Articolo di Scalfari su Repubblica: “La classe dirigente ha capito da un pezzo ciò che la piccola borghesia italiana stenta ancora a capire, e cioè che il Pci è un partito democratico come tutti gli altri”. La Repubblica ha grande successo con la base, sedotta da un giornale tanto più glamour della vecchia stampa di partito. Meno con i dirigenti. “Il suo direttore pretende di modificare l’immagine che abbiamo di noi, orientare i nostri comportamenti e indirizzare il processo in corso nel Pci verso certi esiti piuttosto che verso altri” dice Enrico Berlinguer. “In tutto questo c’è qualcosa di oscuro che non mi piace”.
La segreteria alla Federazione di Milano del Pci: «Il compagno Elio Grisenti, che per tanti anni è stato correttore di bozze a l’Unità di Torino e Milano, e che dal 1964 al 1979 ha lavorato all’estero per incarico del nostro Partito, rientra definitivamente in Italia alla fine di aprile. Dal primo maggio assumerà nuovamente il suo antico incarico di correttore di bozze»
XV congresso del PCI a Roma: Berlinguer rieletto segretario.
«Erano i tardi anni 70, gli anni di piombo, io ero convintamente garantista. Ricordo un articolo di Paolo Mieli sull’Espresso in cui prendeva in giro il partito dei garantisti: ‘Segretario Mancini, vicesegretario Rodotà’. Erano momenti difficili di minacce e accuse, mi dicevano ‘difensore dei terroristi’. Luigi mi dice che l’altro Berlinguer, Enrico, mi vuole vedere per propormi una candidatura. Ma io volevo incontrare Pecchioli, che era esattamente dall’altra parte. Il 6 aprile 1979 entro per la prima volta a Botteghe Oscure. E gli dico: ‘Senta voglio capire i motivi di questa offerta, visto che ho preso posizioni pubbliche molto nette, facendo nomi e cognomi tra cui il suo’. Pecchioli mi dice: ‘In questo momento le tue posizioni su diritti e garanzie ci interessano. Però se tu avessi preso posizioni diverse sul caso Moro, non te lo avremmo chiesto’. Ero stato anch’io, come Repubblica, sostenitore della linea della fermezza, cioè ero contrario a ogni trattativa con i terroristi. Il che non mi aveva impedito di avere rapporti con la famiglia quando si cercò la via di una trattativa non con lo Stato, ma tramite terzi, come la Croce Rossa. L’idea di andare in Parlamento m’interessava: un giurista ha delle carte da giocarsi. Così decido di candidarmi» (testimonianza di Stefano Rodotà. Leggi qui tutta l’intervista).
• Essendo il Pci nelle elezioni di ieri e oggi sceso dal 34,4 al 30,4 per cento, Forattini sulla Repubblica ha disegnato un Gramsci che insegue Berlinguer con un martello per dargliele di santa ragione • «Alle elezioni politiche del giugno 1979 – in linea con la politica di austerità invocata da Enrico Berlinguer – il problema del contenimento del debito pubblico comparve persino nel programma elettorale del Pci. I comunisti, però, subirono una sconfitta e immediatamente accantonarono il tema» (Paolo Mieli).
Roma. Il segretario del Pci Enrico Berlinguer passeggia in piazza di Spagna con la moglie Letizia Laurenti e la figlia Lauretta, nata il 5 aprile 1971 (proprio oggi è morto lo zio Stefano Siglienti, cui Berlinguer era legatissimo) (Ansa) (mediastorage/uploads/admin/speciali/Berlinguer/1979_berlinguer_famiglia_laura.jpg)
• Enrico Berlinguer alla riunione del Comitato centrale del Pci è criticato pubblicamente per i risultati elettorali. Giovanni Russo sull’Europeo scrive che alcuni nel partito gli confidano: «Siamo all’oscuro di tutto. Non c’è un dirigente anche fra i maggiori in grado di dire come si muove e che cosa ha in mente Berlinguer (…). Quello che sta accadendo per la nomina dei nuovi dirigenti è la prova che il problema è la mancanza di democrazia non solo alla base, ma persino al vertice. Neppure i membri del Comitato centrale sanno niente. Del resto, durante la gestione Berlinguer, il Comitato centrale non ha fatto nessuna delle scelte fondamentali: né quella di entrare nella maggioranza di governo né la decisione di uscire dalla maggioranza nel gennaio del ‘79».
