BELGRADO - Il maresciallo Tito è entrato in una clinica di Lubiana alle 21,10 per sottoporsi a un intervento chirurgico «sui vasi sanguigni alla gamba sinistra». Il ricovero in ospedale segue di poche ore un comunicato dei suoi 8 medici curanti, diffuso dalla «Tanjug» in cui veniva raccomandato un intervento d’urgenza. Pochi minuti dopo la diffusione di quel comunicato, Tito riceveva i massimi dirigenti dello Stato. La malattia di Tito coincide con una situazione interna molto complessa: la crisi economica — la più seria degli ultimi vent’anni — ha riproposto il problema del funzionamento dell’autogestione e ha provocato un acuto conflitto tra il governo centrale e quelli delle singole repubbliche autonome. Stane Dolane, l’onnipresente ex-segretario generale della Lega dei comunisti, ha detto ai suoi connazionali che il falso benessere degli anni scorsi sta presentando a tutti un conto salato che dovrà essere pagato se si vorrà evitare la bancarotta completa.Ma anche la situazione internazionale procura preoccupazioni: dopo l’iniziale sbandamento provocato dal trauma afghano, la direzione politica jugoslava ha preso netta posizione contro l’intervento armato sovietico e ciò le ha procurato una sdegnata risposta di Mosca: la Tass ha messo la Jugoslavia «tra i Paesi che alle Nazioni Unite hanno appoggiato gli Stati Uniti e condannato L’Unione Sovietica; dandole cosi implicitamente l’attributo di avversaria delle cosiddette forze amanti della pace. (Ettore Petta sul Corriere della Sera)
BELGRADO — Il maresciallo Tito, che compirà 88 anni a marzo, operato nella notte tra sabato e domenica ad un’arteria della gamba sinistra, si sta rimettendo in maniera soddisfacente. L’operazione, limitata alla parte inferiore della gamba, consisteva nella sostituzione della parte malata di un’arteria. Questa notizia smentisce una voce diffusa prima dell’operazione secondo la quale la gamba del presidente Jugoslavo avrebbe dovuto essere amputata. Il cardiochirurgo Miro Kosak, che ha eseguito l’intervento, al centro clinico di Lubiana, si è dichiarato soddisfatto di come l’illustre malato reagisce ai postumi dell’operazione: non ha febbre e il polso è normale.Portato in ospedale sabato sera, il maresciallo Tito è stato operato d’urgenza nella notte perché il suo stato di salute non era migliorato: malgrado le cure intensive prescritte dai medici curanti il 3 gennaio scorso. Ieri mattina sono giunti alla clinica di Lubiana centinaia di telegrammi augurali. Il segretario del Partito comunista italiano, Berlinguer, ha inviato un telegramma alla presidenza della Lega dei comunisti di Jugoslavia augurando a Tito pronta guarigione.Un’ala intera è stata riservata per il maresciallo nell’ospedale di Lubiana che è il più moderno della Jugoslavia. In questo posto Tito si è sempre recato in passato per i normali esami medici. Tutta l’équlpe medica che ha l’incarico di curarlo è al suo capezzale. Anche il «numero due» dello Stato si è trasferito a Lubiana. Il Maresciallo era stato ricoverato il 3 gennaio per 48 ore nello stesso ospedale. Ufficialmente allora si disse che doveva essere sottoposto ad alcuni esami. (dal Corriere della Sera del 14 gennaio)
BELGRADO — L’intervento chirurgico al quale il maresciallo Tito era stato sottoposto domenica mattina non ha dato il risultato sperato. I medici avevano tentato di agevolare l’irrigazione sanguigna della gamba sinistra mediante un’arteria artificiale, ma l’operazione non è riuscita. La sensazione diffusa a Belgrado è che dai primi di gennaio, dai giorni cioè del primo ricovero in clinica, le condizioni di salute del maresciallo non siano affatto migliorate. In quei giorni, dopo le analisi e i consulti con specialisti di fama mondiale, come l’americano De Backey, pareva legittimo un certo ottimismo e lo stesso specialista americano aveva espresso la speranza che un trattamento a base di farmaci sarebbe stato efficace per riattivare la circolazione sanguigna dell’arto. Tra i tanti documenti prodotti in quest’occasione, quello sulla mobilitazione, diffuso