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 2014  gennaio 29 Mercoledì calendario


UNA DECADENZA MUY ROSADA

Quando Cristina lasciò i mormoni senza mutande. Fu forse quello il punto di non ritorno verso la crisi del “Modello K”, come era stata definita la politica dei coniugi Kirchner, da quasi undici anni alla guida dell’Argentina. Lo scorso luglio arrivò un allarme dai membri della chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, che per colpa delle restrizioni all’import non potevano più acquistare i loro “garment”, il completo mutandoni-canottiera bianchi che si riceve al momento della cerimonia d’ingresso ufficiale nella comunità, con la dotazione completa, e che si può togliere solo per “attività come nuoto, fare la doccia, sport violenti, danze in costume e intimità fisica col partner”. Il “Modello K” ha assicurato per dieci anni un livello di crescita altissimo, ma ora traballa tra il crollo del peso, un’inflazione al galoppo, statistiche ufficiali truccate, crisi energetica, proteste di poliziotti, scandali a catena, irritazione popolare per le misure di contingentamento delle esportazioni. Insomma la sorridente e vincente Cristina nuota in un mare di guai, e rischia che a picco vada anche il ricordo dello splendore che fu. Una boccata di popolarità le è venuta sicuramente dalla ripresa della rivendicazione irredentista sulle Falkland; un’altra potrebbe esserlo la rinazionalizzazione della società petrolifera Ypf ai danni della spagnola Repsol: non fosse che poi l’Argentina si è rivelata incapace di valorizzare da sola i giacimenti non convenzionali di Vaca Muerta, e si è dovuto chiamare in soccorso l’americana Chevron. Poi ci sono gli hedge fund che fanno cause nei tribunali Usa per i default dei tango bond. La comunità ebraica è furibonda per il riavvicinamento in corso con l’Iran. Ci sono le infinite polemiche sul patrimonio di famiglia, che dall’inizio dell’èra K, nel 2003, è cresciuto da 7 a 89 milioni di pesos. Infine i problemi di salute misteriosi che hanno tenuta lontana Cristina Kirchner dalla scena pubblica proprio nel momento in cui venivano perse in modo disastroso le elezioni di medio termine e l’economia crollava. Salvo poi ricomparire, pochi giorni fa, con un fluviale discorso in stile Evita, mandando improperi via Twitter e facendosi acclamare da militanti che minacciavano “un quilombo” se qualcuno l’avesse toccata. Come dire “un casino”, o “un macello”. Ma intanto il lungo regno dei coniugi Kirchner iniziava a cedere su tutta la linea, a partire dalla finanza. Fino ad allora i sostenitori dei Kirchner avevano chiamato il periodo di governo dei coniugi Néstor Carlos e Cristina Elisabet la “década ganada”, la “decade guadagnata”, in contrapposizione alla “década perdida” della depressione latinoamericana degli anni Ottanta. La “década derrochada” è invece l’etichetta appiccicata agli anni dei Kirchner dagli oppositori, una “decade scialacquata”, che comunque dà l’idea di guadagni che ci sono stati, anche se impiegati male. Dal 25 maggio 2003 al 10 dicembre 2007 la presidenza di lui, dal 10 dicembre 2007 quella di lei, il 27 ottobre scorso i coniugi Kirchner hanno raggiunto – seppure com’è noto in condizione di vedovanza – i 3.808 giorni alla Casa Rosada, superando i 3.807 giorni con cui Carlos Saúl Menem aveva a sua volta battuto il precedente record di permanenza di Juan Domingo Perón. Sia i Kirchner che Menem si dichiarano peronisti, e Néstor fu battuto proprio da Menem alle presidenziali del 2003, sul filo di lana: col 22,24 per cento contro il 24,45. Ma fu subito chiaro che, al ballottaggio, il primo classificato non avrebbe avuto alcun appoggio, così che i suoi stessi colonnelli, pur di assicurarsi posti nella nuova amministrazione, lo convinsero a ritirarsi, determinando così una vittoria del secondo turno di Néstor Kirchner, per abbandono dell’avversario, destinata a restare unica negli annali della democrazia mondiale. Nel 2007 e 2011 Cristina è stata invece eletta a valanga, la prima volta con quasi il doppio dei voti rispetto al secondo classificato, la seconda più del triplo. “Pinguino” era soprannominato Néstor, per