Nasser è stato proclamato, con tutti i crismi, Capo dello Stato, o meglio degli Stati uniti Siria-Egitto: al plebiscito del 21 febbraio hanno detto sì all’unione il 99,9 per cento dei votanti. Per quanto ogni successo sia solito dare alla testa dei dittatori e spingerli verso una politica più audace, non si può escludere che, in questo caso, il dittatore egiziano sia indotto alla prudenza dalla stessa necessità di contemperare gli interessi dell’Egitto con quelli della Siria, che coincidono solo in un punto, nell’ostilità contro Israele, e sono sorretti da un solo fattore comune, per quanto potente, che è la somiglianza della religione. Differiscono, invece, i due popoli per la razza: uno semitico, l’altro camitico o cuseitico; ed anche il grado di civiltà e le condizioni sociali non si assomigliano, perché in Siria è ignoto il fenomeno del contrasto fra le classi abbienti e l’enorme massa miserabile dei « fellah ». Infine, non può essere del tutto tramontata, in talune sfere, specie militari, di Damasco la corrente favorevole alla creazione della grande Siria estesa fino all’Eufrate: tesi che deve essere abbandonata in favore della politica di Nasser, che gravita verso il Mediterraneo e il Nilo. E’ chiaro, per esempio, che la Siria non ha alcun interesse nella contestazione dell’Egitto col Sudan per uno spicchio di territorio di confine sul MaiRosso (da un articolo del Corriere d’Informazione).
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