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 2002  giugno 25 Martedì calendario

«Una proiezione delle Nazioni Unite di dieci anni fa indicava che un tasso di prolificità costante (ai livelli del 1992) avrebbe teoricamente prodotto una popolazione terrestre, nel 2150, di 694 miliardi di persone

«Una proiezione delle Nazioni Unite di dieci anni fa indicava che un tasso di prolificità costante (ai livelli del 1992) avrebbe teoricamente prodotto una popolazione terrestre, nel 2150, di 694 miliardi di persone. Sì, non scherzo: quasi settecento miliardi di uomini-formica (il conto è presto fatto: una crescita di 130 volte nell’arco di 160 anni). Ovviamente questa proiezione non è una previsione; è un esercizio numerico da tavolino. Perché un tasso di prolificità costante ci porterebbe a 22 miliardi già nel 2050; e quindi già allora la partita potrebbe essere chiusa con Terra e terrestri insieme al cimitero. Tra i 6 miliardi di oggi e i 22 sopra ipotizzati a quale livello la Chiesa vorrà ammettere che siamo in troppi e che occorre intervenire? difficile rispondere perché se la contraccezione è peccato, allora è peccato sempre, a prescindere da quanti siamo. Sarebbe peccato anche se fossimo 700 miliardi. Però la Chiesa distingue tra peccati capitali e peccati veniali, peccati sorvolabili. La contraccezione è diventata un peccato capitale (non parlo con proprietà teologica, beninteso) con l’enciclica Humanae vitae di papa Paolo VI del 1968. E nacque dal nulla, fu una sorpresa. L’enciclica era stata preceduta da tre anni di lavoro di una commissione vaticana nominata dal Papa che aveva concluso che il divieto di contraccezione non poteva essere ricavato né dalle Sacre Scritture né dalla tradizione, teologia e legge naturale della Chiesa. Questa «apertura» spaventò la Curia, e l’allora potentissimo cardinale Ottaviani convinse il Papa a disattendere le raccomandazioni dei suoi esperti. Ma se è bastato un cardinale Ottaviani per incastrare la Chiesa in una morta gora, forse un nuovo Papa può bastare a disincagliarla. Gli atti della commissione sul controllo delle nascite degli anni Sessanta (il cui segretario fu un domenicano svizzero, padre Henri de Riedmatten) sono sempre riesumabili. Giacciono negli archivi vaticani. Nel frattempo la Chiesa di papa Wojtyla ha trovato un sostegno, o meglio una via di uscita, nella tesi che la crescita demografica troverà un suo naturale punto di equilibrio e di arresto con l’educazione e lo sviluppo. Il noto e bravo missionario Piero Gheddo mi controbatte così: "La Chiesa dice: aiutiamo i poveri a svilupparsi e diminuirà anche la loro crescita demografica. L’educazione unita allo sviluppo è il solo metodo che funziona" ( Corriere del 20 giugno). Purtroppo no. Padre Gheddo si dimentica di precisare che i demografi prevedono che l’arresto "naturale" della crescita avverrà quando saremo 10-12 miliardi. E allora sarebbe tardi. Già oggi, a livello di 6 miliardi, siamo al limite di rottura degli equilibri ecologici. L’avvelenamento dell’aria è pericolosamente crescente anche a popolazione costante. Figurarsi quando entreranno in campo 1 miliardo e 500 milioni di cinesi "sviluppati" che sostituiscono la bicicletta con l’automobile. Nel 2050 la Cina inquinerà e surriscalderà l’atmosfera più degli Stati Uniti. A un altro estremo prendiamo la Nigeria, il più popoloso Stato africano (largamente popolato, al 40 per cento, da cristiani) che nel 1950 aveva 33 milioni di abitanti, e che ne avrà, si prevede, 250 milioni nel 2050. A quel momento i nigeriani saranno più ricchi e istruiti? No. Con ogni probabilità saranno più poveri e sottosviluppati che mai: il caso di uno sviluppo che è soltanto perverso, soltanto a somma negativa. Il dilemma è cornuto. Se lo sviluppo virtuoso (di padre Gheddo) riesce, allora il mondo umano distruggerà il mondo naturale: l’inquinamento diventa insostenibile, il clima ne viene sconvolto, la desertificazione avanza, l’acqua non basta. E se, invece, lo sviluppo virtuoso non riesce, allora resta solo un crescendo di prolificità che equivale a un crescendo di morti di fame. In un caso come nell’altro siamo al cospetto di uno sviluppo non-sostenibile, di una corsa insensata e perdente» (Giovanni Sartori).