essere nato nella provincia meridionale di Santa Cruz, e che essendo di poco a nord della Terra del Fuoco ha appunto le spiagge frequentate dai tipici uccelli antartici, oltre a essere ricca di petrolio. E già nel 2004, dopo appena un anno di presidenza, un fumettista entusiasta aveva spiegato la sua storia ai bambini attraverso la favola di “Neki, il pinguino delle terre bianche”. Un animale cui le lezioni dell’orsetto Oco hanno insegnato la storia dell’Hornero Juan: uccello simbolo dell’Argentina, così chiamato per i suoi nidi a forma di forno, col nome di Perón. L’esempio di Juan e della sua sposa, l’allodola Eva, gli fanno capire la situazione dolorosa in cui vivono gli “uccelli fratelli” del resto dell’Argentina, oppressi dall’“aquila imperiale” George W. Bush. Eletto governatore di Santa Cruz, si dà da fare assieme alla moglie per arrivare al “Nido Rosa”. E lì lotta contro “uccellacci rapaci” e “genocidi”, mentre stormi di uccellini “volano verso la speranza”. Dopo la morte, Néstor sarebbe stato di nuovo trasformato in fumetto, disegnato come il famoso Eternauta: il personaggio che nella Buenos Aires degli anni 50 lotta disperatamente contro un’invasione di feroci extraterrestri. Una delle cose che più sono state rimproverate ai Kirchner è stata appunto quella di aver utilizzato le risorse pubbliche per farsi pubblicità a tutto spiano: dai diritti tv per le partite di calcio offerte a un canale pubblico in chiaro che faceva spot progoverno e cambiava il calendario apposta per dare le partite di cartello in contemporanea ai talk-show più critici, fino alla recente apparizione di una serie di 19 francobolli celebrativa delle realizzazioni della “década ganada”. Realizzazioni che ad ogni buon conto non mancano. Nell’ordine: il nuovo documento nazionale di identità digitalizzato; la legge sul matrimonio egualitario aperta ai gay che tanto dispiacque al cardinale Jorge Bergoglio; la già citata tv pubblica per le partite di calcio in chiaro; il “recupero delle imprese nazionali”; il “rimpatrio degli scienziati”; il credito per l’abitazione familiare; l’abrogazione delle leggi che concedevano l’impunità alle violazioni dei diritti umani durante il regime militare, e che ha portato a ben 370 condanne, compresa quella del dittatore dei desaparecidos Jorge Rafael Videla; l’introduzione del sistema delle primarie obbligatorie; la ristatalizzazione del sistema pensionistico; la legge sulla fertilizzazione assistita. L’assegno universale per figlio; il diritto di voto a 16 anni. Politiche altalenanti da big governement nazional-progressista, che ovviamente hanno istigato le opposizioni a creare una serie di dirompenti fake sulla “Repubblica Bananiera di Argentina”. Al di là della propaganda e delle polemiche, per , e al di là delle possibili perplessità sulla linea di laicismo accentuato che provocò le ire della chiesa, Bergoglio in testa, la crescita economica dell’Argentina con i Kirchner non è stata un fake. Naturalmente, nel contesto di un’America latina che ha conosciuto la sua crescita spettacolare quasi soltanto grazie alle materie prime. Ma il +5,8 per cento argentino di crescita media annuale è stato il quarto della regione, e ciò senza disporre delle risorse di petrolifere e minerarie di Venezuela, Cile, Bolivia, Perù, Colombia o Brasile. E’ vero che era difficile non tornare su, dopo che con la devastante crisi del 2001-’02 l’Argentina aveva toccato il fondo. Per , la crescita avrebbe potuto essere anche più lenta. Massiccia è stata anche la diminuzione della disoccupazione: dal 17,3 per cento al 7,9 del 2012. L’occupazione informale è stata pure ridotta dal 45,1 al 34,6 per cento; la povertà dal 54 per cento al 21, grazie soprattutto all’assegno concesso dal 2009 a 3,5 milioni di figli di disoccupati e lavoratori informali. Con la ristatizzazione del sistema pensionistico si è esteso il numero dei riceventi pensione dal 65 al 95 per cento dei maggiori di 65 anni. Malgrado la rinazionalizzazione della petrolifera Ypf, per la quale la spagnola Repsol ancora chiede 8 miliardi di euro di indennizzo, l’investimento straniero è salito da 1,652 a 12,551 miliardi di