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 2016  luglio 12 Martedì calendario


COLOMBO CI DICE PERCHÉ TIFA PER LA MANI PULITE BRASILIANA, MA SENZA ENTUSIASMI

Roma. “Il giudice Sérgio Moro? Per quel che ho sentito sta lavorando alacremente e con attenzione, e credo che i colleghi di Milano che lavorano con le sue rogatorie lo ritengano persona sensibile e corretta”. E’ Gherardo Colombo, protagonista di “Mani Pulite”, a dare questo giudizio sul magistrato brasiliano che ha dichiaratamente impostato sull’esempio di quella stagione italiana la “Operação Lava Jato” che sta facendo traballare il sistema politico brasiliano. Fino a una destituzione della presidentessa Dilma Rousseff che in teoria è ancora provvisoria, ma che probabilmente dopo la celebrazione delle Olimpiadi diventerà definitiva. “Piercamillo Davigo e io abbiamo conosciuto Moro a San Paolo, partecipando a un dibattito dopo il quale abbiamo cenato insieme. In quella occasione gli ho confidato una mia profonda convinzione basata sulla nostra esperienza italiana: è impossibile marginalizzare la corruzione attraverso indagini e processo penale, quando questa è diffusa capillarmente in larghissima parte della società. Parlando di ‘Mani pulite’, se si fosse trattato di una partita di calcio, tra l’indagine e la corruzione, potremmo dire che la corruzione ha vinto con punteggio largo. Difficile dire che adesso non ce ne sia più di prima”, ci dice Colombo nell’occasione di una sua conferenza all’Istituto dell’Enciclopedia Italiana. Un incontro dedicato alle sue esperienze in America Latina per una serie organizzata dall’Almanacco Latinoamericano di Donato Di Santo, in occasione del quale il Foglio ha avuto la possibilità di porgli direttamente qualche domanda. L’attestato di stima, però, si accompagna alla consapevolezza di non conoscere le indagini brasiliane in modo troppo approfondito: comparare situazioni di paesi differenti – ragiona Colombo – è sempre rischioso, anche se giornalisticamente allettante. “In Italia la corruzione che abbiamo scoperto costituiva un vero e proprio sistema, organizzato attraverso regole precise. Non ho sufficienti informazioni per dire che accada la stessa cosa in Brasile. Dove, d’altra parte, la situazione processuale è più complessa. Intendo dire che da noi sono emerse decine di migliaia di casi di corruzione, e poi falsi in bilancio collegati con la corruzione, finanziamenti illeciti ai partiti. Per quel che ho potuto capire Dilma Rousseff, per esempio, è indagata non per corruzione o concussione, ma per aver manipolato contabilmente il bilancio dello stato. Una specie di falso per anticipazione o posticipazione”.
Colombo non è affatto pentito del ruolo che ha svolto, e invita anzi a informarsi meglio a proposito di quelle che definisce “le leggende metropolitane su Tangentopoli”. “Gli arresti che colpivano in una sola direzione? Io ho interrogato in carcere vari appartenenti all’ex- Partito comunista. L’abuso di lunga custodia cautelare? Se c’è stata un’indagine in cui la custodia cautelare è durata mediamente pochissimo, è stata proprio quella di ‘Mani pulite’! Si possono contare sulle dita di una mano le persone che sono state custodite fino a sei mesi”. “La custodia cautelare in Italia è consentita se esistono gravi indizi di colpevolezza, e se serve a evitare i rischi di inquinamento probatorio, pericolo di fuga e reiterazione del reato. E’ considerato normale che il giudice delle indagini preliminari disponga la custodia in carcere di una persona che ha fatto tre rapine, se invece si tratta di chi è stato corrotto dieci volte, allora si dice che si abusa della carcerazione preventiva”. Però ammetterà che quel tipo di passione giustizialista che allora travolse gli italiani e ora travolge brasiliani non risolve i problemi: “E’ la via più semplice, più rassicurante. Si pensa: se ne occupino le forze dell’ordine, se ne occupino i magistrati. Però secondo me è dimostrato che non è questa la strada per risolvere il problema. Possiamo considerare Mani Pulite un esperimento scientifico: malgrado tutto l’impegno che vi è stato dedicato da magistratura e polizia giudiziaria, malgrado l’attenzione dell’opinione pubblica, oggi la corruzione in Italia è diffusa più o meno quanto allora. Sono cambiate alcune cose, credo sia crollato il livello del finanziamento illecito ai partiti. Però la corruzione si è mantenuta. E se uno strumento – la repressione penale – è inadatto, è necessario trovarne un altro”. Colombo, dopo trent’anni di carriera da magistrato penale, dice di aver capito che l’approccio penale è inadeguato. “‘Sfamali, e poi chiedi loro la virtù’, diceva il Grande Inquisitore di Dostoevskij. E’ molto difficile far capire che la corruzione è negativa, quando aiuta a sopravvivere. E poi il carcere così come è non solo non serve, ma è dannoso. Produce il 68-69 per cento di recidivi: due persone su tre che sono state in carcere ritornano in carcere dopo esserne usciti”. Dunque, più della repressione ci vuole l’educazione: “In Italia abbiamo alti livelli di corruzione, ma in compenso abbiamo bassi livelli di omicidio: su 60 milioni di persone, circa 500-600 l’anno. Noi in Italia non ci ammazziamo l’uno con l’altro, se non in quei limiti, non perché abbiamo paura della pena. Non ci ammazziamo perché pensiamo che ammazzarsi l’un l’altro non sia una cosa da fare”.
Maurizio Stefanini, Il Foglio 12/7/2016