ROMA — Consapevole di avere alle spalle un partito unito e in ascesa, Pietro Longo ha indicato ieri dalla tribuna del diciottesimo congresso gli obiettivi del PSDI. Longo ha parlato in modo chiaro e netto, rivendicando con toni talvolta pacati, talvolta più accesi, la validità della strategia complessiva del suo partito. Nell’immediato — ha spiegato — va mantenuto l’attuale governo di tregua, poiché «una crisi al buio potrebbe far precipitare il paese verso nuove e inutili elezioni». Ma lo sbocco per il quale lavorano i socialdemocratici, ha subito aggiunto, resta la costituzione di un ministero a cinque, dal PLI al PSI. È questa, secondo il giudizio di Longo, la formula indicata dalla maggioranza degli elettori, ed è anche l’unica che può garantire l’attuazione di riforme che consentano all’Italia di uscire dalla crisi non allontanandosi, ma anzi avvicinandosi, all’Occidente e all’Europa. L’idea di un’Italia equidistante tra i due blocchi era stata respinta con grande vigore da Giuseppe Saragat, nel discorso di apertura del congresso. «L’URSS ha ormai superato quantitativamente gli USA nell’armamento atomico» e si presenta come un «terrorismo di Stato» nel cuore dell’Asia, aggredendo l’Afghanistan, un paese, tra l’altro, «non allineato», fino a ieri indipendente da entrambi i blocchi militari.
ROMA — Il nuovo corso del PSDI (rinnovamento interno, rilancio di «un’area laica e socialista» che condizioni la DC e faccia muro contro il compromesso storico) è condiviso da una maggioranza vastissima: all’incirca l’85 per cento dei delegati al diciottesimo congresso si riconoscono, infatti, nelle posizioni di Pietro Longo. Ieri comunque la minoranza ha fatto sentire la sua voce: ha parlato Pierluigi Romita, vice presidente della Camera, e ha dissentito, con toni garbati ma fermi, dalle tesi del segretario. Secondo Romita occorre preparare una diversa fase della politica di solidarietà nazionale, una fase che non sia più «dominata dalla presenza egemone della DC e del PCI». Ma soprattutto è necessaria una convergenza strategica dei partiti socialisti e democratici volta ad aggregare la sinistra italiana, «a sviluppare e ad approfondire il confronto con le nuove posizioni emergenti nel partito comunista e ad avviare la costruzione di una autentica alternativa democratica e progressista rispetto alla Democrazia cristiana».
ROMA — Interrotto spesso dagli applausi dei delegati, Longo ha rivolto ieri dalla tribuna del congresso socialdemocratico un invito, quasi una esortazione, alla Democrazia cristiana affinché si pronunci senza incertezze contro l’ipotesi di un ingresso dei comunisti al governo. «I tempi in cui il PSDI faceva dipendere le sue scelte da quelle del partito di maggioranza relativa sono finiti», ha detto il segretario con toni orgogliosi. Il dato politico certo — ha insistito — è che i socialdemocratici non accettano il cosiddetto governo di unità nazionale: se tale formula prendesse corpo passerebbero all’opposizione e svolgerebbero questo ruolo «con intransigenza in parlamento e nel paese». Perciò — ne ha dedotto — tocca ai democristiani chiarire definitivamente, nel loro imminente congresso, se vogliono il compromesso storico, oppure un ministero paritario con i partiti di democrazia laica e socialista. Una decisione netta della DC, e la sua disponibilità a cedere la presidenza del consiglio, se risultasse necessario per garantire la governabilità e la stabilità della legislatura, favorirebbe certamente — secondo il giudizio di Longo — il recupero delle posizioni perdute dagli autonomisti all’interno del PSI e potrebbe aprire la strada ad una non impossibile rivincita di Craxi. In ogni caso Longo ha escluso che il governo Cossiga possa dimettersi seguendo procedure ’extraparlamentari. Dovrebbe, al contrario, presentarsi alle Camere: in modo che ciascun partito sia indotto ad assumere la sua parte di responsabilità, rispetto ad una crisi che potrebbe sboccare in nuove elezioni anticipate.
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