare nel vivo delle relazioni tra sapere e potere, e quindi essere consapevoli che tutto si traduce in un rapporto di forza e in un conflitto. Questa premessa per dire che Luca Doninelli, laureatosi a Milano sul filosofo francese, doveva essere ben cosciente di queste dinamiche fin da quando scrisse il suo primo libro, I due fratelli (Rizzoli), del 1990, in cui appena trentaquattrenne raccoglieva una coppia di romanzi brevi. Un libro che immediatamente abbagliò la critica per la sua densità etica e tragica. [...] ”Il mio grande amore, in realtà, era Barthes, che per me resta il maggiore critico del Novecento, perché è attraversato dai suoi condizionamenti e dalle sue contraddizioni: un uomo di sinistra il cui impegno è estraneo alla sinistra [...] Foucault mi appassionava più per La nascita della follia: in tutto il nouveau roman non ho mai letto niente di più folgorante di quel capitolo iniziale su Las Meniñas. stato un grandissimo scrittore, con un approccio archeologico alle cose di cui parla e una sua forza disincantante”. La lezione dello strutturalismo? ”Mi ha insegnato che uno scrittore è fatto di continuità e che non bisogna mai fidarsi del tutto del proprio intuito: un atteggiamento che viene da Cartesio, avere sempre un certo sospetto su quel che gli occhi vedono [...] Non può esserci scrittura senza impegno civile, la parola deve avere sempre un carattere morale, anche se nell’atto di scrivere non sai mai bene dove sta la moralità. La scrittura può dire su tutto: il tuo particolare, su cui ti impegni, deve trovare una dimensione universale. Questo lo capisci meglio sotto i regimi totalitari: uno scrittore come Andrei Sinjavskij ebbe dei guai non perché parlava male del regime sovietico ma perché, metti, parlava di fiori. Veniva accusato di essere un nostalgico e un reazionario perché parlava di apparenti estetismi [...] come critico teatrale a un certo punto mi sono stufato di vedere sempre Berlusconi, in tutti i testi [...] Testori scrisse molte cose di impegno civile e politico, pur non parlando di politica. Il suo anarchismo forse coincideva con il mio: siamo diventati amici anche per questo”. Anche la dimensione religiosa appartiene alla scrittura di Doninelli. Come a quella di Testori, che il giovanissimo Luca conobbe nel ’78. Un’altra forma di impegno: ”Gli scritti d’arte di Testori sono forse il suo punto più alto. C’era sempre una tensione etico-religiosa: una difesa dell’altro che è come lo vuole Dio, non come lo immagino io, un’accettazione della diversità. Ma credo che qualunque scrittore abbia, a suo modo, una dimensione religiosa, anche quando la nega: persino Euripide e Stendhal. Per Testori non era tanto una questione spirituale, ma una continua battaglia religiosa contro l’astrazione, una battaglia a difesa della carne contro lo spiritualismo: questo ti fa essere contro tutte le utopie tiranniche. Anch’io odio le astrazioni” [...] Le vere passioni di Doninelli però sono altre. ”Gadda è una fonte di gioia inesauribile, una sua pagina può dar senso alla mia giornata”. Tra i narratori d’oggi? ”Leggo poco i romanzi italiani. Posso dire che mi piace Aurelio Picca, perché nel suo italiano ritrovi Foscolo e Malaparte. Mi piace anche Sandro Veronesi, dove però trovi di più Ian McEwan. E poi ci sono gli stranieri: in Naipaul c’è un’intelligenza impressionante. Rimanere emozionati da un romanzo mi sembra un po’ pochino. Io sono sempre più attratto dal’’intelligenza, dall’illuminazione, dalla conoscenza. Le correzioni di Franzen danno ragione dell’esistenza del romanzo, sono una grande tragedia, i Lambert siamo noi, come eravamo noi i Buddenbrook. Mi colpisce molto il fatto che nella letteratura americana d’oggi, anche la più trasgressiva, la famiglia sia un’ossessione molto presente». Gli altri autori di Doninelli, quelli che hanno una ”dimensione assoluta”, sono: Cormac McCarthy, Kenzaburo Oe, Chaim Potok. Strano tipo, Doninelli, se è vero che in lui convivono l’amore per Volponi e l’adesione a Comunione e Liberazione. ”Sono di Cl da quando avevo 14 anni e ogni volta che l’ho fatta, questa dichiarazione di appartenenza mi ha portato solo danni. Ma non fa niente, non posso cambiare mamma. Giussani è uno di quei geni che, se lo incontri, ti cambia la vita. un destino, se non l’avessi conosciuto non sarei neanche cristiano. Mi ha fatto capire le implicazioni di Gesù Cristo in ogni vero moto umano, dall’amore per una donna alla scrittura”. Doninelli, ciellino di sinistra? ”Mio nonno era comunista, mio padre di centrosinistra. Io non ho mai potuto essere di sinistra, perché la sinistra quelli di Cl non li ha mai voluti. Ciò non toglie che oggi ho una grande simpatia per Rutelli e per Bersani: ma noi non tendiamo a scegliere bensì ad assecondare le circostanze che ci si presentano, l’incontro con gli altri [...] Scrivo perché sono incuriosito da qualcosa. Non mi sono mai posto il problema di far agire la mia fede nella scrittura. Faccio i conti con le mie ossessioni, nel bene e nel male. Metto in gioco tutto me stesso, altrimenti non funziona. Come davanti a Dio, di fronte al quale dobbiamo mostrarci per quel che siamo, anche con la nostra stupidità e la nostra stronzaggine”» (Paolo Di Stefano, ”Corriere della Sera” 17/8/2005).