venerdì della scorsa settimana dalle presidenze della repubblica e del partito, ha avuto l’effetto di una precisa parola d’ordine: l’eco è rimbalzata nelle singole repubbliche e province autonome dove si è sviluppata una sequenza impressionante di riunioni a tutti i livelli fino a quelli più bassi delle sezioni locali di partito e dei consigli locali della difesa territoriale. Nelle fabbriche e in tutte le altre istituzioni sono stati introdotti turni di vigilanza. Le licenze ai militari sono state sospese. Quando aveva varato il sistema della sua successione — la direzione collegiale — dandogli forza di legge, Tito non aveva probabilmente previsto che il suo collaudo poteva avvenire in mezzo a un rigurgito di guerre fredde capaci di mettere a dura prova la saldezza di nervi dei dirigenti jugoslavi e la robustezza delle strutture portanti dello Stato (Enrico Petta sul Corriere della Sera)
BELGRADO — La gamba di Tito peggiora e un secondo, radicale, intervento chirurgico sembra imminente. Vladimir Bakaric, il numero due della gerarchia jugoslava, si trova a Lubiana per tenersi in contatto diretto con i medici che curano il maresciallo. L’amputazione presenta rischi e anche i risvolti politici di una decisione che si apre sull’incertezza devono essere tenuti in considerazione. Tito in sostanza sta superando gli effetti dell’anestesia e la febbre è stata domata con i medicamenti, ma la malattia alla gamba oggi impedisce la guarigione e domani potrebbe aggredire definitivamente l’intero organismo.Gli organi di sicurezza del Paese cominciano a dare segni di nervosismo: ovunque sono stati intensificati i controlli col risultato che sono stati compiuti i primi arresti. Dove e in quali circostanze non è chiaro e le informazioni più accreditate dicono genericamente che nove o dieci nazionalisti croati (che non devono necessariamente appartenere a formazioni «ustascla») sono stati sorpresi dalla polizia con le armi in mano. Alcuni affermano che gli arresti sono avvenuti la notte scorsa a Belgrado, altri che sono avvenuti in altrettanti centri della Serbia.
«Se dovete farlo, fatelo subito» ha detto Tito. E i medici, con appena un’ora di camera operatoria, gli hanno tagliato la gamba sinistra. Da una settimana, dopo l’intervento di domenica scorsa, quando gli specialisti avevano tentato di stimolare la circolazione sanguigna della gamba inserendovi un’arteria artificiale, l’arto era diventato di ora in ora più brutto e adesso il male minacciava di aggredire l’intero organismo. Si era parlato nei giorni scorsi dell’opposizione di Tito ad un intervento radicale e questa opposizione equivaleva in sostanza ad una rassegnazione al peggio, ma contro questa rassegnazione hanno protestato i dirigenti politici al quali preme salvare insieme alla vita di Tito anche la suprema istituzione politica del Paese che egli rappresenta.L’attesa della decisione dei medici, i discorsi a favore e contro l’amputazione, i viaggi dei dirigenti politici tra Lubiana e Belgrado hanno distolto ieri l’attenzione dalla situazione politica che permane seria. La rivista del partito comunista bulgaro Ekonomiceski Jlvet ha improvvisamente rispolverato la tesi che sostiene l’illegalità della creazione di una repubblica autonoma macedone accusando la Jugoslavia di «violazione delle posizioni internazionalistiche» ed è stato questo minaccioso riferimento al dogma staliniano (e brezneviano dell’intemazionallsmo proletario») che ha fatto scattare la pronta replica di Belgrado dove si è ribattuto parlando a proposito della tesi bulgara di «brutale violazione dei principi più elementari della carta delle Nazioni Unite». Nella polemica si è inserita l’Albania. Il giornale ufficiale Zeri i Populit ha alluso alla Bulgaria come ad una testa di ponte sovietica nei Balcani, oggi più di ieri esposti ai pericoli della politica espansionistica di Mosca. Il giornale di Tirana ha assicurato la Jugoslavia che gli albanesi sono pronti a combattere per difendere l’indipendenza e la sovranità degli Stati della penisola Balcanica.
