24 giugno 2002
Clementi Alessandro, di anni 28. Spilungone muscoloso, aria sbarazzina, capelli corti schiariti sulle punte
Clementi Alessandro, di anni 28. Spilungone muscoloso, aria sbarazzina, capelli corti schiariti sulle punte. Pizzaiolo con passato da tossicodipendente, la fidanzata morta tempo fa in un incidente stradale, la madre ricoverata in clinica psichiatrica, due sorelle, gestiva una pizzeria a taglio nel quartiere San Giovanni, Roma. Il padre, Clementi Mario, di anni 56, gli aveva intestato il negozio con l’idea di allontanarlo dalla droga, lo aiutava nel lavoro e ciononostante lo picchiava spesso e forte. Diceva che «l’ingrato» rubava gli incassi per comprarsi le dosi. Un’altra figlia, Daniela, di anni 29, sosteneva che invece era proprio il padre a sottrarre i guadagni per pagarsi cocaina, alcol e bische. Intorno alle 22 e 30 di giovedì 13 giugno, Mario prese uno dei lunghi coltelli usati per tagliare i tranci di pizza e con quello colpì il figlio per quindici volte, al cuore e al fianco. S’appoggiò poi allo stipite della porta a fumare una sigaretta, guardando la processione che intanto sfilava per festeggiare Sant’Antonio. Alle sue spalle, il corpo riverso di Alessandro, la lama infilata nella schiena, il grembiule sporco di sangue, un rivolo che si dirigeva pian piano verso l’uscita. A un certo punto, a una signora attonita per quel morto che vedeva attraverso i vetri della pizzeria, disse stizzito: «Lei adesso andrà alla festa. Io no, ho ammazzato mio figlio». In via Sanremo, al civico otto, di fronte a un comprensorio color ocra sbiadito, Roma.