Ronald P. Nash, alto funzionario del ministero degli Esteri britannico, incontra separatamente a Roma Franco Venturini (Il Tempo) e Paolo Garimberti (La Stampa). Venturini è stato di recente a Londra, «finanziato dal Central Office of information (Coi)». Garimberti, in particolare, gli traccia un ampio quadro sulla crisi del Pci a partire dall’affermazione comunista alle politiche del giugno 1976. Dice che a questo punto «sono a rischio il Compromesso storico e l’orientamento del Pci a Occidente», ossia la politica dell’Eurocomunismo, perché «le ali di Berlinguer sono ormai tarpate». Fino a due anni fa, spiega, il segretario «era un monarca assoluto», ora invece si è ridotto a essere un «monarca costituzionale». Garimberti racconta poi un fatto inedito a Nash e a Mark Pellew, un uomo dell’ambasciata britannica in Italia. Nel maggio 1978, di ritorno a Roma da Barcellona, Berlinguer parla per ben due ore con il giornalista. Si è appena conclusa una conferenza sull’Eurocomunismo (27-30 maggio). In aereo il segretario confida a Garimberti vari «retroscena» e le «tattiche del Pci per il futuro». Nella primavera di quell’anno, in sintesi, «Berlinguer aveva già capito che le sue politiche non funzionavano più» e aveva detto al giornalista che «il partito doveva muoversi con decisione verso tre settori: i rapporti con gli Usa, l’Eurocomunismo, il Compromesso storico. Occorreva mettere in campo iniziative in ciascuna area. Ma tutto ciò non si è verificato».
Il 25 luglio 1979 – all’indomani del tentativo fallito di formare un governo guidato da Craxi – Nash (vedi 24 luglio) interroga l’allora socialista Fabrizio Cicchitto, responsabile economico del Psi e membro della direzione. Cicchitto spiega che il suo partito sta tentando di mettere la parola fine a un’era politica in cui i governi democristiani erano considerati l’unica possibile alternativa ai comunisti. «I socialisti cercano ora di spezzare questo schema. È una linea politica che causa difficoltà sia alla Dc sia al Pci. La Dc è divisa in due fazioni: una è favorevole a una qualche forma di cooperazione con i comunisti, l’altra punta invece ai socialisti. Ma con la scomparsa di Moro dalla scena politica, è difficile capire chi riuscirà a tenere unita la Dc dinanzi a tali fratture».
La segreteria del Pci alla direzione dell’Unità: «Cari compagni, scadono in questo secondo scorcio di anno due avvenimenti: il 40esimo dell’aggressione nazista alla Polonia e il 35esimo anniversario della fondazione dello Stato polacco (…) Certamente voi avrete preparato il materiale necessario per qualche iniziativa giornalistica, ma abbiamo voluto lo stesso ricordarvi le due scadenze».
L’amministrazione dell’Unità informa quella del partito di un incontro col cdr della redazione di Milano: c’è qualche problema coi contributi Inpgi e i colleghi chiedono notizie sul “necessario aumento degli stipendi”. Franco Antelli, allarmatissimo, gira il carteggio alla segreteria: “A parte l’aspetto specifico delle richieste, non mi pare di poco conto il ruolo assunto dal Cdr di Milano, un ruolo da rappresentanza sindacale, che il contenuto della lettera valuta normale mentre rappresenta una novità da considerare con attenzione per i processi che ne possono derivare”.