BELGRADO — Si contano le ore: più passano e più Tito ha la possibilità di sopravvivere. I medici sono laconici e i due bollettini diramati nella giornata di ieri, uno a mezzogiorno e l’altro nel tardo pomeriggio, dicono soltanto che, sino a questo momento, non sono state registrate crisi postoperatorie. Il polso e la pressione «sono nei limiti del normale» e lo stato generale del presidente Tito «è buono».Ma tutto è relativo, la vita di Tito seguita ad essere appesa ad un filo che potrebbe spezzarsi e le ansietà non hanno ancora fatto posto ad una fondata speranza. Si contano le ore, si attende che trascorrano questi primi giorni critici e che Tito superi il duplice trauma dell’amputazione e dell’anestesia, se anestesia c’è stata veramente, stando a certe voci che farebbero credere all’intervento di uno specialista cinese di agopuntura e che Tito dunque avrebbe sostenuto l’amputazione con il soccorso degli aghi delle cllniche di Pechino. Qualcuno ricorda che un destino quasi analogo si era abbattuto sul fratello del presidente, Slavko, al quale erano state amputate le due gambe e Slavko aveva vissuto ancora per molti anni. Tito, si dice, può sopravvivere anche lui, come il fratello.Le voci allarmistiche hanno ripreso virulenza e sono lì per ammonire che l’orizzonte è minaccioso e che i pericoli non sono stati neutralizzati. Certo, Belgrado ha ripreso il volto tranquillo di tutti i giorni con la piccola eccezione che alcuni edifici di interesse pubblico — la radio, la televisione, la stazione ferroviaria, ma non il parlamento federale — sono vigilati da soldati armati. E anche in un perimetro di venti o trenta chilometri intorno a Belgrado non si scorge nulla di inconsueto. Ma le voci resistono e si accavallano, dicono che i mezzi cingolati dell’esercito sono stati concentrati nelle zone strategiche, soprattutto quelle della pianura pannonica che si apre sull’Ungheria e che in quelle zone sono avvenute esercitazioni militari. (Enrico Petta sul Corriere della Sera del 22 gennaio)
LUBIANA — Un Tito sorridente ed apparentemente disteso ha ricevuto ieri, seduto in poltrona nella sua stanza dell’ospedale dove domenica gli è stata amputata la gamba sinistra, i figli Zarko e Miso con i quali si è intrattenuto a lungo e si è fatto ritrarre da un fotografo della Tanjug. Una coperta nascondeva il moncherino. Zarko Broz, Il figlio maggiore, ha 59 anni ed è figlio di Pelagjia Belurosov, che Tito aveva sposato in Russia nel 1920; successivamente la donna scomparve nelle purghe staliniane, mentre Zarko, diventato tenente dell’Armata Rossa sovietica, rimase mutilato della mano destra combattendo a Mosca. Il secondo figlio, Miso, nacque nel 1948 dall’unione di Tito con Herta Has. Nessuno dei due figli di Tito riveste cariche pubbliche. Da quanto si è saputo, hanno avuto un ruolo determinante nel convincere il padre ad accettare il consiglio dei medici e sottoporsl all’amputazione. (dal Corriere della Sera del 24 gennaio)
Ronchey sulla Jugoslavia: «Fra un bollettino e l’altro della clinica di Lubiana, fra una giornata di neve e una di sole lungo il Danubio, a Belgrado s’è avuta la prova generale del «dopo Tito». O forse, tacitamente, il «dopo Tito» in Jugoslavia è già cominciato. Il precetto dei pubblici poteri è sdrammatizzare le incognite della successione, anche se alle frontiere e negli aeroporti l’esibizione di armi e armati ha voluto testimoniare una rigorosa vigilanza. Sul momento la condotta degli affari istituzionali e affidata alla trojka Kolisevsky-Doronjsky-Dragosavac, che opera su delega del presidente «a vita» della Repubblica federale. Ma i successori dello stari, il vegliardo giunto alle soglie degli 88 anni, dovranno affrontare complessi problemi, che riguardano l’assetto del potere politico, l’instabilità economica, i difficili rapporti con il mondo sovietico.L’eredità di Tito, che per trentacinque anni è stato come un re non coronato degli jugoslavi, dev’essere assunta da un’oligarchia paritaria. Ogni potestà sarà collegiale e impersonale, sia tra i nove componenti del Presidium al vertice dello Stato, sia tra quelli al vertice del partito, con la rotazione annuale delle funzioni di presidente nell’uno e nell’altro consesso. Ci sarà dunque un presidente della presidenza collettiva, non un presidente della Repubblica. Ma non si sa come e quanto a lungo potrà reggere il collegialismo, predisposto dalla Costituzione del 1974 per volontà dello stesso Tito. Un sistema simile, che presuppone costumi politici da quieti e concordi cittadini svizzeri, dovrà funzionare sotto il peso delle ataviche discordie che turbano la convivenza delle sei repubbliche federate e dei gruppi linguistici o religiosi, senza tradizioni di tolleranza liberale, nell’instabilità d’una economia stretta fra i costosi esperimenti dell’autogestione industriale e l’iperinflazione ormai cronica, dinanzi ai pericoli che incombono sulla società di frontiera tra l’Est e l’Ovest con la seconda guerra fredda (leggi qui il resto).
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