dollari. Anche l’investimento reale, nazionale e straniero, è cresciuto, dal 15 per cento del pil al 23 per cento. E dopo la ristrutturazione del 93 per cento del debito con una riduzione del 43 per cento del valore originale, il debito pubblico è diminuito dal 139,3 per cento del pil nel 2003 al 45,2 del 2012. Nella regione anche paesi in espansione come Brasile e Messico hanno medie molto alte di morti ammazzati, mentre in Argentina non va trascurato che con i Kirchner il tasso di omicidi si è dimezzato, da 7,6 a 3,4 per centomila abitanti, facendo dell’Argentina il secondo paese più sicuro dell’America latina. Eppure, l’indice di sviluppo umano dell’Onu in Argentina è peggiorato: nel 2003 l’Argentina era il 43esimo paese al mondo, ora è il 45esimo. E poi c’è lo scandalo sulle cifre dell’inflazione manipolata, foriere di pesanti ironie sul debole per il maquillage che Cristina Kirchner ha sempre mostrato di prediligere fin dalle sue foto giovanili. Come dire: trucca le statistiche allo stesso modo in cui si trucca il viso… Nella sua biografia c’è d’altronde la storia del 26 luglio 1982, quando si risvegliò in ospedale dopo un incidente automobilistico dovuto a una frenata su una strada ghiacciata: la prima cose che fece fu di chiedere, strillando, uno specchio, per appurare come fosse ridotto il volto. “Signora, lei è sempre bellissima!”, dovette rassicurarla il chirurgo per evitare crisi isteriche. Ma il problema è strutturale. Subito dopo la crisi del 2001-’02, a rilanciare la competitività argentina era stata infatti la radicale svalutazione rispetto al regime di parità col dollaro che all’epoca di Menem aveva sì permesso agli argentini di spendere e spandere, ma consumando le riserve che erano state raccolte a colpi di privatizzazioni. In qualche modo, è lo stesso tipo di choc salutare invocato da chi nell’Italia di oggi chiede la fuoriuscita dall’euro. Il fatto però e che dopo un po’ la stessa ripresa economica ha favorito una ripresa del peso, che ha cancellato quel vantaggio: così le amministrazione kirchneriste hanno iniziato a sostenere la produzione interna con un regime protezionista sempre più severo, che ha fatto infuriare gli stessi partner del Mercosur, ma che impedendo agli argentini di comprare all’estero ha fatto impennare l’inflazione. Non era mai scesa in realtà sotto il 10 per cento, ma nel 2012 è arrivata al 22,8. Dal 2011 l’economia ha iniziato così ad andare in panne e la disoccupazione è tornata ad aumentare. Ma il grande campo di battaglia che ha gettato nella polvere i fasti del Metodo K è stato soprattutto quello del cambio, quando, subito dopo il suo secondo trionfo elettorale il 28 ottobre 2011, Cristina ha introdotto il cosiddetto “cepo al dólar”. Cioè, un regime per cui nessuno poteva più comprate valuta estera per risparmi e acquisti di abitazioni, secondo una storica abitudine degli argentini. E anche alle società straniere è stato impedito di rimpatriare gli utili. Da una parte, infatti, con la malattia di Chávez e le crescenti difficoltà economiche del suo regime, stava venendo meno quel massiccio finanziamento con cui il Venezuela aveva supplito alla difficoltà dell’Argentina di finanziarsi sui mercati internazionali del credito dopo il brutto scherzo giocato ai risparmiatori con il default. Dall’altra, l’Argentina è stata colpita da una crescente scarsità di risorse energetiche, che la rinazionalizzazione dell’Ypf non è riuscita a risolvere e che ha provocato una drammatica fuoriuscita di valuta. Infine, ciò che ha creato un forte disagio e tensione sociale, con l’inflazione elevata, l’unico modo per non rimetterci erano per l’appunto e soltanto i risparmi in valute forti. Sono così comparsi gli “arbolitos”, gli “alberelli”: gente vestita di verde, da cui il nome, che assedia i turisti per comprare divise straniere a qualunque prezzo. O le “cuevas”, le “caverne”, luoghi dove si traffica in valute pregiate sotto banco. Il “dólar blue”, espressione politically correct per non definirlo “nero”, nell’ottobre del 2011, quando il “cepo” è stato introdotto, stava a 4,49 pesos, contro i 4,24 del cambio ufficiale. Lo scorso maggio, quando