ROMA — Sull’Unità, il segretario della Cgil, Luciano Lama, risponde all’articolo di Giorgio Amendola su Rinascita (vedi 9 novembre), specificando che «non è detto che i discorsi chiari siano sempre discorsi giusti»: «Mi perdonerà il compagno Amendola se dico che il suo articolo mi sembra sorvolare su due cose essenziali: l’esistenza di una lotta politica, con avversari concreti di classe nel paese, e la necessità di dare vita a cambiamenti profondi nella economia e nella società italiana per uscire dalla crisi». «Nell’articolo di Amendola la politica del cambiamento, delle riforme, della trasformazione, pur graduale, ma vera, della società e dello Stato, in sostanza non c’è. E senza di ciò — aggiunge —, dalla crisi non si esce». La vera accusa ad Amendola è quella di essersi adagiato su posizioni «lamalfiane», dimenticando gli obiettivi per i quali il PCI deve battersi e si è sempre battuto
«Amendola — ha detto — rivolge una serie di critiche, alcune giuste, altre sbagliate, al movimento sindacale e allo stesso partito. Non starò in questa sede a considerare, una per una, queste critiche. Rilevo però (e concordo in questo con l’articolo del compagno Lama) che Amendola sembra trascurare l’esistenza dell’azione degli avversari del movimento operaio e del movimento sindacale». Poi, con il tono di chi ricorda cose ovvie, che un comunista dovrebbe sapere: «Fa parte dell’ABC del marxismo ricercare l’origine di fenomeni degenerativi, di questo e di altro tipo, nelle strutture materiali della società, che è oggi la società capitalistica, giunta a un determinato stadio del suo sviluppo e del suo decadimento». Berlinguer ha rammentato che compito del partito comunista è «trasformare e rinnovare in ogni campo» per far nascere «una nuova società» dal grembo di quella vecchia. Quindi ha dato atto ad Amendola di sostenere una tesi giusta, quando afferma che oggi compito primario deve essere la lotta al terrorismo. Da tre anni, unico fra i partiti comunisti dei paesi capitalistici, il Pci ha proposto l’austerità, incontrando resistenze durissime «nel più diversi settori del mondo politico, economico e sindacale». E ha proseguito: «L’obiezione di fondo che si deve fare ad Amendola è che nell’appello accorato che egli rivolge ai lavoratori e ai giovani, richiamandoli al senso del dovere, al lavoro, è assente lo scopo, sono assenti le finalità per cui si possono chiedere e ottenere sforzi, restrizioni e anche sacrifici». Queste finalità, secondo Berlinguer, si riassumono nell’azione per trasformare la società e avviare «il superamento del capitalismo. Il nodo è qui, ha sostenuto in sostanza Berlinguer, «altrimenti ogni appello, anche il più nobile e accorato, cadrà nel vuoto».
ROMA — Chiusura inaspettata del Comitato centrale del Pci. Berlinguer ha preso la parola e risposto con toni pacati, talvolta amichevoli, a Giorgio Amendola. Ma nella sostanza ha respinto con vigore le critiche del vecchio capo storico comunista, e ha rivendicato la validità della linea complessiva del partito su tutti i fronti: non si possono chiedere alla classe operaia solo sacrifici, ha detto In sostanza. La linea stessa dell’austerità — ha aggiunto — non può che essere legata, nella visione dei comunisti, alle lotte per trasformare il paese. Non si tratta — ha insistito — di ripristinare il vecchio sistema di sviluppo, ormai Irrimediabilmente in crisi. Un compito — ha precisato — che comunque non si concilierebbe con la natura, i caratteri e le idealità del PCI. SI tratta, invece, di aprire nel paese una fase nuova, caratterizzata da profondi mutamenti. «Non ci siamo mai trovati — ha ammesso il segretario del PCI — di fronte a compiti cosi impegnativi, ma non possiamo ritirarci. Altrimenti sarebbe una sconfitta senza battaglia». Berlinguer è salito alla tribuna del comitato centrale all’improvviso, verso la fine della mattinata. Con il suo inatteso intervento deve aver convinto la platea, se dopo il suo discorso nessuno ha più voluto prendere la parola, e anche Ingrao e un’altra decina di dirigenti hanno ritirato il loro nome dall’elenco degli oratori. Con un voto unanime il massimo organo politico del PCI ha dunque ribadito, al di là delle polemiche suscitate da Amendola, l’impostazione e la strategia del partito. Nell’intento di raggiungere questo oblettivo Berlinguer ha deciso di intervenire di persona nel dibattito, ma in questo modo lo ha anche chiuso. Dopo c’è stata solo una breve replica di Chiaromonte, puramente formale e, ovviamente, pienamente in linea con le tesi del segretario» (dal Corriere della Sera del 17 dicembre).
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