ha oltrepassato quota 10 dollari, è stato ribattezzato “dólar Messi”: dal numero 10 della maglia del Pallone d’oro. Ma, come dicevamo all’inizio, forse il momento in cui il sistema ha toccato il punto di non ritorno è stato quando i mormoni hanno protestato perché non gli si permetteva più di importare un tipo di abbigliamento che in Argentina non è prodotto. Senza mutande. Poi il 25 ottobre scorso Cristina Kirchner ha celebrato il suo record di durata con la disfatta elettorale delle elezioni di medio termine. Un secondo picco di grottesco lo si è poi toccato il 15 gennaio, quando è stato divulgato l’esito di diciotto mesi di indagini delle agenzie federali statunitensi su un allarme relativo a una enorme quantità di denaro “deteriorato” in provenienza dall’Argentina, che faceva temere chissà quali intrecci di narcos o terroristi. E invece si è scoperto che quei 4.245.800 dollari in banconote rovinate venivano sì da denaro ammassato in contanti, non per a opera di criminali, ma di argentini che lo avevano nascosto letteralmente nei materassi. Infine, il colpo finale alla credibilità politica di Cristina Kirkner è arrivato dalla guerra ad Amazon ed eBay: il 21 gennaio è scattato per gli argentini il divieto di farsi recapitare gli acquisti a casa, imponendo invece di andarseli a prendere alla dogana, onde pagarci sopra un 50 per cento di dazio; il giorno dopo, si è decretato di limitati gli acquisti via internet a non più di due all’anno. Risultato, il peso è crollato del 13,9 per cento in due giorni e il 24 gennaio il governo ha dovuto annunciare che di nuovo gli argentini sarebbero stati autorizzati a comprare online fino a 2.000 dollari. Effetto Tango è stato chiamato questo botto, che ha fatto tremare le Borse di tutto il mondo, e in cui in due giorni è andato in fumo un anno di entrate fiscali dall’export di carne e grano argentini. Dall’Avana, dove si trovava per il vertice della Celac, Cristina Kirchner se l’è presa via Twitter con le banche e i fondi speculativi, accusandoli di voler “far mangiare minestra con la forchetta”. In realtà, già da tempo gli analisti avvertivano che con la ripresa in Europa e in nord America, e con l’avvio di una stretta della Fed sulla politica monetaria americana, molti capitali che in questi anni erano finiti nei paesi emergenti sarebbero rifluiti a nord, o verso i paesi privi di rischio, e che l’Argentina, ancora sofferente per i postumi del default, era condannata a essere uno dei primi paesi a subire il contraccolpo che si sarebbe fatto sentire. In più, c’è un chiaro problema di esaurimento della leadership politica, evidenziata dalla sconfitta del governo nelle elezioni di medio termine. Quasi a somatizzare questo disagio diffuso, questo tramonto del kirchnerismo politico ed economico, ci sono infine i problemi di salute che hanno tenuto Cristina lontana per trentacinque giorni e in modo anche un po’ misterioso, stridente nell’epoca della massima trasparenza della politica e della comunicazione via Twitter, da ogni atto e presenza pubblica. Così come un ulteriore segnale è la rinuncia, almeno al momento, di tornare alla carica sulla riforma costituzionale che avrebbe potuto consentirle di candidarsi per la terza volta, dopo che la Corte costituzionale argentina ha bocciato il progetto. La Kirchner sta ora provando a rispondere alla crisi con un’evoluzione morbida della sua amministrazione, che andrà forse oltre la flessibilizzazione del “cepo”. Al di là della passione di Cristina per il maquillage e del suo terrore di non piacere, è il peronismo in se stesso a essere un’ideologia del cambiamento continuo, che in qualche modo evoca le flessuose piroette del tango: dalle simpatie mussoliniane del primo Perón al mito populista di Evita, dallo scontro degli anni 70 tra una sinistra peronista guevarista e una destra golpista alla svolta cristiano-sociale degli anni 80, dal thatcherismo di Menem alla sinistra un po’ lulista e un po’ chavista dei Kirchner. Probabilmente sta arrivando il momento di una nuova piroetta. Ed è noto che i suonatori tradizionali di tango non seguono spartiti, ma improvvisano a orecchio.
Maurizio Stefanini